RUMOR(S)CENA – PICCOLO TEATRO MELATO – MILANO – Anche se Shakespeare scriverà questa battuta solo una quindicina di anni dopo, nel finale della Tempesta, mi sentirei di sostenere che questo etereo concetto – o forse, più propriamente, questa immagine – non solo è il punto di riferimento dell’intera vicenda del Sogno, ma è addirittura sotteso all’impostazione di Carmelo Rifici, regista e direttore della Scuola di Teatro Luca Ronconi; fin dalla scelta di questo testo, che costituisce il momento finale di formazione dell’intero corso triennale intitolato alla memoria di Claudia Giannotti, un’antica e prestigiosa collaboratrice della Scuola, scomparsa pochi anni fa.
È un po’ sconcertante verificare che, per poter godere di una versione integrale del Sogno di una notte di mezza estate, sia necessario assistere al saggio finale della Scuola del Piccolo di Milano, nella fattispecie non aperto al pubblico né alla critica. In effetti, nessuna compagnia, e neppure un teatro stabile, potrebbe permettersi di mettere in scena ventiquattro attori (di tale qualità professionale), anche a copertura dei cosiddetti personaggi secondari, guidati da un regista di sicuro mestiere e talento come Carmelo Rifici, in uno spazio intrigante e suggestivo, come il teatro Melato di Milano (già Teatro Studio), qui utilizzato nelle sue svariate, possibili articolazioni logistiche.
Nelle due repliche a invito del 29 e del 30 giugno, la distribuzione si è rimescolata, per dare modo a tutti gli allievi di misurarsi anche con le parti principali. E fa piacere sapere che – a differenza degli anni passati – questo patrimonio di energie e di creatività non sarà disperso (come peraltro è il triste destino, nei tempi lunghi, di ogni produzione teatrale), ma sarà proposto al pubblico nel corso della prossima stagione.
Non proverei neanche a enumerare le invenzioni di regia, di drammaturgia e di scenografia che costellano lo spettacolo. Mi limito ad alcune delle più evidenti. Il diabolico e pasticcione folletto (che nel testo originale ha, in effetti, due nomi, cioè Puck e Robin-Goodfellow) viene raddoppiato da due interpreti. Inoltre, quasi un ammiccamento al teatro elisabettiano che imponeva, di regola, agli uomini di interpretare anche ruoli femminili, qui si attribuisce a due ragazze il ruolo di alcuni degli artigiani improvvisati attori, con risultati di irresistibile comicità. Così succede per le fate e gli elfi ambosesso.
Il testo, come si è detto, è integrale, e si dipana sulle problematiche vicende amorose, in parte intrecciate, di quattro coppie la cui realtà si sfrangia nei miti della notte di San Giovanni. Nel testo si insinuano però anche gli interventi di Riccardo Favaro con inserimenti (definiti in locandina come “commento continuo”) che sottolineano, con discrezione, alcuni elementi di contemporaneità. In effetti, non è illegittimo individuare nel testo del Bardo una polemica nei confronti di una società patriarcale (oggi diremmo “maschilista”), le cui ombre lunghe si proiettano fino ai nostri giorni. Infine, da citare la ricca colonna sonora di Federica Furlani, per lo più dal vivo, affidata, fra gli altri, a un vivace percussionista, dal cui tamburo emergono, a un certo momento i ritmi ossessivi del Bolero di Ravel; ma alla sua esecuzione contribuiscono anche le competenze musicali e canore di allievi che, senza deporre il costume di scena, cantano da solisti, o siedono a una tastiera, o imbracciano con maestria un violino, una chitarra, un basso un flauto.
Per tutto il resto, ad evitare spoiling, lascio al pubblico la sorpresa della scoperta durante le repliche del prossimo autunno, non senza aver sottolineato la contagiosa passione e l’energia vitale con cui le giovani atrici e i giovani attori aderiscono ai loro personaggi, ma specialmente il modo con cui regia, drammaturgia e interpretazione attorale ci fanno sentire anche noi “fatti della stessa sostanza dei sogni”.
Visto il 29 giugno al teatro Melato di Milano