Spettacoli — 12/10/2024 at 14:46

“No”: un rifiuto che emerge dal mondo giovanile (ma non solo da quello)

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RUMOR(S)CENA – MILANO – Sembrerebbe incongruo collegare la figura di una energica ragazza in calzoni cargo e maglietta a scacchi bianchi e neri, e quella di un “compassato, scialbo gentiluomo – uscito dalla penna di Herman Melville – che, a fine ‘800, si muove nel Financial District di Downtown Manhattan, a New York”, fra uomini vestiti come lui. L’inizio della performance di No, di Annalisa Limardi, è un ”a solo” sostanzialmente mimico-coreutico, scandito da una colonna sonora molto ritmata

Ma, dopo qualche minuto, entra in scena una seconda presenza che riesce a trasformare in un dialogo quello che, sotto molti rispetti, sarebbe un monologo: un interlocutore virtuale: un microfono che interloquisce anche con una voce fuori campo, una presenza che si fa  via via più invasiva e insinuante – anche  sessualmente. A queste provocazioni Annalisa comincia a reagire in modo ostinato, con una serqua di “No”; ed e qui che mi è venuto in mente il tormentone di Bertleby lo scrivano, il personaggio creato da Melville e il suo discreto, ma definitivo, “I would prefer not to (preferirei di no)“, che lo porterà all’annientamento.

E mi sembra che, pur in un registro espressivo lontano anni luce, e in un contesto sociale e antropologico diverso, la giovane autrice e performer voglia dar forma a quello stesso disagio esistenziale, a un rifiuto della realtà che attraversa secoli e generazioni. Sul piano drammaturgico, la sua invenzione più interessante consiste proprio nell’espediente con cui, nel corso della performance, un monologo si trasforma in un dialogo serrato. Annalisa si crea così una spalla virtuale: un microfono, innestato su un’asta in mezzo alla scena, che interagisce con lei, ponendole domande via via più personali, più insinuanti; una presenza che diventa anche un oggetto da manipolare, con cui stabilire un rapporto fisico, quasi di intimità. Ne nasce un quadro, sminuzzato e caotico, fatto di piccoli disagi, di situazioni anche minimali e banali, che si direbbero permeare le richieste del mondo esterno verso quello giovanile, esplorandolo in modo asistematico con  un rivolo di proposte (dalla voglia di mangiare spinaci fino all’uso del preservativo, all’aspirazione a essere più bella).

Ma a chi appartiene questa voce fuoricampo? È quella di una coscienza tacitata? A tali di richieste Annalisa non si sente in grado di opporsi razionalmente, ma solo con una reiterazione mutuata, forse, da certi teneri vezzi degli anni infantili. Alla gente della mia generazione è caro ricordare la poesia Lo Zuccone, di Lina Schwartz, di cui riporto l’incipit:

Ho detto di no
e non lo farò!
Che se per natura
la testa l’ho dura,
cambiar non si può,
ho detto di no.

Una poesia che si inserisce a buon diritto in una antologia del rifiuto che, (si parva licet componere magnis), sul piano letterario, potremmo far risalire fino a Goethe, che identifica il demonio con “Lo spirito che nega” Il testo di Annalisa Limardi , malgrado l’apparente disordine espressivo, cui contribuisce l’invadente contrappunto mimico-coreutico, è strutturato in quattro momenti, che hanno una loro successione logica;

1.Intro

2. Domande, Richieste e Pretese.

3. Senso di colpa

4. Manifesto dei no mancati e dei si sinceri

In quest’ultimo, la performer si esprime in una prosa ritmica e rimata (in una metrica che fa pensare ai versi martelliani), fino a chiudere con un ultimo “No” – questa volta meno perentorio, Nel complesso, un lavoro degno di attenzione, colmo di suggestioni – sia formali, sia di contenuto – che , in una successiva rielaborazione, potrebbero trovare ulteriore sviluppo. Platea stracolma di giovani entusiasti.

                       

Visto il 27 settembre 2024 al Teatro Litta di Milano

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