RUMOR(S)CENA – COLLE BRIANZA (Milano) – La poetica sottesa alle produzioni di Campsirago Residenza in occasione della XIX edizione del Giardino delle Esperidi può esprimersi sinteticamente nella valorizzazione del rapporto tra la persona e la natura; un rapporto che l’inurbamento, e specialmente i nostri stili di vita, ci hanno fatto perdere, o dimenticare. È raro, infatti, per chi vive in città, soffermarsi a osservare il tramonto del sole, o alzare gli occhi per prendere atto delle fasi lunari. Tali opportunità sono invece programmate e offerte agli ospiti del festival che si tiene annualmente all’inizio dell’estate.
In queste, l’adesione alla natura si somma a un elemento rituale, come in Sun Followers (regia dell’olandese Sjoer Wagenaar, con la supervisione di Michele Losi), una camminata in fila indiana, nel segno della morte e della rigenerazione – abbastanza faticosa per i non più giovani –lungo le cosiddette “Piramidi di Montevecchia”, tre rilievi che un’ipotesi archeologica ritiene l’esito di un’attività antropica preistorica. La lunga processione insegue tre figure femminili (le tre Parche: una in nero, due in rosso), con una breve sosta per assistere al tramonto del sole; alla fine del cammino, sulla sommità dell’ultima delle “Piramidi”, in uno spazio circondato da cipressi, la coinvolgente suggestione sacrale offerta dall’attore e vocalista Sebastiano Sicurezza, che legge brani di Rilke su Euridice, accompagnato dal banjo di Luca Maria Baldini, suonato con l’archetto.
Non meno intenso sul piano emotivo il progetto intitolato Tutto passa tutto resta, di Gabriella Salvaterra, di SST (Sense Specifc Theatre): anch’esso un percorso, questa volta a coppie, fra boschi, frutteti, piantagioni di camomilla e mentuccia, nel parco di Villa Besana, a Sirtori. L’itinerario è limitato da fili su cui sono stese lenzuola o biancheria, ed è spezzato da soste ove ti attendono figure, per lo più femminili, che scambiano con te riflessioni esistenziali (come il senso del viaggio), e ti invitano a proseguire. Almeno tre le stazioni più significative, con sensazioni che entrano nel profondo.
Ai piedi di un albero sei invitato a raccogliere una sorta di specchio sagomato, che ti viene appoggiato orizzontalmente sul viso, fra gli occhi e il naso, in modo che non vedi nulla se non i rami più alti degli alberi e il cielo. In questa anomala, capovolta prospettiva visuale (non scorgi affatto dove metti i piedi) cammini, affidandoti a chi ti guida tenendoti sottobraccio, e ti sembra di stare volando: una situazione tanto spiazzante quanto affascinante.
Più oltre ci si imbatte in una donna sepolta nella terra fino alla vita (immediato, ancorché incongruo, il riferimento al beckettiano Giorni felici), che si presenta come “il tempo, che cattura a disperde i ricordi”, e ti invita a rispondere, scrivendo su tre foglie, ad alcune domande piuttosto personali. Due delle foglie vendono buttate, la terza, restituita; nella successiva stazione potrai decidere se tenere o “spedire”, alcune note che sei stato invitato ad appuntare su un pezzo di carta. La situazione è surreale, ma si sta al gioco, senza sforzo e, dopo una beve riposo su una stuoia a tuo piacimento, concludi il percorso.
Ma l’esperienza più coinvolgente è quella in cui una gradevole donna dai capelli bianchi guida la mia mano su un monticello di terra, sotto il quale percepisco, debolmente, il battito di un cuore. Una emozione violenta, che immagino richiami in ognuno di noi delle esperienze vissute intensamente. Per me, il ricordo di quando avevo posato la mano sul mucchietto delle ceneri di un amico, disperse in un bosco. Rialzandomi, mi è stato spontaneo scambiare un bacio di riconoscenza sulle gote di Laura, generosa officiante di quel rito.
Nel solco della medesima poetica, Humana Foresta: anch’esso un itinerario guidato nei boschi, con in più un qualche tocco di naïveté, che ha reso la proposta particolarmente gradita ai bambini. Una guida in grembiule arancione osserva, e ausculta i vari alberi, con un buffo strumento a cannocchiale, interpretandone e riportandone le voci, fino a una sosta in una radura, attorno a una grande stuoia rotonda, sul cui orlo sono state posate una serie di albanelle, ognuna delle quali contiene oggetti vegetali: frammenti di corteccia, spighe d’erba, rametti, bacche. Specialmente i bambini raccolgono con immediatezza l’invito ad animare la stuoia, e creano composizioni con i contenuti delle albanelle. La guida si accommiata, ma i bambini rimangono ancora per un po’ sulla stuoia, a giocare con i loro piccoli tesori vegetali.
Spezzato è il cuore della bellezza è la cronaca, cinica, ironica e – in certe parti – quasi surreale, di un rapporto coniugale spezzato dall’insorgere di una nuova relazione del marito, scritta e diretta da Mariano Dammacco per una superlativa Serena Balivo, nel doppio ruolo della dignitosa ma determinata moglie tradita e della melensa amante: un vistosa biondona in abito da sera, anche iconicamente agli antipodi della prima (espediente che viene rivelato solo nel finale, con un coup du théâtre, assieme allo svelamento dell’identità femminile di Erica Galante, interprete del grottesco marito fedifrago, con spiritosi interventi che integrano l’incredibile partitura gestuale che Serena inventa a getto continuo in ambedue gli altri ruoli.
Meno riuscito Wonderboom, di Stefano Cenci, in scena nella sala parrocchiale di La Valletta Brianza. Un’idea che poteva essere interessante e suggestiva: la messa all’asta di istituzioni, o principi (dal matrimonio al divorzio, fino al teatro), da salvare trasportandoli in un mondo migliore, in cui trasferirsi in attesa dell’ormai incombente disfacimento di quello presente; ma poi, in assenza di una drammaturgia più articolata e fantasiosa, lo spettacolo scade in banale stile televisivo, né lo risolve la demagogica chiamata di un bambino dal pubblico, chiaramente orchestrata e preparata, in funzione di mozione degli affetti.
Sig.ra Rossetta, della compagnia Is Mascareddas. è una delicata restituzione della storia di Cappuccetto Rosso affidata alla comunicazione puramene mimica e alla manipolazione di oggettini e di una marionetta di Donatella Pau per la regia di Anna Fascendini.
Ma il Giardino delle esperidi non è solo teatro, pur nei suoi molteplici generi e registri: è anche luogo di confronto e scambio, fin dalla mensa (fantasiosa nelle proposte gastronomiche interregionali, e addirittura internazionali), servita da premurosi stagisti (ambosessi), ove la casualità dei commensali delle lunghe tavolate innesca incontri e discussioni stimolanti; ma specialmente nello spazio recentemente restaurato, al primo piano, attrezzato con un favoloso impianto ad alta fedeltà (di cui Michele Losi, cofondatore, anima e direttore artistico di Campsirago Residenza, è giustamente fiero), ove socializzare ascoltando le note trascinanti del Köln Concert di Keith Jarrett, o seguire una tavola rotonda sui massimi sistemi del mondo (la crisi della cultura, l’emergenza climatica) condotta con maestria dall’onnipresente Oliviero Ponte di Pino.
A conclusione, nella vecchia corte, impreziosita dalla oscillante, imponente costruzione in bambù di Nori Taganaka, un concerto dal malizioso titolo Meglio stasera che domani o mai (la canzone scritta per il film La pantera rosa): una nostalgica, coinvolgente antologia interpretata da una duttile Camilla Barbato e da una valorosa band (chitarra elettrica, fiati, percussioni) delle colonne sonore di film d’antan, da Rififì, appunto alla Pantera rosa, a Mambo italiano di Pane, amore e… fino a Django.
Intanto a Sud, fra le quinte in muratura di Palazzo Gambassi, in attesa che si affacci la luna piena, come un favoloso fondale naturale si[CF1] stende la pianura, ove a poco a poco si accendono le luci delle aggregazioni urbane.
Visti a Colle Brianza e dintorni dal 30 giugno al 2 luglio 2023