RUMOR(S)CENA – ROMA – Ha 23 secoli di vita la commedia di Plauto che, secondo collaudato repertorio, mette in moto il gioco delle identità. Gemelli con lo stesso nome e diversi, incarnati dallo stesso attore ma, che separati, sviluppano lingue, culture e attitudini diverse. Il Teatro Arcobaleno fa di riprese di questo genere il proprio punto di forza evitando che siano solo patrimonio di repertori estivi nei teatri grechi sparsi per la penisola. Le rivisitazioni devono tendere a evitare che tentativi troppo arditi di attualizzazione dissipino completamente l’ispirazione originale. Per questo il regista Vincenzo Zingaro è una garanzia: le disincrostazioni non devono ledere l’apparato centrale del plot.

Ovviamente per lo snellimento è necessario che i cinque atti originali entrino in una ragionata sintesi, condensando gli equivoci. La secolarizzazione sta in una considerazione spicciola. Il tempo dello spettatore contemporaneo non è quello del suo predecessore. L’etichetta di classico consiste soprattutto nella gamma di riprese che si condensano nei secoli e ci riconsegnano un bene teatrale non caduco ma continuamente rielaborato fino alla versione attuale. Un teatro che sia testimonianza e ripresa, ma non un lascito immateriale. L’attraversamento del tempo, delle sue maschere, nel rapporto tra i personaggi, la loro comicità. I due gemelli separati alla nascita si ritrovano nella stessa città e sotto le insegne dello stesso nome. Dunque la confusione nasce per i rispettivi servi e soprattutto in relazione alla formosa amante Erozia, esigente di attenzioni, di piaceri sessuali e anche di doni.

Né estranea questo balletto di equivoci può essere la moglie. Le componenti femminili sono fortemente contestatrici nel vivo dell’equivoco. Si può vivere la vita nell’altro? No, perché la commedia funziona quando la sostituzione destabilizza il prossimo circostante, calcando i toni. L’arricchimento è notevole per le diversità linguistiche dei protagonisti in scena con la valorizzazione degli stessi comprimari. Storicamente la città in cui si svolge la vicenda è Epidamio, oggi corrispondente a Durazzo, in Albania. Ma qui si parla siciliano, napoletano, pugliese, toscano e romanesco accentuando le tipizzazioni. L’interazione sta nella compensazione dell’equivoco. Il Menecmo quando ha il sentore, dopo l’imbarazzo iniziale, che può fruire delle grazie dell’opima potenziale amante (cosce al vento) non esita ad approfittare della situazione. E qui il siciliano svetta con quel tocco di dongiovannismo proprio del senso comune legato all’isola.

Ma il teatro di Plauto è macchinazione, gioco, scatenamento dei sensi, sviluppo esasperato dei bisogni primari. I personaggi della commedia hanno bisogno di saziarsi fino a ingozzarsi, di soddisfare primari bisogni sessuali, di riconoscersi nella famiglia (ma fino a un certo punto). Zingaro lascia mano libera agli attori per un copione che si sviluppa lungo quasi due ore effettive non annoia se lo spettatore è in grado di rispondere ed entrare in relazione con le strizzatine d’occhio dell’autore e del regista. Superfluo sottolineare quanto il tema del doppio sia stato utilizzato dalla drammaturgia seguente e quanti richiami a Goldoni e Shakespeare ci siano in questo prototipo.

E poi l’equivoco destabilizza, costringe all’adeguamento, al riposizionamento e la riconversione, se sfruttata bene, è convenientemente dialettica teatrale. La Compagnia Castalia presiede alle riscoperte plautine ormai da 33 anni e ha costruito un circuito fedeltà che, in altra stagione, può toccare festival e/o teatri antichi con puntate a Ostia Antica, Pompei, Segesta, Ferento, Venosa, Formia, Volterra, Paestum, Taormina e, non ultima, Sarsina, luogo eletto di Plauto. I Menecmi è una eccellenza di questo palinsesto collaudato.
