RUMOR(S)CENA – SIRACUSA – Non poteva non entusiasmare il pubblico la versione spettacolare e acrobatica delle Baccanti di Euripide, dirette da Carlus Padrissa alla testa de La Fura dels Baus, al Teatro Greco di Siracusa per la 56° stagione di rappresentazioni classiche. Il regista ha tradotto nel linguaggio proprio della compagnia catalana, potentemente fisico e immersivo, il capolavoro euripideo interpretandone, per certi versi, la forza dirompente, ma di contro ottundendone l’inquietante e ambiguo contenuto filosofico-religioso.
Di indubbio impatto visivo ed emotivo le evoluzioni aeree del Coro, composto da 32 interpreti, quasi tutti allievi dell’Accademia d’Arte del Dramma Antico: sospeso al braccio di una gru che più volte lo solleva ad altezza vertiginosa e offre agli spettatori immagini cangianti di geometrica perfezione, che arrivano a evocare la struttura a doppia elica del DNA, l’ensamble fa corona nel finale all’apparizione di Dioniso come deus ex machina. Il contrasto tra il dio, che giunge a Tebe per affermare la propria natura soprannaturale e per esigere di essere onorato dalla città tutta, e Penteo, il giovane re, laico e conservatore, ostile ai nuovi riti delle baccanti, assume concretezza spaziale nella dimensione scenica a due livelli creata dall’azione meccanica della gru, rendendo tangibile la distanza che separa l’uomo dal dio vittorioso.
La contrapposizione tra Dioniso e Penteo è già nella scenografia dove campeggiano da un lato una gigantesca statua della divinità raffigurata nella sua forma di uomo-toro, dall’altro una testa, apribile e praticabile, che simboleggia la razionalità del re. Dioniso la attraversa al suo ingresso in scena, e al suo interno, nel prosieguo della tragedia, si compie la metamorfosi del sovrano indotto dal dio a travestirsi da donna per spiare le Baccanti sul Citerone.
Sebbene la lettura di Carlus Padrissa voglia fare delle Baccanti euripidee un manifesto femminista ante-litteram nel suo dichiarato rendere omaggio alle donne messicane che, nel 2019, sono scese in piazza contro il potere e gli abusi sessisti, al tempo stesso lo spettacolo si fa icona di un’istanza allargata di libertà infrangendo le distinzioni di genere, a partire dall’interpretazione dello stesso Dioniso affidata alla forza espressiva inesauribile della travolgente Lucia Lavia. La figura del dio “ibrido”, che assume in sé connotazioni diverse e contrastanti, ben si presta a essere incarnata da una donna, in perfetta sintonia con la descrizione che ne fa Penteo ai vv. 453-459 della tragedia. Lascia perplessi tuttavia la caratterizzazione eccessivamente ferina, voluta dal regista, che accompagnata dalla tipologia del costume da guerre stellari ci riporta a disturbanti immagini dei video giochi. Il tutto tra le luci rutilanti e le musiche percussive e avvolgenti, creazione dello stesso Padrissa, con le coreografie vitalistiche di Mireia Romero Miralles e i costumi punk di Tamara Joksimovic.
Ivan Graziano nel ruolo di Penteo riesce nel difficile compito di veicolare l’atteggiamento di intransigenza e insieme la fragilità che segnano il personaggio; sottotono la performance di Stefano Santospago (Cadmo), e priva di nerbo quella di Antonello Fassari (Tiresia), mentre Linda Gennari trova l’intonazione giusta per incarnare il dolore di Agave, la madre che invasata dal dio ha smembrato il figlio.
Vanno menzionati per il loro impegno Antonio Bandiera (secondo messaggero), Simonetta Cartia, Elena Polic Greco (corifee), Rosy Bonfiglio, Ilaria Genatiempo, Lorenzo Grilli, Cecilia Guzzardi, Doriana La Fauci, Viola Marietti, Katia Mirabella, Giulia Valentini (coro di Baccanti), Spyros Chamilos e Francesca Piccolo (primo messaggero), Domenico Lamparelli (rapper). La traduzione del testo, impeccabile, è di Guido Paduano.
Nel solco della migliore tradizione teatrale si collocano invece le Nuvole di Aristofane dirette da Antonio Calenda, veterano della scena siracusana con al suo attivo l’allestimento di ben sette tragedie. L’estro di un regista che nel corso della sua lunga carriera ha spaziato dai testi drammatici a quelli comici ha trovato il grimaldello adatto ad aprire la cassaforte di un autore la cui capacità di suscitare il riso non è facilmente spendibile davanti al pubblico contemporaneo. Le allusioni di Aristofane a fatti e personaggi del suo tempo, la schietta scatologia, la polemica letteraria con gli autori coevi, necessitano di una chiave di lettura capace di colmare il gap esistente con l’oggi e in questo ha ricoperto un ruolo centrale la brillante traduzione di Nicola Cadoni, che senza forzature è riuscito a creare efficaci link semantici.
La bianca scenografia ideata da Bruno Buonincontri è costituita da due edifici, simili a propilei, posti ai lati estremi della scena: da una parte la casa di Strepsiade, il contadino oberato dai debiti a causa delle abitudini dispendiose del figlio Fidippide, dall’altra il Pensatoio, dove operano Socrate e i suoi surreali allievi; in mezzo, un fondale praticabile su cui faranno la loro apparizione le Nuvole, divinità di riferimento dei sofisti così come li dipinge Aristofane. Strepsiade, ottimamente interpretato da Nando Paone, crede di poter trovare una soluzione ai suoi problemi economici apprendendo l’arte della retorica, e in buona sostanza la capacità di spacciare il falso per vero, e quando fallirà nel suo intento e verrà percosso dallo stesso Fidippide (un metamorfico Massimo Nicolini) che giustifica il gesto con gli argomenti speciosi appresi al Pensatoio, consumerà la propria vendetta dando fuoco alla scuola. Commedia amara, dunque, nella quale si riflette la crisi di valori di una polis, Atene, che da lì a un ventennio cadrà sotto i colpi della rivale Sparta, ponendo fine a un’epoca.
Nell’allestimento di Calenda il filo della commedia si snoda con vivacità, mettendo via via in luce i vari temi che la innervano e assecondandone il ritmo interno, giocato anche sull’incalzante successione di costumi – da quelli aerei e spumeggianti delle Nuvole ai pepli giustapposti alle tuniche e ai frac completati da copricapo novecenteschi quali bombetta e paglietta – e di oggetti di scena – triclichi, carretti e un imponente cavallo meccanico-. Antonello Fassari nella parte di Socrate restituisce con ironica leggerezza la parodia che ne fa Aristofane, e i suoi accoliti, interpretati dagli allievi dell’Accademia d’Arte del Dramma Antico, con bravura gli fanno da corona con le loro improbabili elucubrazioni.
L’insieme è sostenuto e valorizzato dalle musiche di Germano Mazzocchetti che spaziano dal varietà all’opera buffa con suggestioni rossiniane e donizettiane, dalle marcette parodistiche al lirismo di alcune parti dei cori in perfetta sintonia con i contenuti della commedia. Su i suoi ritmi si muovono le eleganti coreografie di Jacqueline Bulnés guidate per la compagine delle Nuvole dalle Corifee Galatea Ranzi e Daniela Giovanetti.
Visti al Teatro Greco di Siracusa il 19 e 20 agosto