RUMOR(S)CENA – GIURIE E PREMI TEATRALI – La critica teatrale diffusa sui mass media appare oggi come una forma di informazione o, in rari casi, di controinformazione per le stagioni teatrali nazionali e internazionali. I mezzi di comunicazione di massa, diversamente da quanto si pensa, non sono nati per comunicare ma per informare (1). In Italia, a seguito del potere dato dal modello televisivo di monopolio prima e duopolio dopo, gli attori sociali hanno provato a sperimentare una forma di comunicazione dal basso creando una community di utenti produttori di contenuto (2).
Questo fermento sociale ha ragioni fondate sulle leggi costituzionali che sanciscono il diritto di espressione, di opinione e di libero accesso ai mezzi di comunicazione. A diritto negato il cittadino è considerato, da chi controlla i media, alla stregua di un oggetto e non più soggetto attivo.
La Televisione italiana, negli anni ’60, offre al 90 per cento di analfabeti l’opportunità di attingere ad una conoscenza a costo zero. Il cittadino, dopo aver acquisito il “sapere”, sente la necessità di diffonderlo, sempre in virù di una legge costituzionale: la libertà di parola. Il singolo individuo ha bisogno di rispondere per rivendicare i propri diritti, primo fra tutti quello di cittadinanza. La necessità di partecipare fa parte di quella che Massimo Arvat definisce “democrazia partecipativa” intesa come mezzo di scambi comunicativi tra i singoli individui (3). Tali processi si sono presto risolti nella sperimentazione di nuove strade comunicative, decentrate e di libero accesso, caratterizzate dalla partecipazione comunitaria. Nonostante la realizzazione di infrastrutture e luoghi in cui gli attori sociali agiscono, la progettualità relazionale tra pubblico e privato, istituzionale e non istituzionale, rimane frammentaria all’interno di un quadro composito che vede riconosciuto il bisogno sociale di affermare un senso di comunità (4). Così dall’alto al basso e viceversa, i media interagiscono con le trasformazioni della società influenzando indisturbati il sottosistema politico e la domanda del consumatore.
Nella società di massa, la controinformazione può essere definita, usando le parole di Manuel Castells, controcultura ovvero una cultura costruttrice di nuove strutture opposte al sistema dominante (5). Qui la piramide comunicativa viene capovolta: si passa da “uno a molti” alla logica di “pochi emittenti per molti destinatari”. Tuttavia, se applichiamo questa struttura comunicativa in un contesto non più localizzato ma globalizzato, come quello attuale, il capovolgimento non appare diverso dal precedente. Il gruppo di emittenti che muovono le fila del mezzo è sempre in numero minore rispetto ai destinatari. Se il potere dato è quello di una minoranza allora ci troviamo di fronte ad un potere forte.
Media come la stampa, che influenza il PIL nazionale, produce reddito e favorisce occupazione, sono gestiti dai pochi eletti cosicché la controinformazione libera risulta scarsa. “People are message” sostituisce il vecchio “medium is message”.
[1] Cfr. Faenza, R. (a cura di), Senza chiedere permesso. Come rivoluzionare l’informazione, Feltrinelli Milano, 1973, p. 18.
[2] Cfr. De Rossi, M., Costruire processi di animazione socio-culturale per lo sviluppo di empowerment di comunità, in De Rossi, M., Petrucco, C., Web 2.0, scuola e comunità territoriali. Il Progetto “didaduezero” della Provincia di Trento, Pensa MultiMedia Editore, Lecce, 2011, pp. 6-37.
[3] Cfr. Arvat, M., Tv e comunità, in Caprettini, G. P., Zenatti, S., (a cura di), Linguaggi televisivi. Progettare, scrivere, comunicare, insegnare, Carocci, Roma, 2005, p. 131.
[4] Cfr. De Rossi, M., Ibid., p. 35.
[5] Cfr. Castells, M., Il potere delle identità, EGEA Università Bocconi Editore, Milano, 2014.
All’interno di questa indymedia (o rete indipendente) l’attore sociale (il cosiddetto player) diventa emittente di contenuti ma per una quantità ridotta di destinatari (6). La conoscenza si moltiplica così come gli attori sociali portatori di contenuti in un quadro globale vasto e multiculturale.
A questo punto l’attenzione ricade sul singolo attore sociale (cantante, politico, attore, scrittore) che produce e veicola contenuti selezionati e confezionati per un pubblico che non vuole fare altro che “partecipare”. Secondo questa logica mediatica l’attore viene scelto dal medium che è gestito dall’emittente che è voluto dal destinatario. Questo decentramento configura la formazione di un processo di produzione simbolico come la politica. Un decentramento simile lo abbiamo avuto in Italia nel ’75 con l’istituzione di una terza rete a carattere regionale di emittenti privati via cavo che ha favorito l’apertura di diverse tendenze politiche, sociali, culturali, attraverso i cosiddetti “programmi d’accesso” che permettevano a gruppi, associazioni, movimenti di produrre le proprie trasmissioni e usufruire di uno spazio di informazione nel palinsesto televisivo (7)
Stiamo parlando della Televisione di ieri così come del WEB di oggi per arrivare all’arte teatrale di domani.
In un contesto in cui l’attore è gestito dall’emittente, il pubblico ricopre un ruolo marginale. L’attenzione dell’emittente (agenzie artistiche, compagnie teatrali, registi, giurie di festival e concorsi) ricade su ciò che è “funzionale” e non su ciò che “vuole” il pubblico che intanto ha perso l’opportunità di “partecipare” a quel processo creativo che inizia il drammaturgo, traduce il regista, interpreta l’attore e vive lo spettatore. Senza il pubblico non c’è spettacolo così come senza utenti non c’è web e non c’è Televisione. Questa convinzione di conoscere le esigenze del pubblico, acquisita dalla Televisione e in parte dal Web, diviene una mina vagante nel teatro italiano attuale. La differenza riscontrata nel cinema rispetto al teatro è conseguentemente economica ma principalmente legata ad un punto di vista registico che prova a rispondere il più possibile a quello che il pubblico desidera e rappresenta in quel preciso periodo storico. Allo stesso modo, un produttore teatrale all’interno di una società di massa sempre più dinamica e varia, deve tener conto dei gusti del “cliente pagante”. Mentre sul web l’arte cinematografica e seriale è distribuita per uno spettatore che sceglie i contenuti e ne modifica le trame, a teatro l’arte attoriale mantiene da un lato l’embrione materno dall’altra il bisogno di distaccarsene. In questa instabile lotta interna, l’attore sta perdendo il suo centro di gravità artistico e il bisogno di comunicare dal basso. I canoni di bravura sono ridotti alla visibilità dell’artista.
La comunicazione a teatro è simbolica e oggi più che mai impregnata di significati altri che fanno parte di un linguaggio fuori dalla portata del cittadino medio. In questo contesto l’assegnazione di premi, alcuni dei quali hanno smesso di avere la votazione del pubblico, appaiono come una sorta di medaglia da aggiungere al proprio ranking per la visibilità e scalare la top list degli attori più seguiti già selezionati dall’emittente. In questa corsa ai premi si vince prima ancora di aver gareggiato, prima della fine e del fine ultimo: le emozioni in platea.
[6] Ibid.
[7] Cfr. Cipriani, I., La televisione, Editori Riuniti, Roma, 1980, p. 119.