La strada che conduce verso Montichiello assomiglia ad un lungo serpente innocuo che striscia tra le dolci campagne senesi dal color ambrato. Attraversa campi arati su cui giacciono enormi rotoli di paglia: sembrano ruote gigantesche prive dei loro carri. La luce del tramonto incendia l’orizzonte e il profilo di questo minuscolo paese pare sia stato disegnato e ritagliato su un foglio di cartone. Siamo in alta Val D’Orcia a pochi chilometri da Pienza, magnifica cittadina con le sue architetture e la concattedrale voluta erigere da papa Pio II. Si tratta di uno dei monumenti più importanti del Rinascimento italiano, anche se ricorda le chiese gotiche francescane e le Hallenkirchen tedesche. Risente dell’influenza di Leon Battista Alberti, ritenuto il reale ispiratore di Pienza e del Duomo.
La vita del borgo di Montichiello dalle fattezze medievale ancora intatte, sembra si sia fermata a qualche secolo fa e l’aria della sera è rinfrescata da una leggera brezza. Superata la porta ad arco si arriva alla stupenda pieve dedicata ai Santi Cristoforo e Leonardo, uno degli edifici romanico-gotici più interessanti del senese meridionale. Al suo interno si possono ammirare gli affreschi attribuito a Niccolò di Segna, pittore senese della metà del XIV secolo. La pieve conservava anche il capolavoro di Pietro Lorenzetti, una Madonna con Bambino, attualmente esposto al museo diocesano di Pienza.
Al calar del sole, appena le prime ombre della notte avanzano, la compagnia del Teatro Povero: sono gli attori del 46º “autodramma”, scritto e interpretato dai bambini, adolescenti, uomini, donne e anziani di Montichiello. Non manca nessuno delle generazioni che si susseguono in questo paese dove ogni anno va in scena il frutto di un lavoro di un anno. Quest’anno lo hanno chiamato“Palla avvelenata”, in origine un gioco popolare comune tra l’infanzia. Vince chi è più forte ma in questo si parla di giochi ad alto livello o meglio speculazioni ciniche dove il guadagno viene al primo posto. Nulla di nuovo se non fosse che la qualità artistica. unitamente ad una semplicità genuina, data dall’entusiasmo di chi fa teatro dettato dalla passione, racconta una favola un po’ boccacesca, di come ci si ingegna per imbrogliare il prossimo. La storia è quella di contadino, Campriano, astuto e furbo nel fregare chi crede di essere più scaltro di lui.
Avidi commercianti o meglio speziali, tentano di fare un affare con il miele dello “stolto” acquistando per pochi soldi. Il gabbato si prenderà gioco di loro, non una volta ma ben tre di seguito, arrivando a farli credere di possedere una pentola capace di bollire l’acqua senza dover accendere il fuoco. Storie di creduloni finiti a legnate da parte delle mogli sempre più arrabbiate. Una novella popolare dal finale esilarante. Fin qui il registro narrativo più facile, semplice da decifrare, piacevole per come viene realizzato. Un tipico esempio di comicità da commedia dell’arte a cui si aggiunge la capacità di parlare schietto al popolo e al pubblico, sottolineato efficacemente dalle musiche e dal canto.
Lo spettacolo non finisce qui. Contiene anche un registro “serio”, allorché sulla scena compaiono ancora gli stessi tre uomini, smessi gli abiti cinquecenteschi indossano abiti moderni e assumono le vesti di rampanti personaggi tanto simili a quelli delle cronache giudiziarie dei giornali. Sono un politico vanesio e cinico, un ingegnere sociale tecnocrate e un finanziere. Tre categorie esposte facilmente al rischio di corruzione quanto propensi al guadagno costi quello che costi. Uno spettacolo di denuncia sociale? Anche. Realizzato con il mezzo più antico per farlo: il teatro.
Un teatro che si interroga sul presente e sulla politica. Si odono fare i nomi dei più celebri (al negativo) finanzieri internazionali come Morgan, Lehmann, Brothers, responsabili di aver collassato imperi economici. Si ride di gusto ma si è anche costretti a riflettere sui guasti di una società “avvelenata”. E il gioco della palla ricomincia. Merito di un affiatato e preparato gruppo magistralmente diretto dal loro regista che risponde al nome di Andrea Cresti.
Lo spettacolo è dedicato ad Alpo Mangiavacchi e Osvaldo Bonar, figure storiche del Teatro Povero di Montichiello, scomparsi nel 2012.
Visto a Montichiello il 27 luglio 2012