RUMOR(S)CENA – REDAZIONE – Il festival D’ARTE DAL VIVO è stato ideato dal collettivo Clochart con la direzione artistica di Michele Comite: trasversale ed inclusivo per aver coinvolto quattro comuni del Trentino, Ala-Brentonico- Mori e Rovereto. Pensato per i bambini, per gli adolescenti ma anche per un pubblico adulto, dove le distanze sono colmate dalla Cura e Professionalità di un collettivo che da nove anni lavora nel settore del teatro ragazzi.
L’accoglienza è parte integrante delle performance grazie alla collaborazione con la cooperativa, la rete, con il progetto, collegati tra di loro. Il percorso prevedeva una fase preliminare di formazione teorica curata dal regista Michele Comite . Successivamente gli studenti hanno assistito agli spettacoli portati in scena fra Rovereto, Ala, Mori e Brentonico, all’interno della Rassegna teatrale Cura il futuro, per poi esercitarsi nella scrittura guidati dalla consulenza del critico teatrale e direttore responsabile di rumor(s)cena, per pubblicare le loro recensioni. Gli studenti – partecipanti al laboratorio hanno potuto usufruire anche della possibilità di incontrare/intervistare sia gli attori e/o i registi e di assistere all’allestimento scenico degli spettacoli. L’istituto Liceo Rosmini di Rovereto, coadiuvati dalla professoressa Silvia Pontiggia, aveva l’obiettivo di potenziare l’offerta formativa degli studenti e favorire lo sviluppo delle competenze in ambito scientifico storico e umanistico, promuovendo in collaborazione con strutture esterne, presenti sul territorio, l’attività di tirocinio curricolare. Attraverso queste iniziative gli studenti sono stati messi nelle condizioni di utilizzare le conoscenze e le abilità personali in situazioni di lavoro o di studio. Nel progetto i risultati raggiungibili e condivisi da entrambe le parti risultano essere i seguenti:
obiettivi trasversali:
– svolgere i compiti assegnati con puntualità, precisione ed autonomia;
– apprendere le procedure collegate alle attività svolte, operando nell’ambito lavorativo specifico
– apprendere a svolgere le attività assegnate dal responsabile dell’associazione
– apprendere ad analizzare e valutare criticamente il proprio lavoro e i risultati ottenuti
– sviluppo delle abilità relative al team work
obiettivi disciplinari e tecnico professionali:
-apprendere a conoscere i compiti delle diverse figure professionali che operano all’interno del mondo del teatro dalla cui sinergia nasce l’allestimento dello spettacolo teatrale
– apprendere cosa sia e come operi una testata giornalistica on-line
– apprendere le tecniche di scrittura giornalistica richieste dalla recensione teatrale e per realizzare le interviste
Michele Comite
L’esperienza condotta con le studentesse e gli studenti del Liceo Rosmini di Rovereto ha permesso di approfondire insieme a Michele Comite (direttore artistico del Festival d’Arte dal Vivo e curatore della rassegna Cura il futuro) e Silvia Pontiggia, (docente di greco e latino al Liceo Rosmini di Rovereto), l’avvicinamento ad uno sguardo critico per poter esercitare la funzione di scrivere dopo aver assistito agli spettacoli teatrali.
Il teatro non ha la responsabilità di riprodurre la vita quotidiana ma di suscitare delle riflessioni, problematizzarla, offrire l’occasione per interrogare e interrogarsi. Non certo quella di fornire risposte esaustive o una “verità” che molti ritengono indispensabile. La verità è un dato soggettivo e non può essere trasmissibile come concetto universale, specie se affrontiamo con uno sguardo critico, la poetica, lo sviluppo drammaturgico che sta alla base di un testo teatrale. La critica può contribuire a favorire una lettura della messa in scena ma se tiene conto anche di questo principi. Non può e non deve dare risposte esaustive e definitive ai lettori e nemmeno agli artisti. Lo sguardo critico ha delle caratteristiche ben precise in quanto è dotato di strumenti di osservazione, analisi e sintesi, ma deve evitare di concentrarsi sulla convinzione di esercitare un linguaggio spesso non comprensibile al suo referente principale al quale si dovrebbe rivolgere: lo spettatore.
Le recensioni degli spettacoli visti dal gruppo partecipante al laboratorio come esperienze di sguardi critici genuini senza filtri, in cui è possibile rintracciare una partecipazione alla visione degli spettacoli mediata dalla passione, dall’ interesse per la cultura: il sostegno della Scuola è indispensabile. A loro è stata data la possibilità di sperimentare da vicino un’osservazione mirata a teatro, anche dietro le quinte, con l’entusiasmo che gli adulti non colgono.
R.R.
Progetto alternanza scuola – lavoro
FELICE GIMONDI UNA VITA A PEDALI
Nonostante il titolo dell’opera sia “Felice Gimondi. Una vita a pedali“ non si deve pensare che nel corso dello spettacolo venga raccontata la biografia del noto ciclista italiano. Scopo dell’opera è infatti quello di far vivere allo spettatore le emozioni e le sensazioni provate dal personaggio nei momenti decisivi della sua vita. In scena sono infatti presenti solamente l’attore e il musicista, che suona la fisarmonica, sicché l’attenzione può focalizzarsi sulle emozioni del protagonista. C’è inoltre un intento pedagogico, seppure secondario, perché non solo osserviamo gli avvenimenti che si svolgono nella sua psiche, ma si espongono anche le conclusioni quasi filosofiche che il personaggio deduce da quanto gli accade. Questi intenti in un primo momento falliscono brutalmente qualora lo spettatore ignori la biografia di Felice Gimondi, da cui viene tratta l’opera, poiché mancano i preliminari che sono in questo caso essenziali. Si pretende infatti che lo spettatore si muova subito in un contesto totalmente sconosciuto sicché la costrizione cui è sottoposto lo spinge a disprezzare la drammaturgia o in ogni caso non favorisce il gradimento dell’opera.
Ad ogni modo l’intento di ripercorrere la vita del famoso ciclista in questa chiave nuova e più emotiva viene realizzato dalla drammaturgia. Nella messa in opera l’immedesimazione nel personaggio da parte del pubblico, estremamente necessaria, avviene non all’inizio, non essendo presenti preliminari, ma più tardi, in un momento che cambia in base alla sensibilità di ciascuno. Nonostante ciò potenzialmente tutti riescono a immedesimarsi completamente nel momento della spannung, (voltaggio) anche grazie al fatto che è l’episodio che presenta la maggior fluidità tra tutti. Dunque per quanto l’opera di per sé realizzi i propositi posti inizialmente potrebbe raggiungerebbe la sua forma ottimale con un approccio meno impetuoso cercando quindi di coinvolgere il pubblico in maniera più graduale.
Damiano Felis
FELICE GIMONDI UNA VITA A PEDALI
Pedalare e non fermarsi… Questo fa Felice Gimondi, non perde mai di vista l’obbiettivo : arrendersi non è un’opzione, deve tenere duro, tagliare il traguardo e vincere. Felice è stato un ciclista professionista che ha portato alla sua patria numerose vittorie. Proprio in questa realtà veniamo proiettati quando guardiamo lo spettacolo “Gimondi, una vita a pedali” di Paolo Aresi. Una scenografia semplice ma efficace : uno sfondo nero e delle ruote di bicicletta. La bravura dell’attore Matteo Bonanni nell’utilizzo della voce è poi impressionante, poiché in un lungo monologo riesce a riportare in vita diversi personaggi che hanno fatto parte della vita di Felice, giovani e anziani. Avrei forse apprezzato un utilizzo maggiore del corpo, dal momento che trattandosi di un tema sportivo, la fisicità e la tensione dei muscoli sono fondamentali. Punto forte dello spettacolo è il modo in cui lo spettatore viene a trovarsi trasportato dalle emozioni, dai pensieri di Gimondi, assaporandone l’adrenalina e la tensione. Lo spettacolo è apprezzabile soprattutto per gli appassionati di ciclismo, ma lo consiglierei anche a chi non conosce bene questo mondo : la storia di Felice è infatti di ispirazione per tutti in quanto spinge a sopportare la fatica, superare le difficoltà e pedalare fino al traguardo.
Alessia Canzoneri
FELICE GIMONDI UNA VITA A PEDALI
In attesa che passasse il Giro d’Italia per le strade della città di Ala, la compagnia teatrale deSidera Teatro ha messo in scena la storia della vita del campione di ciclismo, Felice Gimondi. Fin da subito, grazie alle efficaci parole di Matteo Bonanni che mi permettevano di immaginare la scena, mi sono sentita catapultata indietro nel tempo, nel secondo dopoguerra, nell’infanzia di Felice e nel suo grande sogno: salire in sella ad una bicicletta e diventare un campione. La modesta scenografia, costituita solamente da ruote di bicicletta e una panca bianche, faceva solo da contorno allo spettacolo, ma l’attore sul palco con le parole e i pochi movimenti, è stato in grado di dare vita a tutto il palco, mantenendo lo sguardo del pubblico fisso sulla propria figura, nonostante l’uso del corpo fosse molto ridotto e i pochi momenti in cui faceva girare le ruote. L’immagine che scaturiva nel complesso mi faceva percepire la fatica e il sudore, ma soprattutto la passione che attraversava le vene di Felice Gimondi. La narrazione era intervallata da intermezzi di fisarmonica, un sottofondo musicale dal vivo, che però ho trovato poco utile al fine della narrazione, talvolta quasi distraente e che copriva le parole. Per quanto riguarda il monologo, accompagnato da un grande schermo alle spalle dell’attore con proiettati dei video di Gimondi stesso, si è trattato di un testo molto coinvolgente. A partire dall’infanzia di Felice, da piccolo quando guardava alla tvle gare di ciclismo con la sua famiglia e tifava Coppi invece che Bartali, ma non poteva dirlo, o quando faceva a gara in bicicletta con gli amici lungo la val Brembana, in sella alla sua Ardita rossa. Lo spettacolo prosegue col descrivere la sua prima gara, quando è arrivato ultimo, fino ad arrivare ai mondiali di ciclismo di Barcellona che lo hanno reso campione. A questo punto della rappresentazione l’attore gira la panca, la trasforma in una bicicletta e inizia a pedalare: il monologo si fa serrato, parla sempre più veloce, aumenta la tensione e la suspense, tra le incitazioni fra sé e sé, “dai, Felice, dai!”, e la sua stessa incredulità, Gimondi vince e diventa campione del mondo. Si tratta di uno spettacolo davvero intenso che lascia spazio di riflessione allo spettatore in quanto il climax ascendente di tensione che porta lo spettacolo alla sua conclusione lascia quasi spiazzato con la brusca fine.
Alisia Aurora Calzà
Visto al Palazzo Taddei di Ala (Trento) il 21 maggio 2021.
GIMONDI: UNA VITA A PEDALI
A Palazzo Taddei di Ala è andato messo in scena lo spettacolo “Gimondi: una vita a pedali” della compagnia teatrale “deSidera”. Lo spettacolo inizia con una breve presentazione degli sponsor, la cantina sociale di Ala e la cantina Mori Colli Zugna, momento che viene reso un po’ fastidioso da uno spettatore che inizia a discutere riguardo la sostenibilità di queste cantine e delle loro produzioni. Dopo questo piccolo inconveniente inizia lo spettacolo vero e proprio. L’attore inizia subito a parlare in modo concitato catapultando il lettore nel mondo del ciclismo, cosa che per i primi minuti risulta un po’ spaesante, dopo l’inizio un po’ frettoloso però lo spettatore riesce ad entrare in questo mondo e, grazie alla sua bravura, anche i meno informati vi si possono addentrare. Inizia parlando della vita di Gimondi e della sua infanzia mettendo in risalto due figure a quei tempi molto in vista nel mondo del ciclismo, Gino Bartali e Fausto Coppi, raccontando come essi ottengano il consenso popolare grazie alle loro incredibili capacità, tanto che Gimondi si ispira proprio a loro e punta a diventare come loro. Poi si passa alla narrazione dell’infanzia vera e propria, raccontando di quando Gimondi ricevette la sua prima bici, un’Ardita rossa fiammante e di come, grazie a questa bici, riesca a vincere il campionato del paese, superando tutti i suoi avversari. Poi viene raccontato di quando Gimondi andò ai mondiali di Lugano e viene raccontato il viaggio che fece per andare a vederli, evidenziando poi la bravura di Fausto Coppi che correva in quella gara e per il quale Gimondi aveva sempre avuto una grande stima. Successivamente si narra di quando il padre gli regalò una bici da corsa con la quale partecipò alla sua prima gara che purtroppo perse dopo essere caduto due volte ed essersi però sempre rialzato, rendendo il padre orgoglioso anche della sconfitta, perché dopo essere caduto non mollò ma si rimise in sella e continuò a pedalare. Poi viene raccontata la sua carriera partendo dalla sua prima gara importante, il Giro d’Italia, nel quale arrivò terzo passando poi al Tour de France nel quale arrivò primo a soli ventidue anni, e due anni dopo, a ventiquattro anni, vinse anche il Giro d’Italia, proprio come il suo mito, Fausto Coppi. Viene poi narrato il mondiale a Barcellona in cui gareggiò con il suo più grande rivale, Merckx, soprannominato “il cannibale” per la sua estrema bravura. In questa gara Merckx diede del filo da torcere a Gimondi ma lui non si arrese e arrivò al traguardo dando tutto se stesso e giungendo così alla vittoria dopo un lungo percorso faticoso e tortuoso. L’attore era perfettamente calato nel personaggio e riusciva a riempire il palco da solo, senza bisogno di grandi scenografie o altre cose, infatti la scenografia era costituita da uno sgabello che fungeva da bici e da alcuni telai delle ruote delle bici che occasionalmente venivano fatte girare dell’attore stesso. L’unica altra persona presente sul palco era il musicista che suonava la fisarmonica, dando al monologo una piacevole musicalità sottolineando i momenti di maggior tensione, anche se a volte poteva risultare leggermente troppo alta e si faticava a seguire completamente l’attore. La struttura drammatica era funzionale allo spettacolo e allo scopo storico- culturale di esso, infatti riusciva ad informare lo spettatore senza però risultare nozionistico. Appariva chiaramente la trasparenza dell’attore principale che, grazie al suo talento, è riuscito a mantenere un certo spessore morale per tutta la durata della rappresentazione teatrale. Molto convincente il ritmo scandito e rapido della rappresentazione che riusciva a contribuire a tenere lo spettatore attento e permettendo di non distrarsi. Questo spettacolo entra dentro, rende partecipe e fa tornare in quegli anni facendo provare delle sensazioni che Gimondi viveva durante le sue gare. Vale la pena prendersi un paio d’ore per andare a vederlo? Sicuramente sì, anche se non si è parte del mondo del ciclismo perché, in qualche modo, ti ci fa entrare.
Valentina Bonazza
Felice Gimondi: storia di una carriera e di un’anima
Matteo Bonanni recita un monologo tratto dal romanzo di Paolo Aresi “Felice Gimondi. Una vita a pedali”, in cui viene raccontata la storia della vita del grande ciclista, partendo dall’infanzia e dalla passione per la bici fino ad arrivare alle prime gare e al successo delle vittorie. Vengono ripercorse le tappe più importanti della vita del campione, narrate non solo in modo biografico e nozionistico, ma con sentimento e attraverso una grande e sincera partecipazione emotiva da parte dell’attore, il quale è capace di espandere ciò anche verso il pubblico.
Lo spettacolo, infatti, non ha unicamente scopo narrativo, anzi; attraverso il racconto delle grandi imprese dell’atleta si manifestano i valori di cui egli è portatore e che la sua storia tramanda: dedizione, determinazione e forza d’animo.
Anche per coloro che non ritengono di avere la passione per il mondo del ciclismo, lo spettacolo risulta entusiasmante dal momento che vengono trasmesse le intense emozioni e i sentimenti del protagonista in modo estremamente empatico, e risultano comprensibili il senso e l’essenza di questo sport, fatto di sforzo e sacrificio.
L’accompagnamento musicale della fisarmonica, suonata da Gino Zambelli, detiene un ruolo fondamentale all’interno della rappresentazione, dal momento che è possibile, in questo modo, far risaltare i momenti di maggior importanza e di suspense e conciliare il ritmo della musica a quello del racconto.
Infine, è inevitabile non venire sopraffatti dall’orgoglio durante il finale della narrazione, dal momento che viene data vita a ciò che l’atleta pensa nell’ultima parte di percorso della gara più importante della sua vita: il campionato mondiale del 1973. I pensieri, le paure e i desideri si susseguono e si sovrastano l’uno con l’altro, provocando, così, un racconto incalzante, tumultuoso ed estremamente travolgente.
Lo spettacolo termina lasciando nel pubblico un forte sentimento di ammirazione e orgoglio nei confronti una personalità tanto carismatica e prestigiosa, con la speranza e il desiderio di essere in grado, a propria volta, di mettere in atto le virtù che contraddistinguevano la sua persona.
Antonella Bosio
Felice Gimondi. Una vita a pedali
Felice Gimondi era, prima di diventare il celebre campione di ciclismo che conosciamo noi oggi, un normalissimo bambino che sognava in grande, mentre a bordo della sua fidata bicicletta rossa fiammante gareggiava con gli amici e fantasticava di diventare un giorno come i grandi ciclisti del Giro d’Italia. Con il tempo quel semplice sogno d’infanzia divenne il suo obiettivo di vita e così cominciò la lunga salita verso il successo, e si sa che ogni salita comporta fatica, dolore e sacrifici, ma quando si arriva in cima e si ammira la strada percorsa, ci si rende conto che ne è davvero valsa la pena. Quella di Gimondi è una storia carica di passione, dedizione e coraggio, una storia che insegna a rialzarsi dopo ogni caduta e che elogia l’importanza del sostegno dei propri cari, anche attraverso piccoli gesti. A mettersi nei panni del ciclista che narra la propria storia è Matteo Bonanni che, attraverso un monologo efficace e colloquiale, catapulta il pubblico in un viaggio dalle strade sterrate di un piccolo paese di periferia ai circuiti delle più note competizioni di ciclismo nazionali ed estere, accompagnati dalla fisarmonica di Gino Zambelli che ricrea perfettamente l’atmosfera paesana e casalinga nella quale Gimondi è cresciuto. L’intero discorso è incentrato sulle emozioni e sensazioni del protagonista, trasmesse con un’umanità tale da permettere anche al meno appassionato di ciclismo del pubblico di immedesimarsi nel personaggio di Gimondi. Un consiglio per chiunque sia interessato alla visione dello spettacolo è di informarsi sulla vita del ciclista prima di recarsi a teatro, sono sufficienti gli eventi essenziali senza entrare nei particolari, ma avere un’idea della storia aiuta a seguire con maggiore facilità il racconto. La vita di Gimondi può essere d’ispirazione per tutti, ci spinge a guardare dentro di noi e a chiederci quanto siamo disposti a dare pur di raggiungere i nostri obiettivi.
Teresa Turella
prosegue con la pubblicazione di recensioni riferite agli spettacoli di “Cura il futuro”