RUMOR(S)CENA – CASTROVILLARI – PRIMAVERA DEI TEATRI – Da quasi un quarto di secolo il festival Primavera dei Teatri (che da un paio di anni ha nuovamente ritrovato la sua giusta collocazione stagionale, e quest’anno prevedeva anche un’ampia sezione dedicata alla danza) viene esplicitato con l’espressione: “Nuovi linguaggi della scena contemporanea”.
Prima di riferire su alcuni degli spettacoli di prosa proposti, il recensore intende premettere una breve analisi semantica di quell’espressione. Se, sottolineando il concetto di “contemporaneo” si volesse dire semplicemente, in modo più elegante e à la page, che l’evento intende mostrare cosa oggi si produce in ambito teatrale, l’iniziativa sarebbe già di per sé lodevole. Nel corso degli anni, molte giovani compagnie hanno avuto a Castrovillari una visibilità che altrimenti non avrebbero ottenuto, e vorrei ricordare, peraltro, come l’intuito della direzione artistica ha avuto il merito di far conoscere personalità artistiche al momento poco note (per tutti cito Ascanio Celestini, visto a Primavera dei teatri ben prima che gli si aprisse una brillante carriera).
Ma, volendo dare maggior peso al concetto di “nuovi linguaggi”, l’obiettivo di Primavera dei Teatri appare più complesso e ambizioso. Non so se è un nuovo linguaggio quello adottato da Serena Balivo e Mariano Dammacco in La morte, ovvero il pranzo della domenica, ma la creativa duttilità dell’interprete le consente di declinare la forma del monologo in una maniera sorprendentemente nuova, nella quale diverse generazioni di pubblico si possono identificano nel loro personale rapporto con un genitore anziano.
Un altro esempio da manuale di monologo è quello che, sullo splendido, feroce testo di Thomas Bernhard, A colpi d’ascia – un’irritazione, ci fornisce un corrosivo Marco Sgrosso, che sa distillare i succhi ormai inaciditi di un morente impero austro-ungarico, coadiuvato con sapienza dal sax di Tiziano Arcelli
La fusione di parola e musica dal vivo è un bel modo di rinnovare il linguaggio teatrale, e un felice esempio ce lo ha fornito Dario De Luca, con la collaborazione ormai consolidata di Gianfranco De Franco: un cantastorie e un musico, impegnati nel divertente e impudico I 4 desideri di Santu Martinu – Favolazzo osceno adatto a esser recitato dopo i pasti.
Una modalità più ardita di integrazione di registri espressivi diversi si è rivelata in uno spettacolo costituito esclusivamente da son et lumière: Con-DANSE, ove le dinamiche invenzioni cromatiche e figurative di Mario Giordano, ispirate a Matisse, sono state proiettare su una facciata del cortile dello storico Palazzo di Città, accompagnate dalle suggestioni vocali di Cecilia Foti su musica del già citato, talentuoso Gianfranco De Franco.
Un discorso a parte merita Vorrei una voce, di Tindaro Granata: un omaggio a Mina costruito rielaborando i materiali di un seminario da lui tenuto nella sezione femminile di un carcere di massima sicurezza. Indossando sul petto nudo, dai rilievi quasi femminei, giacche e vestiti coperti di strass e paillettes, alternando al play-back al sue vicende personali, Tindaro – a volte lui stesso visibilmente coinvolto – è riuscito a emozionare una platea costituita da diverse generazioni, la cui educazione sentimentale si è formata proprio sulle canzoni di Mina.
Un’inserzione intelligente volta ad arricchire la comunicazione verbale si rileva in Quello che non c’è, scritto, diretto e interpretato da Giulia Scotti, autrice anche di disegni proiettati sul fondale, che aggiungono una intrigante componente figurativa alla narrazione: un lavoro giustamente insignito del premio Dante Cappelletti nel 2023.
Originale, sia nello stile di comunicazione, sia nei temi trattati, Album, di Kepler-452. In una sala di lettura cittadina Nicola Bolognesi, si muove in mezzo a un pubblico accomodato su sedie disposte in ordine sparso sciorinando la sua notevole capacità affabulatoria. Attraverso un porgere apparentemente casuale, come di un occasionale avventore di un bar, riesce a tenere desta l’attenzione di una platea inizialmente sconcertata da informazioni abbastanza peregrine sul ciclo riproduttivo delle anguille, collegandolo successivamente al problema della memoria, al morbo di Alzheimer, fino al problematico, feticistico rapporto con gli oggetti legati ai nostri ricordi che siamo costretti a buttare: un operazione che induce gli ascoltatori a riconoscersi in questa sorta di nevrosi, più diffusa di quanto siamo disposti ad ammettere.
Anche nel Rivoluzionario errante – Vite, utopie e fallimenti di Nikolaj Sudzilovskij, prodotto da A.M.A. Factory: un’evocazione della figura di un personaggio reale, ma pochissimo conosciuto, la musica elettronica originale di Ivan Bert offre alla sua incredibile vicenda un una suggestione in più.
Fuori da questa ricognizione di elementi di innovazione, da citare uno spettacolo dal notevole impegno produttivo, Mare di ruggine – La favola dell’Ilva, con sette attori in scena e una scenografia che sembra addirittura emanare odore di siderurgia. Si tratta della triste epopea dell’azienda, narrata in parallelo con le vicende di una famiglia di lavoratori. La drammaturgia, di impostazione sostanzialmente realistica, non si perita di innestare nella narrazione momenti coreutici, che ne alleggeriscono la drammaticità e l’intento didascalico. Un bell’esempio di teatro tradizionale, che non ha ancora perso la sua ragione di essere.
Visti a Castrovillari a Primavera dei teatri, dal 28 maggio al 2 giugno 2024