RUMOR(S)CENA – TORINO – Definirei questo DAVID COPPERFIELD SKETCH COMEDY, un carosello dickensiano dei Marcido Marcidoris (e Famosa Mimosa), più che una riscrittura, un vero e proprio travestimento, pur se questo termine sembra ormai quasi abbandonato, che per questa sua natura estetica ha la proprietà di trasformare la paradossale inattualità del testo di riferimento in un transito che gli consente di attraversare il tempo della storia ed insieme il tempo della esistenza(e), nel contempo, proprio per questa sua caratteristica intrinseca, mantenendo nella profonda trasfigurazione del testo una fedeltà altrimenti difficilmente realizzabile.
Da una parte, dunque, vi è lo slancio storico di un proto-socialismo umanitario ottocentesco, di cui Charles Dickens era in certo qual modo testimone, su cui procedere all’innesto di una nuova ideologia che può consapevolmente decomporre i termini oppressivi di un capitalismo sempre crudele ma che cerca in continuazione di imbellettarsi.
Dall’altra gli echi dell’infanzia dello spirito, il tempo della favola e del romanzo fiume e un pò agiografico, che si confrontano con le asprezze di un esistere, di un esserci che sembra denegare quelle premesse etiche e psicologiche ma che in realtà le smaschera, dissolvendole nell’acido sapore di un presente (di una ricercata maturità) sempre più complesso e sfuggente.
Ai due contrapposti, ma coerenti, poli narrativi corrisponde una drammaturgia, con la relativa messa in scena, che sa amalgamare, come è nella cifra dei Marcido, le suggestioni figurative con i battenti stimoli di una parola che è capace di farsi concreto corpo tra i corpi che agiscono in scena, ma che soprattutto agiscono la scena.
Così l’apparente frizione, che è al contrario una consapevole composizione, tra la figura del personaggio, maschera ed insieme atto significativo, e l’attore in carne ed ossa che, sotto quella sorta di sbuffo da fumetto, il personaggio lo interpreta, implementa ulteriormente e con grande forza il senso di cui la parola si fa carico, quasi fosse essa stessa non descrizione e confine di quelle immagini, ma bensì ne fosse da esse generata come autonome onde energetiche.
Il bel testo di Marco Isidori, così alieno ed insieme così implicito al romanzo cui si ispira, produce così un doppio livello di percezione: quella razionale, che si compone nel recupero, anche nei termini di una più strutturata ideologia, degli slanci di rinnovamento del secolo in cui ha visto la luce, e quello estetico, se non dionisiaco, che svela ed illumina il non detto della nostra esistenza nella temporalità condivisa, ciò che in fondo ci è comune ma che non riusciamo spesso a condividere, quasi non ci appartenesse.
Dentro questo meccanismo ‘organico’, in cui Zoe e Bios convivono con armonia, gli attori si muovono con naturalezza tra i diversi personaggi che man mano incarnano (ben cinque per il solo Isidori), con un procedere quasi allucinatorio, oltre le stesse sintassi da Vaudeville su cui è modellato.
Quasi fossero, come le parole, espressione essi stessi, più che ispirazione, di quelle figure animate che la maestria e la sapienza singolare di Daniela Dal Cin è capace di creare e che sono il collante vero e profondo della messa in scena, nonché il reagente estetico che facilita lo sprigionarsi sincero del significato profondo dell’intera drammaturgia.
Dunque teatro di parola, in quella accezione specifica che il travestimento come forma scenica produce e disvela, e teatro di figura, tra burattini e cantastorie con i loro cartelloni, e poi teatro epico e teatro di poesia, in una armoniosa strutturazione e anche ricognizione scenica in cui si perdono i confini degli stili e dei linguaggi in favore di una immersione partecipata, in direzione di quel Teatro Totale che i Marcido spesso richiamano come loro orizzonte.
Non c’è praticamente alcuna musica per tutto lo spettacolo, salvo le poche note della canzone finale, infatti è il suono rutilante e rotolante delle parole dette, quasi in un inseguimento tra segno e simbolo, che costituisce la melodia profonda di questo singolare e anche, se vogliamo, raro spettacolo.
Raro nella sua particolare bellezza figurativa e nella sua efficacia drammaturgica, quasi un ambiente liquido in cui le onde si diffondono e i significati estetici si creano oltre la stessa consapevolezza di chi li produce e fisicamente li incarna, corpi in scena che ne sono attraversati e che ci parlano nell’intimo.
Negli spazi piccoli ma suggestivi del Teatro Marcidofilm di Torino, in prima assoluta dall’8 al 20 Novembre. Ci auguriamo che possa ora trovare l’accoglienza che merita nel circuito nazionale. Visto il 13 novembre con reazioni entusiaste da parte del pubblico.
DAVID COPPERFIELD SKETCH COMEDY, un carosello dickensiano. Riscrittura e adattamento drammaturgico di Marco Isidori da Charles Dickens. Interpreti: Paolo Oricco, Maria Luisa Abate, Valentina Battistone, Ottavia Della Porta, Alessio Arbustini, Vincenzo Quarta, l’Isi. Assistente alla regia Nevena Vujic, luci Fabio Bonfanti, scene e costumi Daniela Dal Cin. Regia Marco Isidori. Produzione Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa.
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