RUMOR(S)CENA – MILANO – Per la rassegna estiva del Teatro Menotti, all’interno della manifestazione Milano è viva promossa dal Comune, nel cortile della Biblioteca Sormani di Milano è andato in scena Un albero di 30 piani, una raccolta di letture e canzoni proposte da Arianna Scommegna. Di lei conosciamo bene la duttilità interpretativa, meno le sue doti di cantante, delle quali lo spettacolo offre una felice dimostrazione. Non stupisce tuttavia scoprirle, conoscendo le ascendenze di Arianna, in questo senso figlia d’arte: suo padre è Nicola di Bari.
Nella totale sobrietà della scena e senza supporto di luci (lo spettacolo iniziava col sole ancora alto), Arianna alterna testi poetici a canzoni. Un po’ defilata, ma fondamentale nel progetto, c’è Giulia Bertasi con la sua fisarmonica. Sensibile interprete e compositrice, animata da una precoce vocazione teatrale, Giulia ha collaborato con César Brie, Serena Sinigaglia, Antonio Attisani. Il suo sodalizio con Arianna nasce una decina di fa, con l’ispido testo di Mater strangosciàs di Giovanni Testori, e prosegue con opere di non minore arditezza, come il Magnificat di Alda Merini.
In questo, come negli altri spettacoli realizzati insieme, il ruolo di Giulia non si può definire di puro accompagnamento musicale, ma ha una sua rilevanza drammaturgica, che crea un controcanto, discreto ma efficace, alla più diretta presenza scenica di Arianna. Un fisico androgino, esile, che contrasta anche con l’imponente strumento che tiene fra le braccia con maestria e sicurezza; corti capelli neri; occhi di un azzurro incredibilmente luminoso. Gli sguardi che lancia ad Arianna, ora severi, ora maliziosi, evidenziano una sotterranea complicità fra le due artiste, che costituisce un ulteriore elemento di fascino nell’intrecciarsi di parole e musica (per lo più orchestrata o composta da Giulia).
Lo spettacolo, apparentemente improntato a una certa leggerezza, veicola invece, pur senza toni saccenti o predicatori, un messaggio di alto valore etico e sociale: propone un rapporto più attento e amorevole con la natura – o forse è il caso di dire, con il nostro pianeta – declinato con gli strumenti della poesia e della musica. All’inizio, Ode alla tranquillità di Pablo Neruda: una felice, pacificante sequenza di immagini della natura, in forma di frammenti legati da un unico, affettuoso sguardo sul creato.
Segue la bonaria, ironica saggezza di Italo Calvino, con l’avventura dell’operaio torinese Marcovaldo che scopre e cucina per tutta la famiglia dei funghi fortuitamente comparsi in un prato cittadino, e che si conclude con una generale intossicazione; ma il racconto si scioglie, senza apparente soluzione di continuità, nella canzone di Celentano dal tono più serioso, dalla quale lo spettacolo trae il titolo. E poi ancora Mariangela Gualtieri, Roberto Calasso, un brano dall’enciclica Beato si’ di Papa Francesco, e altri.
Ciò che affascina ed entusiasma, in questa esibizione di Arianna Scommegna è la sua attitudine a traferire, passando dalla parola detta alla parola cantata, la ricchezza di registri vocali e gestuali, l’ammirevole mobilità di un viso non canonico ma affascinante nella sua mutevole espressività: capacità che si coglie appieno nell’appassionata interpretazione di Amara terra mia, cantata a voce spiegata, che chiude in bellezza lo spettacolo.
Visto nel Cortile della Biblioteca Sormani di Milano il 18 luglio 2022