Ci sono luoghi dove la volontà nel tramandare tradizioni culturali, conservano ancora una loro caratteristica originale, basata sulla volontà di animare tutti, residenti ed ospiti per farli sentire ugualmente protagonisti. Tra questi c’è Lari, un ridente borgo sulle colline pisane dove spira una brezza rinfrescante. Qui si svolge da quattordici anni fa, il festival Collinarea, nato da un’idea di Scenica Frammenti che dal 2012 si avvale anche della collaborazione di Pontedera Teatro. Lo dirige Loris Seghizzi, l’ultimo di una famiglia di artisti capaci di tramandare di padre in figlio, la passione per il teatro. Al suo fianco Roberto Bacci e Luca Dini, codirettori della Fondazione Pontedera Teatro, oltre ai curatori della scorsa edizione, Marco Paganelli e Marco Menini per la sezione poesia e incontri letterari.
Il sottotitolo “genius loci” significa il nutrimento dell’aria che spira a Lari, in ascolto dell’eco del Tempo dove “il soffio della storia ha attraversato nel corso dei secoli il paese lasciano un’atmosfera magica sempre più rara da trovare” e abitata dalla “famiglia” dei “lari”, il filo che lega il programma, attraverso un gioco di parole tra il nome del paese e il concetto romano di lares, le divinità tutelari della casa, della famiglia. Il rimando storico a questa definizione trova la giusta e appropriata collocazione in questo festival. Un’accoglienza dove il valore per la relazione viene privilegiato come concetto di cura al fine di offrire il miglior agio possibile a chi arriva in paese.
La famiglia Barone – Seghizzi, storicamente definita come la famiglia teatrale di Lari, è la fondatrice di Scenica Frammenti, un’antica comunità di teatranti capace di mantenere viva nel corso degli anni, la tradizione di fare teatro in virtù di una coesione sociale. La compagnia di prosa a carattere familiare è nata all’inizio del ‘900 su volere di Augusto Barone e Assunta Tampone, affiancandosi ai nomi celebri del teatro dell’epoca: Angelo Musco e Giovanni Grasso. L’incontro con Franco Seghizzi, un giovane regista teatrale farà in modo di tramandare l’eredità tramite i figli che seguiranno le orme dei genitori. La compagnia prese il nome di “I Sorgenti” e successivamente, quando le “famiglie teatrali”, rimaste sempre meno, prende il nome de“I Superstiti”, girando per tutti i teatri e le città italiane.
ll musical di Scenica Frammenti R&G Romeo e Giulietta
Dal 1973 si stabilisce in Toscana fino a quando nel 1986 muore Franco Seghizzi. La sua scomparsa determinò la scelta di operare di “nascosto” (tra il 1986 e il 1996). L’attuale erede, Loris Seghizzi, nel 1998 decide di fondare Scenica Frammenti e di dare vita al festival che ogni estate anima Lari. E l’intento è stato raggiunto anche la sera in cui la compagnia ha portato in scena all’aperto, il suo musical R&G Romeo e Giulietta. La partecipazione corale ed entusiasta del pubblico spiegava meglio di tante parole come questo gruppo sia ben radicato nel suo territorio e abbia saputo fidelizzare negli anni gli abitanti di Lari. Lo spettacolo è l’eredità di una prima versione che risale al 1964, nata come versione parodistica teatrale cantata e diretta da Franco Seghizzi che riadattò il celebre dramma in chiave ironica. Il teatro diventa popolare per la sua capacità di condividere anche ludicamente forme di intrattenimento. Accompagnati da cinque musicisti della R&G Free Band, tra cui Walter Barone, il Romeo che nel 1964 accompagnava con la chitarra l’edizione d’allora, è una vivace messa in scena dove appare anche la madre di Loris, Vincenza Barone. Un collage di brani musicali risalenti alla prima versione e altri originali scritti da Massimiliano Nocelli e Carlo De Toni. L’ironia della nuova versione la si coglie anche quando viene canatata “Je só pazzo” di Pino Daniele, cantata da Giulietta nella scena in cui si rivolge alla madre, Donna Capuleti, rifiutando l’obbligo di sposare Paride. Tutto lo spettacolo viene attraversato da musiche e brano degli anni ’60 e ’70, dove appare anche un brano di Fabrizio De André con la sua “Bocca di Rosa”, cantata da Frate Lorenzo, Romeo e Giulietta e la Nutrice, nell’acconsentire le nozze dei due innamorati.
Collinarea contava su ben 30 titoli: da Vinicio Capossela con il suo concerto inaugurale, Silvia Pasello, Federica Fracassi, Roberto Abbiati, Carullo Minasi, fino ad Ascanio Celestini, la partecipazione del poeta Franco Loi accompagnato dalle musiche di Bobo Rondelli. Lo scrittore Walter Siti con il suo romanzo Resistere non serve a niente (Rizzoli editore), la storia contemporanea di un giovane bankster alle prese con il potere e i torbidi legami che genera. Tra gli eventi a carattere culturale anche un forum organizzato dal Teatro dell’Oppresso e una conversazione con Piero Coppo e Iside Baldini, studiosi dell’etnopsichiatria in Italia, occasione per indagare le trasformazioni delle relazioni familiari e quelle che sono le dinamiche socio antropologiche dei gruppi, attraverso la parola e la scena. Collinarea ha proposto anche dei laboratori con alcune delle compagnie presenti al festival, tra i quali quello di Michele Santeramo (straordinario interprete del monologo Nobili e Porci libri), e uno specifico dedicati ai ragazzi con l’illustratrice Eva Montanari e Roberto Abbiati.
Si deduce da quanto visto, nella selezione degli spettacoli visti, come se il teatro contemporaneo guardasse all’Italia con sospetto e diffidenza su come la nazione sta scadendo e degradando. Molti gli spunti critici colti nelle scritture drammaturgiche dei vari autori. Un’Italia poco incline ad un progresso culturale e sociale, quanto, invece, tendente ad un declino morale e civile. L’ironia, la satira, la comicità, sono strumenti utili per decifrare il malessere che imperversa ma non è in grado di ridestare gli italiani da una “sonnolenza” responsabile di una sempre maggiore disattenzione per il problemi reali del paese.
Tra le compagnie ospiti merita attenzione, per originalità e qualità, quella di Carrozzeria Orfeo con Robe dall’altro mondo, ambientato in quel mondo dove circolano storie e leggende metropolitane, frutto della paura suscitata irrazionalmente. Un’amara e paradossale denuncia sociale dove il grottesco facilita la comprensione di una certa sottocultura che ha invaso le nostre città. Gli attori indossando maschere che deformano e ingigantiscono il viso creano una sorte di spaesamento nella recitazione e nella gestualità espressiva dei corpi.
Robe dell’altro mondo Carrozzeria Orfeo
Tra gli umani si viene a creare l’idea che ci siano tra di loro degli alieni, tanto da averne paura e provando sentimenti di intolleranza. Corpi estranei e di conseguenza fonte di pericolo. I quadri scenici che si susseguono hanno una loro forza visiva straordinaria, sia per la semplicità e la cura con cui sono realizzati, sia per la recitazione degli attori coordinati dalla regia di Alessandro Tedeschi, e l’incisiva drammaturgia di Gabriele Di Luca, uno dei protagonisti insieme a Giulia Maulucci, Massimiliano Setti, Roberto Capaldo.
L’idea si struttura intorno ad una tecnica particolare – rara da vedersi a teatro – più frequente nell’uso cinematografico: “lo sfasamento temporale” che si viene a creare attraverso il flash back e il flash forward. Se il primo permette di riavvolgere la sequenza cronologica degli eventi, raccontando avvenimenti che precedono il punto raggiunto dalla storia, all’opposto il secondo rivela gli eventi che accadranno in futuro. Accade così che in Robe dell’altro mondo si racconti di qualcosa avvenuto in tempo passato rispetto a quello narrativo della storia, quando si interrompe la narrazione nel tempo presente e di retrocedere nel passato, agendo sulla scena come se gli eventi passati venissero raccontati al presente. La trama non segue un suo preciso ordine conseguenziale ma procura un’iniziale disorientamento causato dalla narrazione che sembra saltare dei passaggi. Ciò che accade all’inizio non ha una linearità nelle fasi successive e solo alla fine si potrà capire il senso logico dell’azione . La forza di questo testo sta anche nell’essere riusciti a mescolare realtà e fantasia dove convivono elementi di verità con il fantasticato e l’immaginario favolistico.
La denuncia di una malsana abitudine di trasformare una diceria, senza fondamento, in un pregiudizio o peggio ancora, in pseudo verità, fa ingenerare sentimenti di intolleranza. Da un pettegolezzo diffuso ad arte si crea disorientamento che ricade sull’ordine e la convivenza sociale. Banali conversazioni tra vicini di casa, tipiche degli anziani pensionati che si arrovellano su delle amenità, si trasformano in furibondi litigi. È un susseguirsi di scene a coppie che ben rappresentano le contraddizioni più disparate della società moderna: una coppia di omosessuali immigrati, un manager dell’imprenditoria finito dentro un equivoco centro massaggi, fino alla coppia tenera e romantica di due adolescenti che provano le loro prime emozioni amorose, seduti su una panchina. Sono abitanti di un mondo sospeso tra il reale e l’irreale, facendo così diventa tutto un gioco di rimandi dal divertimento assicurato. Carozzeria Orfeo si mostra decisamente di aver intrapreso una sua identità che saprà portare verso risultati di maturità e creatività sempre maggiori.
Se di comportamenti nazional-popolari si parla in Robe dell’altro mondo, L’Italia s’è desta di Stefano Massini è un catalogo (no strano) di vicende tratte dai reali fatti di cronaca decisamente inquietanti e quindi italiani a tutti gli effetti. A raccontarli con un piglio da conduttore rampante da telegiornale televisivo, ci pensa Ciro Masella (sua anche la regia) il quale da vita ad una serie di notizie flash una più assurda dell’altra e di fatto accadute un po’ ovunque. Le ha raccolte le stesso autore, visionando giornali di provincia a cui si è abbonato. Ne esce uno spaccato altamente preoccupante di un’Italia dove accadono fatti e vicende, queste si aliene, a cui i mass media danno un seguito abnorme e montando le notizie fino a farle diventare esageratamente importanti.
L’Italia s’è desta di Stefano Massini. Regia e interpretazione di Ciro Masella
L’attore esprime con un’energia tale le assurde notizie tanto da magnetizzare, da solo in scena, con l’uso della parole declamata, quasi fosse una cantilena rapper, l’ enfasi nel sottolineare con ironia e sarcasmo l’elenco più strampalato di cronache nere. Il progetto di Stefano Massini creato appositamente in concomitanza con le celebrazioni del 150 º dell’Unità d’Italia, scovando una realtà grottesca nelle mille pieghe del nostro paese, capace di distinguersi per un provincialismo che sconfina nel romanzesco più truce. Ma la realtà quando vuole supera sempre la fantasia. Divisi per sezioni le notizie più incredibili ma vere si susseguono catalogate per categorie: Italia Numbers, Italia Lager, Italia Comics, accompagnate dall’esecuzione dell’inno nazionale di Mameli Ne esce un ritratto impietoso e cinico di un’Italia che non è più in grado di vantarsi di essere il Bel Paese. Tutto finisce nel tritacarne di una stampa che fa emergere storie al limite del paradossale. Giovani minorenni buttate nella vasca dei pesci pirana, operai finiti nella macchina che impasta i prosciutti. Cinesi usciti dai tombini dove dormono. Non ci scandalizza più per nulla, ogni giorno passano sui giornali notizie che dovrebbero suscitare sdegno, incredulità, promuovere battaglie per la legalità e il rispetto per le più elementari regole di civiltà. Invece niente. Ci si è adagiati su una indifferenza molto preoccupante. L’Italia dovrebbe destarsi da un troppo lungo letargo soporifero in cui è sprofondata.
C’era un’Italia un tempo popolata da uomini colti amanti della cultura e della letteratura. Capaci di dilapidare tutto il loro patrimonio nell’acquistare centinaia di libri per farne una biblioteca privata. Erano Nobili e Porci libri. Fogli nuovi per don Gennaro de Gemmis. Una storia vera raccontata da Michele Santeramo di Teatro Minimo, una delle partecipazioni più suggestive ed emozionanti del festival, protagonista anche di Storie d’amore e di calcio. In Nobili e Porci libri viene raccontata la storia di un uomo di origini pugliesi (viveva a Terlizzi in provincia di Bari), dalle mille conoscenze. Un ingegnere, filosofo, storico, chimico, esperto di agronomia, e agricoltura, e di libri. Tanto da viaggiare in continuazione per cercare testi rari sulle bancarelle di tutta Italia e anche all’estero. Con l’unico scopo: cercare tutto quello che era stato pubblicato sulla Puglia e farne la biblioteca più grande esistente ancora oggi. Era il 1963. L’attore da vita ad un viaggio ricco di annotazioni e aneddoti capaci di conquistare l’attenzione e lasciare con il fiato sospeso. Libri preziosi e porci, ovvero scrofosfingi nient’altro che statue raffiguranti dei maiali, posti ai lati del viale che conduceva alla sua casa. Qualcosa di estraniante che non poteva certo far pensare a cosa, invece, c’era dentro le mura. Una specie di piccola “Biblioteca d’Alessandria” pugliese.
Nobile e Porci libri di e con Michele Santeramo Teatro Minimo
La vita di don Gennaro doveva essere spesa solo in libri e se per acquistarne uno era necessario prendersi anche un pellicano vivo, il prezzo da pagare lo accettava volentieri. Michele Santeramo riesce a far volare la fantasia del suo pubblico con una esilarante storia di un uomo che viaggia in auto con il pellicano, lo porta al guinzaglio e il pennuto che parla al suo padrone. Fantasia dell’autore ma sempre su basi storiche accertate. Eroe di altri tempi, de Gemmis morirà nella più completa povertà, dopo aver donato la sua collezione che ora è depositata presso la Biblioteca Provinciale di Bari. Un eroe che voleva difendere a tutti costi un patrimonio di saperi e di idee, di tradizioni e di antiche ricette. Un’Italia migliore di quella di adesso.
“Io sono di sinistra, però…”, come per dire attenzione io posso dire e fare qualunque cosa ma sono e resto un militante che pensa a sinistra. Facile abili dove nascondersi dietro, e di questi tempi pare sia diventato molto di moda. Ascanio Celestini ci tiene a ribadire che il suo Discorso alla Nazione è ancora in fase di studio e il suo monologo in via di perfezionamento. Da qui si coglie perfettamente la sintesi ironica e critica su come ragiona una certa politica in crisi di identità, valori e capacità di rinnovamento. Il suo monologo parla di come l’italiano si contraddica da solo: prima si professa pacifista e poi scelga di votare (in parlamento) di partecipare a missioni mascherate sotto il termine “pace” ma che di fatto sono belligeranti. E gli esempi si sprecano nell’ora e mezza in cui Celestini intrattiene il pubblico.
Discorso alla Nazione Ascanio Celestini
Fa il verso a come il leader si rivolge al popolo, più servo che cittadino libero, con aria da tiranno che non ammette di essere contraddetto. Un politico abituato a farsi i propri comodi, dimenticando di essere stato eletto per servire il bene della nazione. Gli italiani, però, si sono abituati ad “accontentarsi” di qualche concessione e benefit: televisione, telefoni cellulari, automobili, vacanze, dimenticandosi che se al governo non c’è una classe politica onesta e sana, dotata di anticorpi per combattere la corruzione e tutto quanto sia illegale, le conseguenze nefaste si riverseranno anche su di loro. Sono parole amare quelle declamate con un certa enfasi dall’artista, non senza alcuni cedimenti nella narrazione, ma vista l’ora notturna in cui è iniziato lo spettacolo, si può comprendere come sia necessaria un’attenzione sia da parte di chi lo fa il “discorso” sia da parte di chi lo deve ascoltare. E possibilmente mettre in atto poi la capacità di ribellarsi a questo sempre più diffuso malcostume di girarsi dall’altra parte, pensando di non avere nessuna responsabilità se l’Italia perde sempre più di credibilità. Ai discorsi dei politici devono seguire azioni efficaci per un risanamento di una democrazia malata.
Festival Collinarea di Lari, visto dal 26 luglio al 3 agosto 2012
Crediti fotografici di Andrea Casini Lari 2012