RUMORS(C)ENA – POMARANCE (Pisa) – Sarà per certo casualmente (?) coincidente, ma il titolo di questo Festival toscano, il “Festival delle Colline Geotermiche”, sparso tra varie tappe e diverse date fino al 26 agosto, richiama alla mente l’energia che oscuramente scorre nelle viscere della terra, di queste stesse terre, per emergere in tutta la sua forza e così, opportunamente incanalata a dargli forma positiva e attiva, produrre vita. Una metafora, allora e forse, di quella energia creativa che scorre nel profondo di ogni comunità umana, dai tempi di Dioniso e anche prima, oscuramente fino a che non trova la forma appropriata per definirsi artisticamente ed esteticamente, e porre così un suo sigillo che a quella comunità può concedere identità autentica, estetica e artistica ma non solo.
È infatti questo, organizzato da Officine Papage sotto la direzione artistica di Marco Pasquinucci, un vero festival di comunità, sparse e singolari, in luoghi che della Toscana non sono certo i più frequentati, ma che da molto tempo custodiscono un amore per il Teatro, di cui il bel teatrino all’italiana di Pomarance, che offre anche una inaspettata stagione invernale, è solo uno, e molto evidente, degli esempi che abbiamo incontrato. Giunto alla undicesima edizione, tra Monterotondo Marittimo e Pomarance, tra Castelnuovo Val Cecina e Monteverdi Marittimo, con puntate a Lardarello e a Montecastelli Pisano, è anche un festival girovago, più che itinerante, girovago come le antiche ‘scarozzanti’, non solo e non tanto tra luoghi diversi quanto piuttosto, nei ritmi di un muoversi del tempo che è anche un porsi a lato, tra linguaggi e suggestioni figurativamente variegate come i colori dell’arcobaleno.
Questo suo saper essere, oltre che evento, anche esperienza che accomuna, fa si che l’umanità che lì si ritrova, e si è ancora una volta ritrovata, sia inusualmente sfaccettata, dal semplice cittadino al critico, dal teatrante allo studioso, dall’amministratore al produttore teatrale, fino al semplice turista ivi capitato per caso e coincidenza fortunata. Ma ciò che appare ancora più interessante è che il contributo di ciascuno non si sforza di prevalere, ma cerca spontaneamente quell’amalgama, estetico, artistico e comunitario che stimola quella Polis collettiva ad essere il più possibile sé stessa, a dare il segno della sua presenza, il segno di quella energia che scorre, anche sconosciuta, dentro ogni, e oggi sempre più difficile, riunirsi, aggregarsi e confrontarsi tra uomini e donne ‘liberi’.
Un riunirsi che fa della quotidianità, delle cose e delle persone, un sentiero per più facilmente e velocemente avvicinarsi gli uni agli altri. Così, nelle parole del direttore artistico, si definisce infatti il festival: “Essere presente, ascoltare, stare nelle cose, esercitare la pazienza, abitare le giornate e i luoghi, gioire della curiosità, mangiare bene, confrontarsi col senso, giocare con i propri limiti e fastidi quotidiani, sorridere spesso e tanto, godere della fatica buona, vivere nella lentezza, imparare dal passato recente, andare oltre e spesso, prendersi cura, incontrare, incontrare, incontrare, immergersi nelle attese, respirare dentro, ricercare la bellezza sempre.” Di tutto quanto è stato approfondito riscontro il dibattito che si è svolto, non casualmente, nella radura di un boschetto della zona a ribadire una osmosi non occasionale o superficiale: AGORÀ – É DAVVERO GRAVE SE UNA COMUNITÀ NON HA UN TEATRO? Un tema complesso ma molto stimolante alla cui discussione, curata da Laura Bevione, hanno dato il loro contributi studiosi e critici (Francesca Serrazanetti, Carlotta Garlanda, Laura Santini, Maria Dolores Pesce), ma anche cittadini ed amministratori locali, consapevoli di quanto, sotto quel titolo suggestivo era posto all’attenzione di tutti. Nessun ripiegamento dunque, rispetto alle difficoltà non solo dell’oggi, ma il richiamo a quei valori, estetici e sociali, che il fare teatro, prima ancora che il discutere di teatro, pone all’orizzonte di ogni nostra occasione di crescita, singola e collettiva. La prima parte, l’ouverture dunque, del festival è cominciata a Montorotondo Marittimo il 7 luglio e si è sviluppata a Pomarance e Castelnuovo Val Cecina l’8 e il 9.
REBECCA – UNO SPETTACOLO AL BUIO / OFFICINE PAPAGE
È forse questo un tempo in cui il buio, luogo di fuga dal chiacchiericcio confuso dell’ordinario andare nel tempo, rileva cose che la luce abbagliante della nostra egotica, egocentrica e autorefente presenza nasconde anche allo sguardo più attento. Un buio che il drammaturgo trasforma nel palcoscenico delle parole, concrete come corpi e pesanti come pietre, parole che disegnano, e qui è termine appropriato, una storia altrimenti nascosta, la storia di una bellezza che non si vede, che non si può vedere perchè nascosta da tratti e lineamenti diversi ed eterodossi, in questo inattuali in quanto impresentabili. Rebecca è una bambina, e poi una donna, brutta, semplicemente brutta e quindi non può essere altrimenti detta se non nascondendosi. Racconta la sua storia e la storia della famiglia in cui, volente o nolente, si nasconde, assumendosi la responsabilità di un naufragio culminato nel suicidio della madre. Ma il filo delle sue parole, e delle scoperte che attraverso di esse ella fa di sé, ad esempio la musica e il pianoforte, la conduce alla fine oltre quella solitudine e oltre le sbarre di una gabbia sociale che appare finalmente inconsistente. Un percorso metaforico in cui ci accorgiamo man mano confluiscono innumerevoli situazioni, anche a noi vicine. È una drammaturgia di ambiente, all’interno di una stanza di un antico palazzo padronale, cui si accede nella penombra. Poi la scelta del buio pieno che il drammaturgo compie per dare il peso giusto a quel filo di parole, a quel racconto che non può distrarsi con immagini e luoghi comuni, a quell’idea di noi che respinge ogni diversità. Una scelta che ricorda Edoardo Sanguineti e il suo Storie Naturali, nell’idea di dare corpo alla voce che l’oscurità enfatizza, sostenuta da ogni nostra immaginazione. Non è una vera e propria riscrittura ma la traslazione drammaturgica del romanzo di Maria Pia Veladiano, in forma di molto ma ‘diversamente’ fedele monologo. Bravo Marco Pasquinucci nel ricomporre il testo per la scena e nel sostenerne quasi integralmente il peso, con tonalità vocali efficaci e suggestive.
Da La vita accanto, romanzo di Maria Pia Veladiano adattamento e regia Marco Pasquinucci con Marco Pasquinucci voci di Ilaria Pardini, Cecilia Vecchio, Emanuele Niego, Caterina Simonelli organizzazione Annastella Giannelli ufficio stampa Marzia Spanu produzione Officine Papage, Teatro della caduta.
A Pomarance, Palazzo Bicocchi l’8 luglio.
TRUCIOLI / GLI OMINI
In prima nazionale, ma probabilmente ancora più uno ‘studio’ che uno spettacolo definitivo, una sorta di “lavori in corso” tipico del modo di essere e fare di questa compagnia toscana, ormai molto nota in tutta Italia. Un teatro, in fondo, come testimonianza della realtà, attraverso la quale (testimonianza) la realtà può diventare conoscibile ovvero diversamente e più intensamente conoscibile. Girovaghi della realtà, spettatori di vite che altrimenti non avrebbero altra vita che l’oblio. Se apri gli occhi dell’arte sulla vita e in quel mare lanci la rete della tua creatività, allora sarai un pescatore di eventi e situazioni che altrimenti scivolano via tornando al mare da cui sono per un attimo emersi. Quella degli Omini è una Italietta di sconfitti, resi però vincitori dall’ironia che sovrasta ogni rovescio ed ogni deriva. Trucioli, dunque, per assorbire l’atmosfera di un mondo nascosto ma ricco di sentimento. “Un girotondo di gente che si riconosce e che sorprende. Per sentirsi tutti insieme e meno soli”, come scrive il foglio di sala.
Un progetto de Gli Omini, drammaturgia Giulia Zacchini, con Francesco Rotelli e Luca Zacchini, prodotto da Teatro Metastasio di Prato in collaborazione con Gli Omini.
A Pomarance, Piazza Cavour l’8 luglio.
L’IMBARAZZO DELL’INFINITO / OFFICINE PAPAGE
Esperienza per uno spettatore solo, recita il foglio di sala. Può essere altrimenti? Forse, ma sarà una sorpresa ed una scoperta che ci coinvolgerà ben oltre quanto ci saremmo aspettati. Infatti, siamo proprio sicuri di essere, oltre che uomini e donne, umani? Di esserlo, cioè, oltre o al di qua dello sguardo degli altri. La solitudine è una esperienza che forse viviamo tutti i giorni, ma che in realtà non conosciamo veramente. “L’Imbarazzo dell’Infinito” è una sorta di (auto)drammaturgia costruita con raffinata sensibilità che ci conduce, qui, ad immergerci nella natura del boschetto di Gallerone a Pomarance, mentre dalle cuffie che indossiamo ci raggiunge la voce della sola creatura che la solitudine conosce veramente, il robot o l’androide che dir si voglia. Simile a noi in tutto, ma privo della nostra essenziale irriducibilità esistenziale, fatta di un impasto di sentimenti e desideri in imprevedibile evoluzione, ci interroga per scoprire e farci scoprire questa differenza, chissà anche per cercare inutilmente di superarla. Suggerita dal racconto “Il bugiardo” di Isaac Asimov è una esperienza che muove dai luoghi tipici della fantascienza, dalle leggi robotiche al replicante di Philip K Dick, in fondo per raccontarci di un desiderio. Il desiderio di autenticità psicologica e sincerità affettiva che riguarda innanzitutto noi, prima che il robot. Nell’ambizione di diventare umano (come non ricordare L’uomo Bicentenario film del 1999 tratto anch’esso da un racconto di Asimov) che questo ci racconta, leggiamo infine la nostra uguale ambizione, spesso ancora più difficile da realizzare. Alla fine il nostro interlocutore compare e ci saluta da lontano, nostalgico come la sorpresa che ci attende. Un’idea teatrale affascinante e di grande impatto emotivo, già sperimentata, con pari efficacia, in altri e diversi luoghi e contesti.
Da un’idea di Marco Pasquinucci, drammaturgia di Mariagiulia Colace ispirata al racconto Bugiardo! di Isaac Asimov, con Marco Pasquinucci e Mariagiulia Colace, audio e suoni Diego Ribechini, organizzazione Annastella Giannelli, produzione Officine Papage.
Sabato 9 luglio, Pomarance, boschetto di Gallerone.
IL PELO NELL’UOVO / LA RIBALTA TEATRO
Un grottesco, nel senso di forma teatrale oggi prevalentemente dimenticata, che legge nei nostri occhi la paura di guardare la spiaggia su cui siamo approdati, sovraffollata e crudele. Uomini e donne incapaci di muoversi spiritualmente e dalla sensibilità appena increspata in superficie alla vista delle distorsioni persistenti di un sistema economico nel quale il ciclo del cibo, con i suoi sprechi e il suo crudele sfruttamento del mondo animale e vegetale, è icastica rappresentazione. Nel profondo di quel mare, la sordità di chi si accompagna, disilluso, ad un futuro che non vuol vedere. È una questione di sentimento ed empatia ma è, insieme, questione tragicamente concreta. Un presente che è già più distopico di ogni altro futuro ancora immaginabile. Una prima nazionale di lucide intenzioni, ma anche di intenzioni (buone) sovraffollata, fino a rischiare di disperdere la giusta attenzione e preoccupazione che può e deve suscitare. In prima nazionale, è già una buona prova, migliorabile, di un drammaturgo/attore in continua crescita. Messa in scena e recitazione efficaci anche se con qualche esuberanza. D’altra parte è stato uno spettacolo che ha saputo rendere con efficacia lo iato che, dentro tutti noi, ancora divide la percezione del problema ambientale dagli atti concreti che dovrebbero conseguirne, quasi che il deficit di consapevolezza che ancora ci imbarazza impedisse esiti coerenti.
Dramaturg Luca Oldani, regia Alberto Ierardi, Giorgio Vierda, Luca Oldani, con Alberto Ierardi e Giorgio Vierda, disegno luci Alice Mollica, abiti di scena Chiara Fontanella, produzione La Ribalta Teatro con il supporto di Officine Papage.
A Castelnuovo Val Cecina, Giardino di Villa Ginori il 9 luglio.
In questo avvio di luglio anche due interessanti laboratori: La porta senza maniglie si racconta condotto da Paola Consani, dedicato a persone con diversa abilità e finalizzato ad irrobustirne consapevolezza e autostima, e Io qui, ora condotto da Nicoletta Bernardini rivolto a tutta la comunità, i suoi ospiti e visitatori compresi, nel quale la danza e il movimento vogliono farsi ricerca di un percorso di crescita, personale e condiviso.
Nel corso del 2022 il primo laboratorio confluirà poi, con i suoi protagonisti, in un Workshop della danzatrice Chiara Bersani in preparazione del suo prossimo lavoro Sottobosco ispirato alla shakespeariana Tempesta.
Il Festival proseguirà con specifici moduli fino al 26 agosto.
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