Arriva da Cagliari al Teatro Metastasio di Prato “I fratelli Karamazov”, l’allestimento del Teatro Stabile della Sardegna in coproduzione con il Teatro Stabile della Toscana, in scena dal 11 al 22 aprile. La versione teatrale tratta dal romanzo di Fëdor Dostoevskij, porta la firma registica di Guido De Monticelli. Dopo il Giardino dei Ciliegi diretto da Paolo Magelli, l’ideale passaggio del testimone va a I Fratelli Karamazov in cui recitano le due compagnie stabili, unite in un doppio progetto che da il buon esempio di come si possano produrre spettacoli con l’ottica di razionalizzare le spese di allestimento e gestione. Non un semplice scambio tra Stabili ma una condivisione di forze artistiche e impegno economico a cui molti altri teatri dovrebbero prendere esempio. Lo spettacolo che ha debuttato in prima nazionale a Cagliari aveva anche un sostegno culturale, dato dal primo festival di filosofia, organizzato in Sardegna, dal titolo “La legge la libertà la grazia”, a cui hanno partecipato tra i più conosciuti e stimati pensatori filosofici come Remo Bodei, Gustavo Zagrebelsky, Sergio Givone, il teologo Vito Mancuso, Margherita Pieracci Harwall, Roberta De Monticelli coordinatrice del festival insieme a Pier Luigi Lecis. La straordinaria partecipazione di pubblico a tutti gli appuntamenti in programma al Teatro Massimo è il segno di come sia possibile fare cultura ai massimi livelli (dibattere di filosofia coinvolgendo il grande pubblico non è cosa di poco conto), senza retorica o linguaggi ostici poco comprensibili alla maggioranza della gente. L’affluenza così numerosa e vitale ha creato intorno allo spettacolo teatrale, un’atmosfera da vero e proprio evento.
I fratelli Karamazov è l’ultimo romanzo scritto da Dostoevskij, ritenuto il capolavoro della sua produzione letteraria, completato solo pochi mesi prima della sua morte. La trama racconta le vicende della famiglia Karamazov, dove matura al suo interno la decisione di assassinare il capofamiglia Fëdor. Accadimenti tragici che hanno lo scopo di sondare ad un livello più profondo, il dramma spirituale che scaturisce dal conflitto morale tra fede, dubbio, ragione e libero arbitrio. Portare sulla scena quello che è considerato tra i romanzi più importanti dell’Ottocento, non è impresa facile e richiede una conoscenza notevole affinché si riesca a sintetizzare la complessità narrativa che evolve in continuazione e contribuisce ad alimentare il dramma dove agiscono i personaggi intenti a lottare fra il bene e il male. Il male che si diffonde in tutti gli interstizi dell’essere umano distribuiti su oltre mille pagine che compongono il romanzo. Tutto è scarno ed essenziale nell’allestimento voluto da De Monticelli (le scene sono firmate da Lorenzo Banci e Federico Biancalani), un ambiente composto da assi di legno che delimitano la scena e altre calate dall’alto come se volessero trafiggere la carne umana dei protagonisti.
Un tavolo che si allunga e scompare, ruota fino a diventare altare e poi bara, divano e ancora tavolo dove si consumano i primi dialoghi che sono una sorta di illuminazione anticipatrice sul tormento esistenziale che scuote l’anima dei protagonisti, a partire dal vecchio Fëdor Pavlovič, un Mauro Malinverno che caratterizza bene il suo personaggio quando esclama ubriaco: “Dio c’è?”. L’interrogativo divide su due fronti il pensiero dei figli Ivàn e Alëša (Corrado Giannetti e Francesco Borchi), il primo afferma contrariato che Dio non può esistere a fronte di un mondo dove regnano sovrane le ingiustizie. Si pone l’interrogativo dell’insostenibilità della fede mentre l’uomo sulla faccia della terra si consuma nei vizi e nell’alcool, il possesso del denaro, diviso tra amore e perdizione. Alëša non ha dubbi risponde un sì convinto come testimonianza della sua fede e dell’amore che prova per Dio, tanto da rinunciare agli agi della vita per entrare in convento. Con loro c’è anche il figlio illegittimo e poi ripudiato Smerdjakòv il bravo Luigi Tontarelli, il vero assassino di Fëdor Pavlovič , la cui morte però viene imputata a Dmitrij, uno dei figli che prova il desiderio di vederlo morto. Intorno al tavolo si assiste ad un dialogo tra universi lontani tra loro, una distanza abissale in mezzo alla quale c’è un padre intento a dissacrare il sentimento religioso con racconti popolati da martiri, diavoli con gli uncini, per affermare quanto a lui non interessi nulla delle traversie umane, di giustizia e di libertà.
Francesco Borchi da vita al suo personaggio inquieto e innocente con abilità e convincente immedesimazione, rivela quella purezza da preservare in una famiglia che cova rancori tali da portare a compiere un delitto perpetuato ai danni di Fëdor Pavlovič. Il primo sentore della tragedia si ha quando irrompe sulla scena Dmitrij, il primo figlio del capofamiglia, un un impeto di ribellione e rabbia, interpretato con vigore da Fabio Mascagni, dove il suo tormento è diviso tra sentimenti di odio e gelosia per il padre, suo rivale in amore, ( entrambi bramano per la stessa donna), una fatale e seduttiva Grušenka, resa con intensità da Valentina Banci, il sentimento per Katerina Ivanovna (Elisa Cecilia Langone) sua fidanzata, e l’aspirazione a diventare immortale senza dover rinunciare alle sua passioni umane e terrene. Un uomo combattuto e rapito dalle sue debolezze ma allo stesso tempo profondamente intriso di umanità e spiritualità. È qui che Dostoevskij interviene rivelando tutte le contraddizioni dell’uomo fragile, timorato di Dio, crudele quanto vittima e carnefice di se stesso. Il genere umano alla deriva combattuto tra sentimenti d’amore e crudeltà rivolte al suo prossimo. Dmitrij rappresenta l’eroe del romanzo, che convive tra istinti primordiali e sentimenti nobili. Peccatore ma anche un uomo in cerca di un riscatto che lo salvi dallo smarrimento per una vita che lo trascina nei gorghi più oscuri, sottoposto ad un lungo ed estenuante processo a suo carico dove verrà condannato ai lavori forzati in Siberia, ma il destino lo vorrà libero come è libera la sua anima.
La figura ieratica del monaco Stàrec Zosìma ( Paolo Meloni) padre spirituale di Alëša è la voce severa che rimprovera l’uomo colpevole di adulare il denaro, di mentire. Un personaggio che parla come se fosse la coscienza di Dio all’uomo fragile. Personaggio a tratti caricaturale per una scelta registica. Il lavoro complessivo punta l’attenzione per i dialoghi che emergono nella loro potenza espressiva – narrativa, grazie anche al contributo di tutti gli attori (si distingue anche l’interpretazione di Silvia Piovan (Lise) una giovane disabile che si muove dentro un girello e Rakìtin (Daniel Dwerryhouse), ma manca di una maggiore vitalità per evitare la staticità di alcuni momenti (come nella seconda parte durante il processo Dmitrij), necessaria per far scorrere l’intera vicenda senza stacchi che “imprigionano” la bellezza del testo dalle mille sfumature che animano tutti i personaggi, in grado di emozionare e commuovere. La necessità di operare dei tagli come nel caso del capitolo “Il Grande Inquisitore“, (considerato uno dei passaggi più alti del romanzo) era dovuta al fine di ottimizzare l’economia dello spettacolo e non appesantirlo ulteriormente. L’impressione che l’attenzione si sia focalizzata maggiormente sulla caratterizzazione dei personaggi e meno sulle dinamiche che interagiscono prepotentemente, accennate per quadri come dei fermo immagini, rese vive più dall’azione movimentata dagli arredi scenici che dai moti d’animo contraddittori che alimentano tutta la dolente umanità dei fratelli Karamazov.
I fratelli Karamazov
dal romanzo di Fëdor Michailovič Dostoevskij
drammaturgia: Roberta Arcelloni e Guido De Monticelli
regia: Guido De Monticelli
scene: Lorenzo Banci e Federico Biancalani
costumi: Zaira De Vincentiis
disegno luci: Loïc François Hamelin
musiche: Mario Borciani
regista assistente: Rosalba Ziccheddu
con: Valentina Banci, Francesco Borchi, Daniel Dwerryhouse, Corrado Giannetti, Elisa Cecilia Langone, Mauro Malinverno, Fabio Mascagni, Paolo Meloni, Silvia Piovan, Cesare Saliu, Maria Grazia Sughi, Luigi Tontoranelli
produzione: Teatro Stabile della Sardegna / Teatro Metastasio Stabile della Toscana
Visto al Teatro Massimo di Cagliari il 26 marzo 2012
Repliche al Teatro Metastasio di Prato dal 11 al 22 aprile