Insegnare a scrivere una recensione che non sia un racconto superficiale o un semplice esercizio di scrittura estetica. Tanto meno una cronaca della storia, della trama, di un evento che è di moda a teatro. Una buona recensione deve prendere le distanze dalla messa in scena e contemporaneamente essere capace di sfiorarla. Il suo compito è quello di spiegare se l’intento dello spettacolo sia stato quello di arrivare ad emozionare il pubblico, se lo ha convinto, se, viceversa, ha creato una barriera che lo respinge. Una buona recensione non deve assumere caratteristiche di racconto-descrizione o resoconto sullo stile di una cronaca dei fatti accaduti. Lo scopo è quello di dire e non dire, astrarre nel tentativo di avvicinarsi il più possibile alle intenzioni registiche, di svelare la sua concezione ideativa. Il critico nel suo lavoro di rielaborazione deve soffermarsi sugli aspetti emozionali presenti nello spettacolo, ed eventualmente capaci di arrivare allo spettatore. La sua scrittura deve avere caratteristiche di terzietà, dopo la scrittura del testo, la messa in scena dello spettacolo derivante dalla drammaturgia dell’autore. Una forma autonoma di scrittura svincolata all’opera da dove prende spunto, testo e spettacolo.
Il laboratorio di critica teatrale organizzato dal Teatro Portland di Trento pensato come un primo livello base ha l’obiettivo di fornire una formazione di base che permetta la visione di spettacoli teatrali e manifestazioni culturali diversificate al fine di acquisire strumenti di lettura, comprensione delle poetiche teatrali presentate sulla scena, capacità critica, di scrittura e pubblicistica teatrale.
La visione di Post -it della compagnia del Teatro Sotterraneo di Firenze al Teatro Cuminetti di Trento nell’ambito della Stagione TrentOOltre organizzata dal Teatro Portland in collaborazione con il Centro servizi culturali Santa Chiara ha prodotto una rielaborazione del gruppo dei partecipanti al laboratorio. Pubblichiamo di seguito due recensioni firmate da Mario Rutigliano e Paolo Corsi.
Post-it
Definire cosa sia “Post-it” significa violare un principio strettamente concettuale. Difatti per definire qualcosa lo si deve cristallizzare, fotografare in un dato istante e descriverlo così come appare, svelando il suo essere mutevole, ma costante; e come si può descrivere qualcosa che realizzandosi si annichilisce e acquistando contenuto perde senso?“Post-it” non pretende di dar risposte, in quanto, nel vero teatro, ognuno deve esser lasciato solo alla propria personale epifania interpretativa. Di questo avviso è lo stesso regista, Daniele Villa, alimentando quel relativismo gnoseologico che tutto svuota di quel senso comune agognato dai più e lasciando “Post-it” senza catalogazione alcuna. La possibilità d’azione, concessa alla critica teatrale, si riduce alla personale facoltà di agire per sottrazione o, aristotelicamente parlando, ad operare argomentando a contrario.
Difatti non ci sono rigidi copioni o ferree sceneggiature da analizzare, bensì idee trasposte a formare immagini degne di opere di Dalì o Escher. Non ci sono attori sopra le righe, vincolati all’unità di spazio e tempo, bensì quattro performers, Sara Bonaventura, Iacopo Braca, Matteo Ceccarelli e Claudio Cirri, che, seguendo i non-schemi del teatro sperimentale, sincronizzati all’unisono, si frantumano e si ricompongono tra le quinte nere del cubo in cui esistono. Già, nere, come il buio, come la notte, come la morte, come tutto ciò che è assenza di colori e di confini. Si intravedono sagome tagliate dalle quinte, dove metà corpo sulla sinistra si completa con la metà sulla destra, dove lo spazio vuoto regna nel mezzo e solo il cervello umano può ricomporre il puzzle per dare un ordine alle cose senza cedere al desiderio di sopprimere volontariamente la propria incredulità. “Post-it” è un crescendo, da questo punto di vista, di emozioni forti finalizzate non al creare un’atmosfera teatrale di transfert, bensì uno “svelare occultando” in cui, anche una granata diventa protagonista del concetto di Fine.
I tempi di attesa, tra un’azione e l’altra, si riducono drammaticamente a mostrar come la legge di causa ed effetto sia soltanto uno schema mentale, in cui tutto deve aver un ordine, un tempo, un senso..ma la realtà non è questa. Se una realtà esiste è senza senso, senza cause, solo effetti e non ci sono fini nobili o scopi reconditi, ma solo la Fine, che nulla lascia e nulla insegna, quindi inutile per definizione. Ecco che si riesce a ridere del funerale a turno, ecco che si può piangere prima che ci sia il morto ed ecco perché tutti gli oggetti acquistano un’esistenza così breve; d’altro canto se non c’è uno scopo, meglio agire di conseguenza, vivendo ogni istante come se fosse l’ultimo, senza accumular monete nel salvadanaio, senza aspettare il momento giusto per aprire una pacco regalo, vivere insomma soggetti ai jump cut del cinema, eliminando i tempi morti, senza aspettative e false illusioni.L’uomo post-moderno, ovviamente schizofrenico, per vivere e ricordarsi di vivere si circonda di post-it che, nel loro attuarsi diventano inutili, superati materialmente e teleologicamente da nuovi post-it, ed in questo turbinio di eventi non si ha neppure il tempo di farsi una foto di gruppo. Certo, esiste la musica, che accompagna la vita, ed Atrocities di Antony and the Johnsons è la colonna sonora perfetta per l’uomo post-moderno, che tuttavia riesce ad ascoltarla interamente solo trovando il tempo di vedere “Post-it” a teatro, ma questa cosa pare un controsenso. Per decifrare “Post-it” si potrebbero citare le parole di J. P. Sartre: “L’uomo è una passione inutile”.
Mario Rutigliano
Il provvisorio come condizione senza fine
Il post-it è un oggetto per sua natura provvisorio. Più o meno importante, a seconda dei casi, ma comunque sempre con vita breve. Lo usiamo e lo gettiamo via al venir meno della sua funzione, quasi fosse la sua eliminazione la conferma dell’assolvimento del compito che era chiamato a ricordare. Tante cose della nostra vita sono provvisorie come il post-it. Anzi, per certi versi, la vita stessa lo è.
Ce lo ricorda in modo originale lo spettacolo Post-it, un allestimento della compagnia Teatro Sotterraneo, con la drammaturgia di Daniele Villa, andato recentemente in scena a Trento al Teatro Cuminetti. Una messinscena che utilizza linguaggi espressivi innovativi e che soprattutto propone allo spettatore un approccio allo spettacolo diverso dal solito. In uno spazio scenico vuoto, delimitato da teli neri con dei tagli verticali che fungono da punti di accesso ed uscita della scena, quattro attori si esibiscono in una vorticosa giostra di passaggi, giocando con la scomposizione e ricomposizione dei corpi. Azioni in perfetto sincrono danno l’illusione che diverse parti dello stesso corpo si trovino nello stesso istante in punti diversi della scena. L’azione procede poi per quadri, con il gioco della scomposizione trasferito agli oggetti, distrutti e variamente ricomposti, e finanche al corpo umano, la cui disgregazione è simboleggiata dall’improvvisa deflagrazione, a cui segue l’irrompere di una cascata di brandelli di carne (frattaglie vere).
Ed è a questo corpo, della cui distruzione si ritarda goffamente l’annuncio (palese il riferimento a certe impacciate gestioni delle notizie nei nostri telegiornali), che si celebra un grottesco funerale. Ma anche qui vi è una sorta di riciclo: il defunto dapprima non sembra affatto tale, tanto che è egli stesso a suggerire le parole di circostanza all’improvvisato ed impacciato oratore. Il ruolo della salma è poi interpretato a turno dagli attori, che le prestano il proprio corpo, alternandosi anche in un corale e tragicomico pianto di dolore. Le azioni proseguono sulla traccia di questa linea comune della provvisorietà: una matita spezzata e ritemperata, un salvadanaio riempito e subito distrutto, al pari di un castello di sabbia. Prevale l’idea dell’affanno del fare e disfare, svelato attraverso l’impacchettare e spacchettare oggetti e persino persone, fino alla disarmante domanda sul significato della fine. La domanda rimane però sospesa, con la risposta cercata inutilmente anche al di fuori, rivolta in diretta telefonica all’ignaro e sorpreso amico lontano. Caratteristica comune a tutte le situazioni rappresentate non è tanto la mancanza di significato, quanto una pluralità indefinita di significati.
Allo spettatore non viene offerta alcuna chiave interpretativa, cosicché ciascuno sia libero di attribuire i propri significati, tutti diversi e tutti ammissibili. Ciò che colpisce della performance dei quattro protagonisti (Sara Bonaventura, Iacopo Braca, Matteo Ceccarelli e Claudio Cirri) è in primo luogo l’altissima capacità di ascolto, condizione per il perfetto sincronismo delle azioni, così come la pulizia dei gesti, precisi e senza sbavature o ridondanze, la spontaneità e la naturalezza con cui compiono gesti quotidiani in contesti incongruenti. Post-it è uno spettacolo che si sottrae alle speculazioni razionali, essendo la sfera emotiva il destinatario delle sue provocazioni. Può suscitare sia entusiasmo che perplessità, ma difficilmente indifferenza.
Paolo Corsi
Post -it
Drammaturgia di Daniele Villa
con Sara Bonaventura, Iacopo Braca, Matteo Ceccarelli e Claudio Cirri
Produzione Teatro Sotterraneo /Fies Factory One
coproduzione Centrale FIES
in collaborazione con Teatro della Limonaia
col sostegno di Teatro Studio di Scandicci – Scandicci Cultura
Visto al Teatro Cuminetti di Trento il 1 febbraio 2012