RUMOR(S)CENA – BASSANO DEL GRAPPA – Indagare l’animo umano per scoprire le “sue differenti declinazioni, le narrazioni”: questo è il mandato di B.Motion Teatro – Opera Estate di Bassano del Grappa edizione 2021, al fine di capire cosa abbia determinato e “costruito per raccontare e per affrontare il nostro tempo”. E così è stato. A interpretarlo sulla scena sono stati scelti tra gli altri, il Teatro Sotterraneo con l’Atlante linguistico della Pangea; e “una drammaturgia sulle relazioni e l’incomunicabilità”; il Teatro dei Gordi con Pandora per andare “oltre le barriere linguistiche”; “il desiderio di un altrove perfetto” in Corcovado di Lorenzo Gleijeses. Roberto Magnani e il Teatro delle Albe con il Moby Dick tratto da Melville, e la compagnia Menoventi capace di affrontare il mistero della morte di Majakovskij con uno degli spettacoli più riusciti di tutta la programmazione artistica vista negli ultimi anni: “Il defunto odiava i pettegolezzi“. E ancora la presenza di Eugenio Barba. Sono alcuni degli artisti scelti da Rosa Scapin direttrice artistica di un festival da sempre in prima fila per la sua capacità di avere uno sguardo sulla contemporaneità e le sue contraddizioni sociali, culturali e umane. Un teatro capace di interrogarsi e di portare uno spunto critico senza mai perdere il piacere dell’intrattenimento e, non ultimo, il divertimento come momento di aggregazione sociale.
Negli anni B.Motion ha creato una cultura della visione ad ampio raggio dove lo spettatore /pubblico poteva entrare in contatto ravvicinato con gli artisti grazie alle proposte di teatro partecipato, coinvolgendo la città stessa e i suoi abitanti, capace di creare forme di aggregazione sociale. Tra gli spettacoli scelti e visti, “Il defunto odiava i pettegolezzi”, dei Menoventi è quello che a distanza di tanto tempo suscita ancora un ricordo indelebile. La sensazione provata al Teatro Remondini è quella di aver assistito ad una sorta di traguardo di un percorso di ricerca, studio e analisi che non è esagerato definire magistrale. Gianni Farina, regista e drammaturgo lo esplicita in uno scambio epistolare con chi scrive, su precisa richiesta al fine di contestualizzare quanto creato per la scena: «Si tratta di un progetto triennale dedicato a Majakovskij, capitolo conclusivo di un percorso nato con la messa in scena de “L’incidente è chiuso” nel 2019 e che aveva debuttato a Bassano del Grappa sempre nell’ambito di Bmotion Opera festival, il primo passo di un percorso di produzione che si concluso con “Il defunto odiava i pettegolezzi”, spettacolo tratto dall’omonimo romanzo-indagine di Serena Vitale (edizioni Adhelpi 2015) .
Questo primo capitolo si focalizza sull’ossessione di Majakovskij per il viaggio nel tempo, manifestazione di una profonda fascinazione verso l’incipiente teoria della relatività – spiega Gianni Farina– dove il poeta apostrofò più volte gli “spettabili discendenti” di un altro secolo per chiedergli asilo, supplicandoli a volte dalle pagine dei suoi componimenti. Il motivo della resurrezione, di una seconda possibilità, di una nuova vita in un remoto futuro si aggrappa con fiduciosa tenacia all’innovazione scientifica, che allora come oggi sembra legittimare la frenesia del poeta: il tempo, così come lo conosciamo non esiste. Potrebbe essere utile leggere anche le presentazioni degli altri nostri progetti: Avanti, tempo! – menoventi
Le fonti che hanno ispirato lo spettacolo, la nostra passione e l’assillo di Majakovskij. La sua opera che citiamo di più nel lavoro è senz’altro il poema “di questo“, una delle molte produzioni che vedono il poeta viaggiare nel futuro. Sempre su tale concetto è interessante citare una testimonianza di Roman Jakobson ( nato in Russia, è stato linguista, semiologo, traduttore russo e studioso della letteratura slava, ndr) che scriveva: “Nella primavera del ‘20 Majakovskij mi costrinse a ripetergli più volte quel che sapevo sulla teoria della relatività generale e sulle dispute che essa aveva suscitato. La liberazione dell’energia, il problema della durata, la questione se una velocità che superi quella della luce non sia un movimento inverso nel tempo: tutto ciò entusiasmava Majakovskij. Di rado lo avevo visto così attento e assorto. ‘Non pensi – mi chiese d’un tratto – che in tal modo verrà conquistata l’immortalità?’ lo guardai con stupore, borbottando parole di dubbio. Ma lui, con la sua ostinazione ipnotizzante, nota di certo a tutti coloro che lo conobbero da vicino, contrasse gli zigomi, esclamando: ‘Ed io sono invece perfettamente convinto che non ci sarà più la morte. I defunti saranno resuscitati. Troverò un fisico che mi spieghi punto per punto il libro di Einstein. Non è possibile che io non abbia capito. Gli pagherò la razione accademica.’ In quell’istante mi si rivelò un Majakovskij del tutto diverso, dominato dalla necessità di vincere la morte. Meditava allora di inviare a Einstein il radiomessaggio: ‘Alla scienza del futuro l’arte del futuro’».
Poter usufruire di queste informazioni così preziose permette, a chi ha assistito alla messa in scena, di approfondire la ricerca drammaturgica dell’artista e avere la possibilità di affiancare il lavoro registico come supporto analitico e critico. Un progetto così denso di rimandi e citazioni letterarie/storiche culturali, non può esimersi dalla conoscenza del percorso intrapreso, pena una lettura superficiale della visione teatrale. I Menoventi si distinguono da sempre per la loro cura nel preparare i loro spettacoli a cui va dato un valore aggiunto: far conoscere al pubblico tematiche complesse con una creazione artistica in grado di raggiungere anche il cuore e le emozioni del pubblico. Capire cosa sta dietro lo studio di progettazione di un progetto teatrale è determinante per capire la poetica dell’artista e della Compagnia che sta alla base del loro lavoro. Con i Menoventi c’è questa possibilità e diventa occasione di conoscenza che va oltre e permette di ampliare le proprie conoscenze culturali. Una sorta di reciproco scambio dove il critico si affianca al lavoro del regista e interprete com’è Gianni Farina insieme a Consuelo Battiston, ideatori e loro stessi protagonisti sulla scena, affiancati da Tamara Balducci, Leonardo Bianconi, Federica Garavaglia, Mauro Milone.
La morte e la necessità di trovare delle risposte, l’affanno di Majakovskij nel voler trovare una soluzione che permetta di risuscitare i defunti, il concetto del tempo, la teoria della relatività , la sua ostinazione e il finale dove resta l’alone di mistero sulla sua morte archiviato come suicidio. Tutto questo lo si può ritrovare in “Il defunto odiava i pettegolezzi”, messo in scena con grande cura e perfezione tanto da essere considerato un allestimento rigoroso, geometrico, disegnato con una geometria drammaturgica e scenica di assoluta trasposizione dai materiali letterari alla versione recitata. La consultazione bibliografica operata dai Menoventi per produrre lo spettacolo è imponente, densa di di rimandi e Gianni Farina evoca ancora un brano di Roman Jakobson che a ragione definisce «incredibilmente attuale, a volte per assonanza con i nostri giorni, a volte per opposizione. si tratta della parte finale di “una generazione che ha dissipato i suoi poeti”, scritta pochi mesi dopo il suicidio di Majakovskij»:”Noi ci siamo gettati con troppa foga e avidità verso il futuro perché ci potesse restare un passato. S’è spezzato il legame dei tempi. Abbiamo vissuto troppo del futuro, pensato troppo ad esso, in esso troppo creduto, e abbiamo perso il senso del presente. Noi siamo i testimoni e i compartecipi di grandi cataclismi sociali, scientifici e d’altri ancora. La vita quotidiana è rimasta indietro. Abbiamo letto pagine severe sulla vecchia vita dei nostri padri, ma i nostri padri avevano ancora fede nel suo carattere confortevole e universale. Ai figli è rimasto soltanto un odio nudo per quella logora vita. Neppure il futuro ci appartiene. Tra qualche decennio ci affibbieranno duramente il titolo di “uomini dello scorso millennio”. Avevamo soltanto canzoni affascinanti che ci parlavano di futuro, e d’un tratto queste canzoni si sono trasformate in fatto storico-letterario.
Quando i cantori sono uccisi, e le canzoni trascinate al museo e attaccate con uno spillo al passato, ancor più deserta, derelitta e desolata diventa questa generazione, nullatenente nel più autentico senso della parola.”
Inserito nel radiodramma Buona permanenza al mondo Il Teatro di Radio3 | S2020 | Dieci sere d’estate | Buona permanenza al mondo. Majakovskij bpm | Rai Radio 3 | RaiPlay Sound
Sono citazioni colte e determinanti per chi vuole conoscere veramente la storia incredibile e suggestiva di Majakovskij che sulla pagina di Ravenna Teatro Vladimir Majakovskij: il caso è aperto – Ravenna Teatro è descritta bene dagli stessi Gianni Farina e Consuelo Battiston con contributi di Serena Vitale, Vladimir Majakovskij, Vsevolod Ėmil’evič Mejerchol’d: «Raccontare gli ultimi giorni di Vladimir Majakovskij significa raccontare la fine di una generazione straordinaria, la rapidissima parabola di un manipolo di ragazzi che si riunirono sotto il vessillo della Rivoluzione d’Ottobre, trasformarono radicalmente il modo di concepire le rispettive discipline e, soffocati dalla deriva autoritaria della loro utopia, terminarono con violenza la produzione artistica o la vita stessa. Majakovskij fu il massimo esponente di quella generazione, il primo della classe, il più in vista, il poeta più amato, idolatrato, invidiato, deriso. Negli ultimi due anni della sua breve esistenza disseminò poemi e commedie con rimandi al viaggio nel tempo. Decise di rivolgersi direttamente ed esplicitamente ai posteri, escludendo i propri contemporanei, come se volesse ignorare il presente per inviare messaggi, preghiere e moniti agli “uomini del futuro”. La resurrezione – un altro modo di viaggiare nel tempo, a ben guardare – divenne un tema ricorrente. Perché? A nostro avviso Majakovskij stava già rinunciando a vivere nel suo mondo e nel suo tempo, stava demandando la propria felicità a un mondo a venire, un mondo popolato da uomini e donne fosforescenti. Nel poema Di questo Majakovskij descrive il “Laboratorio delle resurrezioni umane”, nebuloso edificio abitato da un “chimico del XXX secolo”, in grado di resuscitarlo. Questo passaggio è meravigliosamente restituito da Carmelo Bene». Carmelo Bene – Vladimir Majakovskij: “Di Questo” – YouTube
Una lunga introduzione necessaria per affrontare il resoconto dello spettacolo visto e accolto con favore dal pubblico quanto da chi ha il compito di scriverne. Uno spettacolo sontuoso ma allo stesso tempo minimalista per la sua cifra stilistica dove viene a crearsi una commistione di segni e linguaggi perfettamente fusi tra di loro. Un caleidoscopio luminoso e variegato in cui la recitazione, la coreografia dei movimenti, l’azione calibrata si accompagna a scelte luminotecniche e scenografiche di assoluta perfezione. Quadri scenici in movimenti in cui tutti i protagonisti si avvicendano e fanno vivere una sorta di flash back tra il presente e il passato. Ecco il concetto di tempo citato all’inizio dove gli spettatori vengono condotti dentro un vero e proprio viaggio nel tempo per poter rivivere cosa può essere accaduto negli ultimi istanti di vita dello sfortunato scrittore. Lo sparo della pistola mortale viene ripetuto e la guida che ci accompagna e la Donna Fosforescente interpretata magistralmente da Consuelo Battiston con dei fermo immagini fotografici-scenici meravigliosamente realizzati dalla regia che cura ogni minimo dettaglio e rigore formale. Un tempo apparentemente statico ma in realtà è in divenire e si protrae all’infinito. Descriverlo a parole risulta difficile per “illustrare” quanto visto sulla scena metafisica composta da pochi essenziali oggetti de “Il defunto odiava i pettegolezzi”: un’ impresa ardua ma significativa per attestare la qualità dello spettacolo.
Un ritorno al passato, un viaggio a ritroso per permettere a chi assiste di entrare in contatto con il mistero stesso della vita tormentata di un poeta/artista e anche attore il cui destino presagiva una fine tragica. La scelta vincente è stata quella di non drammatizzare eccessivamente la storia ma di alleggerirla anche con soluzioni ironiche capaci di creare atmosfere oniriche e allusive ambientate in cui compare un tavolo dove Majakovskij componeva nella sua stanza e sul sito di Ravenna Teatro (Vladimir Majakovskij: il caso è aperto – Ravenna Teatro) in “Note di regia, materiali, appunti, di Gianni Farina sul Caso Maiakovskij” è pubblicata la foto della stanza del Poeta chiamata da lui stesso “La stanza barchetta” dove si tolse la vita il 14 aprile del 1930 e collocata all’interno del museo a lui dedicato ma chiuso da dieci anni per lavori in corso, come spiega la didascalia che correda l’immagine. In scena si vedono sedie che servono ai testimoni che si avvicendano per raccontare la loro versione dei fatti riguardanti il decesso, alludendo a tribunali e giudici che interrogano, e il defunto steso a terra, bottiglie di vino e bicchieri a segnare pasti consumati in case dove regnava un tempo l’armonia e l’allegria dei commensali. Scene di vita quotidiane frammentate con l’impressione di essere anche azioni sincopate, ripetute all’infinito per cercare indizi e tracce nascoste, dettagli sfuggiti ad una verità celata e poco chiara. Una morte e risurrezione grazie ad una memoria storica che ci rimanda ancora al mistero della vita e delle sue implicazioni filosofiche in cui i Menoventi riescono a catalizzare e trasformare in un vero e proprio omaggio alla figura di Majakovski.
La loro prova a teatro segue sempre quel rigore di cui sopra abbiamo già accennato. La vicenda viene narrata creando suspense e mistero, luci ed ombre, apparizioni che confermano una teoria per poi smentirla e contraddirla, senza arrivare ad una soluzione definitiva e lasciando libertà di interpretazione a chi è partecipe e si lascia coinvolgere. Un apporto fondamentale alla riuscita dello spettacolo è dato anche dalle scelte musicali e dal disegno luci che diventano linguaggio drammaturgico complementare al testo, come spiega ancora Gianni Farina: «Sergej Prokof’ev e Dmitri Shostakovich furono i due musicisti più amati da Majakovski. Il primo venne nominato “presidente del globo terrestre per la sezione musica” in una dedica, al secondo vennero affidate le musiche di scena per La cimice. Il progetto sonoro che ho curato per lo spettacolo segue due linee che possiamo definire regole compositive. Per prima cosa ho utilizzato (trasformandoli e riadattandoli) solo brani di compositori sovietici, dagli anni ‘30 fino all’89. Oltre ai due autori già citati, sono presenti in particolare Galina Ustvol’skaja e il più recente talento russo Sergey Kuryokhin, che amo moltissimo. Oltre alla parte musicale, balza all’orecchio un paesaggio sonoro composto prevalentemente da intercettazioni militari sovietiche, il misterioso fenomeno chiamato UVB-67. In Siberia e altrove sono state individuate enigmatiche stazioni radio che emettono un “buzz” regolare dagli anni ‘60 fino ai nostri giorni, e non se ne comprende bene la funzione». Ci sono suoni che fatichiamo a spiegare – Il Post
Fonti bibliografiche consultate dai Menoventi
Altri spunti sulla biografia di Majakovskij e Lili Brik tratti dalla raccolta epistolare “L’amore è il cuore di tutte le cose”
Sul suo rapporto con il teatro Ripellino “Il trucco e l’anima” ; “Majakovskij e il teatro russo d’avanguardia”
Su Mejerchol’d, ombra che incombe in tutto il lavoro, CUE PRESS ha pubblicato “L’attore biomeccanico” e “33 svenimenti”.
Le luci di scena hanno invece una funzione di creare una sorta di movimento che avvolge e movimenta la figura della Donna Fosforescente interpretata da Consuelo Battiston che recita insieme a Tamara Balducci, Leonardo Bianconi, Federica Garavaglia e Mauro Milone perfettamente calati nelle parti e diretti dalla maestria registica di Gianni Farina. Artisti a cui va riconosciuta anche una dote: l’umiltà nelle relazioni e nel confronto dialettico. Per nulla scontato.
Visto al B.Motion Teatro di Bassano del Grappa il 25 agosto 2021
Fine prima parte. Prosegue