BARCELLONA – Parlando di opera in musica o in modo impreciso di opera lirica soggiunge alla mente uno slogan come: “L’opera e la sua staticità”. L’opera, infatti, nel pensiero comune è generalmente legata a qualcosa di passato, di “vecchio”, di “old style”, uno svago per ricche signore che, con le loro pellicce nei freddi e bui pomeriggi d’inverno, si recano nei teatri per dar sfoggio della propria abbiente situazione sociale, per fare incontri, chiacchierare con le amiche del circolo dopo aver preso un bel te e magari chissà provare anche ad assistere a qualcosa sulla scena, ascoltare i cantanti lirici e le loro straordinarie voci. Ebbene a dispetto di quanto si pensi l’opera lirica è più viva che mai e dopo secoli continua a reinventarsi e a regalare straordinarie sorprese. Se drammaturgicamente e musicalmente poca cosa è stata fatta dagli anni cinquanta del novecento in poi, le cosiddette opere di repertorio si stanno relazionando alla scena contemporanea e in particolare all’uso delle nuove tecnologie in maniera assai sorprendente. Infatti, più che il teatro e le sue nuove drammaturgie, l’opera lirica, assieme alla danza, si sta rivelando il campo per antonomasia della sperimentazione artistica nell’ambito della regia e della scenografia. La figura del regista appunto è stata determinante per rilanciare l’opera sulla scena contemporanea. Se in passato era il direttore d’orchestra a muovere tutti i fili, adesso registi teatrali di fama internazionale si dedicano attivamente all’opera lirica portando dentro la propria visione artistica. Roger Savage, noto musicologo, nel suo saggio Allestire l’opera si occupa proprio di descrivere quali siano oggi le modalità più ricorrenti per mettere in scena un’opera di repertorio. Tra queste ne individua una secondo la quale l’opera di repertorio diventa “uno stimolo diretto e non vincolante” che permette al regista di dar libero sfogo all’estro e all’immaginazione dell’arte del teatro. Il Flauto Magico di W. A. Mozart andato in scena al Gran Teatre del Liceu è emblema di questa tendenza che caratterizza la messa in scena di opere in musica a partire dalla fine del Novecento.
Il Flauto Magico è l’ultima opera di Mozart, andata in scena nel 1791 pochi mesi prima della morte del compositore. Tecnicamente viene definita Singspiel in due atti, forma popolare tedesca che, accanto al canonico canto, include dialoghi parlati. Il libretto in tedesco, scritto da Emanuel Schikanader, narra di magiche e incantevoli vicende ambientate in un fantasioso quanto improbabile Egitto che coinvolgono la vita del principe Tamino, il quale, dopo essere stato attaccato da una mostruosa creatura, viene salvato da tre fanciulle appartenenti alla Regina della Notte. Durante questa disavventura incontra Papageno, cacciatore e venditore di uccelli. La Regina della Notte decide di incontrare Tamino per chiedergli di salvare, con l’aiuto di Papageno, la figlia Pamina, prigioniera a suo dire del perfido Sarastro. In cambio della liberazione egli potrà sposare la figlia. Per affrontare l’impresa i due ricevono dei doni: un flauto per Tamino e un campanellino per Papageno che, se suonati, li libereranno dai pericoli. Giunti nel regno di Sarastro si accorgono che in realtà è la Regina della Notte a essere la forza del male. Sarastro promette a Tamino di darle Pamina in sposa solo se supererà tre prove. Grazie all’aiuto dei magici strumenti in dotazione i due avventurieri superano le prove e ottengono in cambio due spose: Pamina per Tamino e Papagena, un’orribile vecchia che si tramuta in splendida ragazza, per Papageno.
Si tratta dunque di una vicenda così paradossale, straniante e affascinante tale da permettere a registi e scenografi di dar libero sfogo alla loro creatività e alla propria visione artistica. È quanto accade nell’edizione andata in scena al Liceu, che presenta una messa in scena tecnologica contemporanea ma che allo stesso tempo strizza l’occhio anche al passato per una sorta di revival nostalgico. Il Flauto Magico è una produzione del Komische Oper Berlin, con la regia di Suzanne Andrade e Barrie Kosky, i video di Paul Barrit e concepita dal gruppo britannico 1927 insieme a Barrie Kosky. Fondata nel 2005 da Paul Barrit, animatore e illustratore e da Suzanne Andrade, scrittrice e performer, la compagnia 1927 lavora da sempre sull’unione di performance live, tecniche di animazione e musica.
Se si osserva la scena contemporanea internazionale si può affermare che oggi molte compagnie adoperano videomapping e videoproiezioni digitali nelle proprie creazioni. Stessa cosa fa la compagnia 1927 ma con una particolarità: legare le tecnologie digitali di ultima generazione con uno stile vintage che spesso fa dimenticare di avere davanti agli occhi delle scene create con l’ausilio di dispositivi informatici. Questa è la loro cifra stilistica e Il Flauto Magico non è da meno. Appena si entra in teatro si ha l’impressione che il palcoscenico del Liceu sia ancora chiuso, poiché quello che si potrebbe definire tagliafuoco, di un colore uniforme bianco, è ancora abbassato. Osservandolo con attenzione, con le luci di sala ancora accese, si scorgono su di esso come dei tagli geometrici e precisi, delle finestrelle, delle piccole porte che potrebbero aprirsi. Le luci di sala si spengono, l’orchestra apre l’opera ma il tagliafuoco non sale, piuttosto si ricopre di una magica pellicola di luce, una proiezione, un videomapping. Tutto lo spettacolo dunque si svolge sul proscenio, quelle finestrelle che si intravedevano prima dell’inizio si aprono realmente e permettono ai cantanti di comparire sulla scena, ma non sul palcoscenico, piuttosto di rimanere attaccati allo stesso fondale su due differenti livelli d’altezza.
I cantanti sono come delle protuberanze, degli elementi tridimensionali in una scenografia d’animazione digitale completamente 2D che però evoca scenari e immagini d’altri tempi, in primis il cinema espressionista tedesco, poi i primi corti d’animazione e più in generale il cinema muto, tanto che le parti parlate del Singspiel appaiono come vere e proprie didascalie del cinema d’altri tempi. Le immagini che si susseguono nel corso dell’opera sembrano fotogrammi tratti da Il Gabinetto del Dottor Caligari di Robert Wiene in particolare per le sue scenografie oblunghe, piatte, irreali che entrano in contrasto con il volume degli attori. I cantanti de Il Flauto Magico inoltre non solo apportano volume alla scena ma talvolta anche i colori su alcune scenografie monocromatiche. I riferimenti all’espressionismo tedesco sono tanti.
Il covo di Sarastro, per esempio, sembra una stilizzazione degli scenari di Metropolis di Fritz Lang. Lo stesso Sarastro inizialmente appare come un automa digitale, una rievocazione della donna robot di Metropolis, una grande testa piena di marchingegni e parole che ricordano le “parole in libertà” dei futuristi. I riferimenti però non sono solo al cinema tedesco, la messa in scena, infatti, strizza l’occhio anche al genere slapstick statunitense degli anni venti e il Tamino della scena iniziale che, attaccato dal mostro, corre in modo goffo e divertente ricorda le tante strambe corse di Charlot-Chaplin. Il passaggio dalle scene monocromatiche o con tinte abbastanza scure a quelle più colorate e floreali ricordano invece uno dei primi film in Technicolor Il Mago di Oz di Victor Fleming e in particolare proprio il passaggio dal Kansas bianco e nero al regno di Oz a colori.
Se si compara la scenografia digitale di questa produzione con i molti corti d’animazione d’origine, i riferimenti sono davvero tanti. Il videomapping de Il Flauto Magico sembra una riproposizione digitale critica e sapiente dell’animazione del passato. Le prime similitudini che si scorgono con l’animazione del passato sono evidenti nei cantanti. Se gli ideatori, ad esempio, sostengono che il personaggio di Pamina sia ispirato all’attrice degli anni venti Louise Brooks, è abbastanza evidente poter notare la sua somiglianza, soprattutto quando rimane sulla scena con abiti succinti, a uno dei personaggi più noti del cinema di animazione, la Betty Boop inventata dai fratelli Fleischer negli anni trenta del novecento, ragazza sexy ma allo stesso tempo innocente che viene spesso catapultata in una serie di avventure fatte di mostri e fantasmi come accade alla stessa Pamina. I riferimenti disneyani poi sono tantissimi, dalla Regina della Notte, vedova nera ma anche scheletro che ricorda il famoso Skeleton Dance, la danza degli scheletri, uno dei primi corti animati di Walt Disney, allo stesso gatto digitale che accompagna Pamino che sembra provenire dallo stesso corto, fino agli elefanti rosa che circondano pericolosamente Tamino come in Dumbo. Se dai personaggi si passa ad analizzare le ambientazioni e l’animazione in toto, i riferimenti ritornano invece a quell’Europa degli anni venti, fonte principale di ispirazione per la compagnia 1927. L’esempio più evidente è senza dubbio uno dei più antichi film di animazione, Achmed, il principe fantastico della tedesca Lotte Reiniger, un lungometraggio realizzato mediante l’animazione di silhouette. Il confronto tra i fotogrammi del film e l’animazione de Il Flauto Magico rendono evidenti i loro contatti profondi, soprattutto per la resa stilizzata dell’esoticità tipica dei luoghi d’ambientazione di entrambi i racconti e per l’altrettanto voluta stilizzazione dei personaggi presenti nelle due animazioni come animali e sagome d’uomo. Più in generale i riferimenti sono al cinema d’animazione astratto a cavallo tra gli anni venti e trenta soprattutto per i tratti e per l’uso dei colori.
I cantanti si integrano alla perfezione in quest’atmosfera e nonostante la loro tridimensionalità diventano parte integrante di quest’esperimento di live animation. Ciononostante la loro presenza scenica è più evidente sul piano visivo piuttosto che sul versante del canto. Non che i cantanti non siano stati all’altezza, la Regina della Notte per esempio è stata acclamata a furor di pubblico alla fine della rappresentazione ma la componente visuale della messa in scena è così potente e preponderante che a volte mette in ombra la musica e il canto, che dovrebbero essere i protagonisti assoluti di un’opera e che invece si trovano assorbiti da un mondo contemporaneo e allo stesso nostalgico, costruito da un lato con le nuove tecnologie e dall’altro con l’estetica delle prime avanguardie. Prodotto tipico del postmodernismo, questa edizione del Singspiel reinterpreta le forme estetiche del passato con l’obiettivo di rendere dolce e godibile un’opera come Il Flauto Magico che, pur nella sua leggerezza narrativa, appare spesso ostica e ardua da rimettere in scena.
Visto al Gran Teatre del Liceu (Barcellona) il 27 luglio 2016
Musical Director : Henrik Nánási, Stage Director: Suzanne Andrade, Barrie Kosky Video: Paul Barritt, Original Idea IDEA «1927» (Suzanne Andrade and Paul Barritt) and Barrie Kosky; Set and Costume Design Esther Bialas; Dramaturgy Ulrich Lenz; Lighting: Diego Leetz: Production Komische Oper Berlín; Symphony Orchestra and Chorus of the Gran Teatre del Liceu; The singers and music director are members of the Kömische Oper Berlin company