CASTELLO DI SERRAVALLE Valsamoggia (Bologna) – Un deposito degli attrezzi agricoli in mezzo alla campagna, immerso nel verde. Luogo in cui la fatica del lavoro si misura con la madre terra a cui chiedere di donare i frutti del raccolto. La vita agreste e rurale coltiva antiche sapienze e sa apprezzare la natura fertile e generosa nel rispetto di un’etica di valori umani, sociali e culturali a cui l’uomo non dovrebbe mai venire meno. È qui che nasce il Teatro delle Ariette fondato da Paola Berselli, Stefano Pasquini a cui si è unito anche Maurizio Ferraresi. Un sodalizio artistico e umano che non conosce pari, composto da attori professionisti quanto persone dedite al lavoro nei campi, a coltivare prodotti della terra, ad allevare animali. La loro vita è una felice e generosa commistione tra teatro e cucina dove si fondono autobiografie e drammaturgie in cui al centro c’è sempre l’Uomo in relazione all’Universo.
Un teatro capace di raccontare anche storie semplici, seduti attorno ad un tavolo: un convivio dove gli ospiti sono anche spettatori e i padroni di casa attori e cuochi. Il cibo avvicina le persone, le fa conoscere ed esprime sentimenti ancestrali. Quale miglior occasione per festeggiare il Deposito Attrezzi delle Ariette dichiarato ufficialmente un teatro l’otto aprile scorso, nel corso di una festa dove si sono rincontrati amici e colleghi e tanta gente che sale sulla collina delle Ariette da anni per assistere a spettacoli che testimoniano la fatica, l’impegno, la passione di Paola, Stefano e Maurizio.
Un clima famigliare caratterizzato dalla genuina ospitalità di una coppia che nella vita sono anche marito e moglie, dal sorriso che sa esprimere gioia per quello che fanno ogni giorno, che sia coltivare i campi o scrivere e interpretare i loro testi nati tra pentole fumanti di brodo per cuocere tortellini fatti a mano. In una giornata radiosa, immersa nella natura rigogliosa e animata da un programma artistico che aveva dignità di chiamarsi anche festival se pur della durata di un solo giorno. Siamo a Castello di Serravalle, comune di Valsamoggia, lontani da Bologna, la città da dove sono partiti per costruire nel 1999 il Deposito Agricolo che un anno dopo fu inaugurato come spazio teatrale, l’8 aprile del 2000 con lo spettacolo “Teatro No” di Armando Punzo e Nicola Rignanese.
Nel 1997 le Ariette (così si chiama la loro Compagnia) si erano già fatti conoscere con lo spettacolo “A teatro nelle case” che raccontava la vita dei contadini di quella valle appenninica in cui è facile imbattersi in volpi, caprioli, cinghiali e una fauna variegata che popola i boschi. Ritmi scanditi dall’orologio biologico che ha preservato in Paola e Stefano un rispetto e una cura nei confronti della vita stessa, dell’amore per gli animali, di una cultura gastronomica antica e sana. Chi va alle Ariette trova alimenti prodotti a chilometro zero (sono quelli reperiti direttamente nella zona di produzione) e per festeggiare il Teatro delle Ariette, sono arrivati dalla Francia “Les grandes Carrioles” con la loro cucina di strada e i cuochi di Les Grandes Tables, cuisine du quotidien et de l’extraordinaire de La Friche La Belle de Mai di Marsiglia. Personalità del mondo artistico e culturale: Armando Punzo e Cinzia De Felice, Marco de Marinis, Cristina Valenti.
Marco Martinelli del Teatro delle Albe che ha presentato il suo “Farsi luogo. Varco al teatro in 101 movimenti”, un saggio importante che raccoglie ben 101 riflessioni sintetiche (quanto esaustive) sul senso di fare teatro. «101 varchi per entrare e perdersi nel teatro labirintico di uno dei più originali artisti italiani. Un teatro “ortodosso”, rigoroso e sincretico, capace di cogliere le contraddizioni del reale, il loro mescolarsi, per farsi luogo, vita e arte» (si legge nella quarta di copertina) e sentirlo dalla viva voce di Martinelli assumeva carattere di un’oratoria capace di suggestionare e farci entrare nelle dinamiche più profonde di un’arte che ha subito nel corso dei secoli modifiche sostanziali ove ora si sente l’urgenza di un profondo rinnovamento in grado di coniugare esigenze artistiche a quelle più strettamente etiche e sociali a cui il teatro non deve sottrarsi. E la riflessione 62 affronta l’argomento nel sostenere «una trappola il “teatro sociale”, o cosiddetto. È una definizione pericolosa: nell’illusione di appiccicare un’etichetta chiara, subdolamente confonde. Tutto il teatro, ahimè, è tragicamente “sociale”, perché nasce dalla società, è quella la sua culla e la sua prigione, la riflette, sia che abitare la scena vi siano carcerati e immigrati, sia che vi siano piccolo-medio-alto borghesi. Al contrario, la definizione suddetta fa pensare che via sia in primis il Teatro con la maiuscola, che si occupa di Arte e Cultura, entità nobili quanto risibilmente astratte e disincarnate, e accanto, a margine, vi sia un teatro con la minuscola che invece si cala – scrive Martinelli – negli anfratti della società, nelle periferie, che fa un lavoro socialmente utile, che si mescola agli strati ‘bassi’. La definizione autorizza equivoci mortali, in chi lo guarda come in chi lo fa: chi guarda si sente gratificato dal provar compassione a buon mercato; mentre chi fa, inconsciamente considera il proprio lavoro con i cosiddetti diversi sufficiente in quanto tale una buona azione. E invece no, non basta affatto! Guai a pensare che basti! Il punto è sempre quello: la grazia di cui sopra, l’accanirsi a creare le condizioni per il suo manifestarsi. Il Teatro prende vita solo attraverso quell’accanimento, quel magma in cui spendere i giorni e le notti, quella scommessa crudele con se stessi, quel rigore, quella tensione impavida verso la bellezza, e il lavorare con i cosiddetti ultimi, anziché annacquartelo, te lo dovrebbe moltiplicare l’accanimento!».
Nel corso della giornata si sono susseguiti interventi di Armando Punzo con “Come se il mondo dovesse cominciare solo ora. L’utopia comune” e le musiche originali eseguite dal vivo di
Andrea Salvadori, che ha recitato brani dai suoi spettacoli come Hamlice, Mercuzio non deve morire , Santo Genet, Dopo la Tempesta. Le sagge parole di Giuliano Scabia, uno degli intellettuali più sensibili capace di narrare la nostra epoca con uno stile garbato. Scrittore, poeta, drammaturgo, narratore dei propri testi, è stato un protagonista di alcune tra le esperienze teatrali più significative in Italia. La proiezione del film “Parliamo d’amore? (in Valsamoggia)” di
Stefano Massari e Stefano Pasquini (Produzione Teatro delle Ariette). Francis Peduzzi direttore di Le Channel Scène Nationale de Calais con “Il fiume va. L’idea di un teatro”
Massimo Marino ha presentato il libro da lui curato per le edizioni Titivillus“ Teatro delle Ariette. La vita intorno ad un tavolo” corredato da foto di Stefano Vaja. Massimo Marino nell’introduzione “Istruzioni per l’uso” spiega che il “Teatro delle Ariette è una piccola comunità che non ha mai abbandonato l’idea che rappresentare spettacoli voglia dire incontrare altri intorno a storie, preferibilmente vere, piene di vita, perché cosi sono più credibili, e che fare teatro debba essere anche una forma moderna del convivio. Perché intorno a un tavolo non si consuma solo, in fretta o lentamente un pasto, ma si scambiano esperienze, gioie e perfino dolori”. Le Ariette sono tutto questo: accoglienza, condivisione, comunione (stare insieme, in comunità), l’unione tra cibo e teatro è la pratica costante per raccontare ai convitati, storie che si mescolano ai sapori e ai profumi della cucina, così come è accaduto in un giorno di festa per l’inaugurazione con il taglio del nastro da parte del sindaco di Valsamoggia, Daniele Ruscigno. Calava il sipario e la notte.
Teatro delle Ariette
Castello di Serravalle (Valsamoggia) 8 aprile 2017