RUMOR(S)CENA – IBRAHIM – MACRO – ROMA – Attraverso un dialogo tra rappresentazioni e codici espressivi differenti (pittura, teatro/cinema, fotografia) IBRAHIM è la contemplazione di un’opera scomparsa di Géricault, che in epoca moderna nessuno ha mai potuto osservare. Il dipinto ha un titolo: “L’uomo che guarda e contempla il mare” e una scarna didascalia, recuperata da una testimonianza sicura di Blanc e Clément, già citata nel compendio dell’opera omnia del pittore francese: “Suonatore di flauto, studio d’accademia, di esecuzione assolutamente magistrale, seduto su una roccia. La gamba destra è piegata, la sinistra tesa in avanti. Delle onde battono contro la roccia. Fondo di cielo”.
Tra i progetti più rilevanti del MACRO, ospitati non a caso nel grande spazio dell’Ambiente 1, IBRAHIM riflette sul tema dello scomparso, evidentemente non solo pittorico ma anche di natura esistenziale che diviene così simbolo di fatto di odissee e naufragi anche contemporanei. A contribuire forza al progetto, infatti, proprio la connessione tra il tema dello scomparso e la storia stessa dell’attore protagonista, Ibrahima Cambai, giovane attore proveniente dalla Guinea Bissau che dopo una drammatica traversata del deserto e la reclusione in un campo di detenzione libico, approda con un gommone sulle nostre coste. Diretto sul palcoscenico teatrale dal regista e artista visivo Manuel Canelles, Ibrahima si è così trasformato nel modello pittorico del quadro, ha attivato un dialogo sommerso tra la storia raccontata nella didascalia e la sua vicenda personale, permettendo all’opera scomparsa di Gericault di prendere forma, dipanarsi dalle nebbie dell’oblio e generarsi nuovamente negli spazi di uno dei musei di arte contemporanea più rilevanti in Italia.
Al MACRO l’allestimento è pulito, semplice, di impianto classico e minimalista, contemporaneo nel contenuto, con un occhio di riguardo alla grande arte del passato. Intenso e corroborante viaggio concettuale, che coniuga sapientemente differenti linguaggi espressivi, dal teatro alla pittura passando per la fotografia.
La meticolosa ricostruzione pittorica di Ivan Crico ci restituisce un’ipotesi visiva di grande impatto,
nel rispetto dei canoni e delle tecniche di Gericault. La grande tela al centro della
parete dialoga con la grande didascalia, unica testimonianza rimasta dell’opera perduta, posizionata sulla parete opposta. In uno scambio costante e vitale, lo spettatore si ritrova coinvolto nel processo immersivo di sviluppo dell’opera. Sulla parete a sinistra del quadro, 85 fotogrammi rappresentano lo storyboard della ricerca operata dal lavoro filologico pittorico di Ivan Crico e quello concettuale di Manuel Canelles, che incorpora anche il mezzo fotografico e cinematografico nella sua opera, esponendo inoltre scatti di grandi dimensioni del corpo di Ibrahim.
Per l’allestimento al Museo di Arte Contemporanea di Roma, lo spazio respira e si rivitalizza attraverso la sonorità vocale di Erica Benfatto, la cui voce, nell’improvvisazione canora, aggiunge al progetto una dimensione quasi liturgica che vive insieme alle parole raccolte dalla drammaturga Angela Giassi. Martina Ferraretto, direttrice della fotografia, edifica una poetica della luce che restituisce al progetto l’illusione do uno spazio subacqueo, mentre il corpo della performer Silvia Morandi si confronta con l’assenza , in risonanza con l’opera di Gericault e con le rappresentazioni visive della figura di Ibrahim.
I margini di interpretazione che i racconti offrono, permettono di tradurre il perduto invisibile e dare la possibilità alla pittura di essere reinventata, ristabilendo un colloquio con la realtà contemporanea, con l’intento di problematizzare il concetto di scomparso, secondo l’assunto per cui ciò che è esistito è sempre, attraverso il filtro della memoria, anche inevitabilmente reinterpretato.
Lavorare su di un’opera di cui non sopravvivono documentazioni visive lascia infatti margini di interpretazione estremamente ampi, quasi infiniti: l’opera scomparsa diventa un pretesto per lavorare su soggetti con cui mai ci si sarebbe confrontati, e, sopratutto, diventa il punto d’avvio per avviare un’indagine di cui è impossibile preventivamente ipotizzare gli sviluppi.
Il progetto dunque riflette su quale ruolo l’arte stessa può avere nella rappresentazione dello scomparso, sul confine labile tra esistere e scomparire, tra rappresentazione e realtà.
Riuscirà, quest’opera sottratta al corso della storia, a dirci qualcosa ancora di sé o di noi? Siamo di fronte ad un mistero; qualcosa di cui quasi nulla si sa. Forse, cercando di restituirle una forma, facendola tornare di nuovo materia che si può vedere e toccare, ridonandole – ancorché trasfigurata – uno spazio tangibile nel mondo, da quest’opera scomparsa possiamo imparare qualcosa che ancora non sappiamo. La sua ombra, proiettata sul nostro presente, potrebbe diventare quel bui di cui abbiamo bisogno, nella luce che acceca del mezzogiorno, per permettere ai nostri occhi di indagare il paesaggio circostante? Quel paesaggio ridotto, fino a poco fa, a luminoso pulviscolo in cui tutto si sfoca e perde forma, come noi, nel gorgo dell’attimo, ottenebrati delle passioni? Bisogna mettersi in ascolto, lasciare che sia l’opera a suggerire un percorso da seguire, senza porsi il problema di pensare a come potesse essere in realtà ma, piuttosto, come potrebbe essere oggi, accogliendo senza timore le infinite interferenze del presente.
Ora il progetto IBRAHIM continua il proprio viaggio espositivo nelle più importanti sedi museali europee.
Ambiente #1 MACRO Museo d’Arte Contemporanea Roma dal 3 al 9 settembre 2019