SIRACUSA – Come si fa a mettere in scena oggi, nel 2017, una commedia di Aristofane? Da dove si comincia? certo è un’operazione difficile, complicata, artisticamente rischiosa: da un lato troppe cose sono andate perdute definitivamente per avere piena contezza di che cosa erano davvero e di come avvenivano le rappresentazioni, d’altra parte però troppa (e troppo importante) tradizione se n’è nutrita per secoli, per confinarla nel limbo di ciò che è stato e che non sarà mai più.
Né totale identità quindi, né totale alterità. Forse è facile capirlo concettualmente, meno facile è trovare sulla scena un giusto equilibrio tra queste polarità di rapporto col mondo classico. E poi c’è un’altra differenza davvero sostanziale tra le tragedie e le commedie: le tragedie hanno avuto sin dalla loro prima concezione una funzione paradigmatica, spirituale, nobilmente politica, morale, persino filosofica ma sempre rigorosamente distante dalla minuta contingenza della cronaca; la commedia greca no, almeno non quella relativa al segmento più antico della sua tradizione (V e prima metà del IV secolo), quella, per intenderci, di quel genio assoluto che è stato Aristofane. Le sue commedie sono in massima parte legate alla concreta dialettica politica e culturale di Atene, agli scontri tra fazioni, alla polemica antidemocratica, ai suoi nemici giurati, ovvero ai capipartito democratici (Cleone, più tutti) demagoghi e fanatici, a Euripide, ai sofisti. A voler trovare paradigmi teatrali in Aristofane lo sguardo dobbiamo rivolgerlo piuttosto alle forme delle sue commedie, non ai soggetti o ai contenuti, alle forme: quasi fossero, queste commedie, una primitiva, possente e davvero universale enciclopedia della comicità, di quella capacità di suscitare il riso ribaltando senza paura ogni struttura (corporale, politico, intellettuale) della normalità.
Ed è una delle commedie più famose di questo straordinario drammaturgo, ovvero le “Rane” (andata in scena nel 405 e qui nella traduzione di Olimpia Imperio), quella che ha debuttato dal 29 giugno al 9 luglio nel Teatro Greco di Siracusa. La sintesi della trama che fornisce l’Inda è breve e perfetta: «Dioniso, dio del teatro, si reca nell’oltretomba per riportare Euripide nel mondo dei vivi. Il viaggio si conclude con l’arrivo di Euripide ed Eschilo intenti ad un litigio furioso per stabilire chi dei due sia il più grande poeta tragico. A giudicare è Dioniso che, scegliendo di anteporre il senso della giustizia e il bene dei cittadini alle proprie preferenze personali, finisce per dare la palma della vittoria ad Eschilo, egli rappresenterà il salvatore di Atene dalla situazione disastrosa in cui si trova. Eschilo accetta di tornare tra i vivi lasciando a Sofocle il trono alla destra di Plutone, a patto che non lo ceda mai ad Euripide».
La regia dello spettacolo è affidata a Giorgio Barberio Corsetti, ovvero a uno registi più autorevoli e raffinati della scena nazionale; altrettanto importante è l’equipe che ha collaborato all’allestimento: Massimo Troncanetti per le scene (eleganti e lineari), Francesco Esposito per i costumi, il gruppo dei “SeiOttavi” per le musiche. In scena, tra gli altri: “Santia” Valentino Picone, “Dioniso” Salvo Ficarra (i due sono i beniamini della comicità siciliana al cinema e in televisione, vere e proprie maschere dell’attuale comicità popolare, protagonisti de le Rane), Eracle” Roberto Salemi, “Caronte” Giovanni Prosperi, “Corifeo” Gabriele Portoghese, “Euripide” Gabriele Benedetti, “Eschilo” Roberto Rustioni. Il Coro è interpretato dall’Accademia d’Arte del Dramma Antico. Come si è mosso Barberio Corsetti in questo contesto? Ha scelto di volare basso, di non rischiare, ha visibilmente coltivato le virtù dell’eleganza, della sobrietà, della misura, piuttosto che lasciar traboccare la forza dirompente della comicità aristofanesca. Ha lasciato insomma che Ficarra e Picone, consentendolo il testo (ovvero soprattutto nella prima parte con la tragicomica discesa agli inferi di Dioniso e Santia), restassero se stessi Ficarra e Picone nei panni di Bacco e del servo. L’ingresso del coro delle rane dell’oltretomba è certo fulminante: le rane gracchianti (i cantanti dei SeiOttavi) sanno davvero essere all’altezza del titolo di questa commedia per forza, per ironia, per leggerezza (anche se poi scompaiono nettamente senza lasciare segno o traccia nel resto dello spettacolo). Quindi le parti corali passano al vasto gruppo degli iniziati dei sacri misteri eleusini (in costumi semplici e dalle bellissime nuances del rosso, dell’arancione, dell’ocra e del giallo): sono ancora i Sei Ottavi a rendere, naturalmente, quasi automaticamente, musicali questi momenti di coralità e bravissimo è il corifeo (Gabriele Portoghese) a svelarne, con sostenuto e pacato distacco, le interne significazioni.
Il climax ascendente è da una parte agevolato dalla veloce mobilità del coro e degli elementi scenografici (blocchi di materiale bianco e pareti finestrate di ferro e ruggine, con una concezione della scena basata anche questa volta, come nelle precedenti tragedie, sul rifiuto di un’eccessiva invasività negli spazi del grande, ma antichissimo e quindi fragile, Teatro Greco), ma dall’altra parte è indebolito, se non proprio vanificato, da un certo calo del ritmo e della tensione comica nel momento del grande agone tra Eschilo ed Euripide. Una scena non ricca di verve comica (che certo non si recupera con le riprese video in diretta dei volti buffi dei personaggi o con trovate di non grande respiro) e connotata quasi in modo didascalico, fermo restando che il tema complessivo della commedia non è l’utilità della arte e della cultura nella Polis, ma la prevalenza in essa di un’arte (tragica soprattutto) connotata e orientata moralmente, esplicitamente educativa e di qui la vittoria di Eschilo nell’agone che lo ha opposto ad Euripide. L’effetto complessivo è gradevole, lo spettacolo interessante e con molte potenzialità inespresse, ma resta certo al di sotto delle diffuse (e legittime) aspettative. Infine, proprio nell’ultimissimo segmento dello spettacolo, la sorpresa di un breve video in cui Pasolini e il grande poeta Eszra Pound s’incontrano per un dialogo che s’immagina di riconciliazione tra idee e mondi poetici diversi e lontani.
Una conclusione geniale in un certo senso, ma anche uno spreco imperdonabile: quale chiave migliore infatti, di quel breve video in bianco e nero, per realizzare uno spettacolo dotato di senso autonomo? Quale abbrivio più fecondo e vitale per costruire dalle fondamenta uno spettacolo necessario, intriso di storia e cultura, di un passato sfuggente e di un presente pensato e non subìto? Per realizzare, insomma, uno spettacolo pienamente indipendente dalla capacità di far ridere di due maschere molto divertenti certo, nella piena e onesta misura del loro lavoro, ma lontane anni luce dall’ aristocratica ferocia della drammaturgia di Aristofane.
Regia di Giorgio Barberio Corsetti, traduzione di Olimpia Imperio. Massimo Troncanetti, scene; Francesco Esposito, costumi; i “SeiOttavi” musiche; Igor Renzetti, riprese video. In scena: “Xantia” Valentino Picone, “Dioniso” Salvo Ficarra, “Eracle” Roberto Salemi, “Morto” Dario Iubatti, “Caronte” Giovanni Prosperi, “Corifeo” Gabriele Portoghese, “Eaco” Francesco Russo, “Servo” Dario Iubatti, “Ostessa” Francesca Ciocchetti, “Platane” Valeria Almerighi, “Euripide” Gabriele Benedetti, “Eschilo” Roberto Rustioni, “Plutone” Dario Iubatti. Coro di Rane della palude infernale, SeiOttavi. Coro dei sacri iniziati ai Misteri Eleusini – Dannati e Marionettisti, Accademia d’Arte del Dramma Antico, sezione Scuola di Teatro “Giusto Monaco”. Produzione INDA.
Crediti fotografici: Franca Centaro, Gian Luigi Carnera,