Recensioni — 13/05/2016 at 23:46

All’incontro del mito, Cantami Orfeo del Teatro del Lemming

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VICENZA – Un coinvolgimento più che emotivo, esperienziale dell’evento, in cui lo spettatore è chiamato a partecipare alla storia raccontata. Questa è una delle proposte che da tempo orienta la produzione del Teatro del Lemming. Entrano venti gli spettatori previsti per ogni replica e  vengono accolti dal buio all’interno dello spazio. Il regista  invita a lasciare su delle panche gli oggetti personali. Strano effetto quello di rivolgersi direttamente a chi guarda, invitandolo a mettersi in gioco in una maniera del tutto imprevista. Poi li conduce in un successivo spazio immerso nella penombra e  invita tutti a sdraiarsi per terra. In mancanza della vista, gli altri sensi si attivano automaticamente. Gli spettatori si concedono ubbidientemente senza ripari, agendo come una piccola comunità al servizio della messa in scena.
L’inizio  di Cantami Orfeo (una produzione del 2015) ,  si addentra in uno dei passaggi della storia mitica raccontata nella Metamorfosi di Ovidio. Euridice e Orfeo intrecciano una storia d’amore, pietà, morte, solitudine e lutto archetipici, richiamata costantemente nella produzione artistica fino ai giorni nostri. Nello spettacolo, Orfeo, poeta e musicista, incantatore per eccellenza, narra la sua storia appropriandosi anche di parole altrui –quelle di Rilke, Merini, Zambrano ed altri. Insieme alla musica del pianoforte e alla voce di Massimo Munaro compare Euridice, interpretata da Chiara Rossini, che giace stesa dopo la sua seconda e ultima morte. Musica, suoni e testo ripetono ancora una volta un frammento del mito così come lo conosciamo; la scena si riempie di fantasmagorie e di segni che rimandano ad altro. Gli spettatori sentono dal basso la disperazione di Orfeo e l’impotenza di Euridice come tanti testimoni silenziosi dell’Ades, il regno dei morti.

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Qual è il rapporto di questa proposta con il mito classico? “Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire” aveva segnalato Italo Calvino parlando della permeabilità delle storie al tempo, allo spazio, alle culture. Nello spettacolo, il mito sovradeterminato e condensato di contenuti, è ricostruito intrecciandosi con altri racconti-eco; ma come gli si concedono altre parole per dire quello che ancora non ha detto? Quali altre tonalità e disarmonie rappresentano una novità per chi ascolta? Il repertorio della compagnia, sin dal 1987, è conosciuto per la ricerca sulle storie mitiche e/o classiche d’occidente –tra cui figurano Antigona, Odisseo, Edipo, Amore e Psiche ma anche Fausto, Romeo e Giulietta, Amleto ed altri- e per i loro lavori sperimentali, concentrati su pochi o un singolo spettatore. E sembra essere questo ultimo punto la via per scoprire quelle nuove parole, e cioè dare la possibilità a chi guarda di smettere di essere uno spettatore passivo, di addentrarsi nell’azione, di fare esperienza ed essere parte di quanto succede. Si viene  coinvolti nell’azione facendo parte dello stesso linguaggio usato dagli attori.

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Questo lavoro sembra essere un progetto in progresso, connesso esteticamente con altri spettacoli precedenti –come Musiche del Tempo (2014), Frammenti (2011) e non solo – che riassumono l’intera ricerca del Lemming incentrata sul corpo, la voce e il suono. In questo obiettivo, la resemantizzazione dello spazio tradizionale teatrale -l’ex chiesa di S.Ambrogio e Bellino datata 1300- risulta una componente basilare che alimenta e conduce l’esperienza soggettiva ed individuale di ogni spettatore, permettendogli di affondare nell’azione.

Visto il 10 di maggio a Vicenza nel contesto della XXI edizione del Vicenza Jazz.

In tournée

Con Chiara Rossini e Massimo Munaro.
Musiche e regia Massimo Munaro
Elementi scenici Luigi Tronc

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