RUMOR(S)CENA – BOLOGNA – Definizione di mostruoso: che presenta tali caratteri di bruttezza e deformità da suscitare l’orrore o il ribrezzo. In senso morale, estremamente malvagio e crudele, efferato, inumano. Ma può anche significare straordinario, grandissimo, superiore alla comune misura o norma, in espressioni iperboliche, talora spregiative, ma più spesso ammirative. Cosa può significare essere “mostri” in qualche modo di se stessi? E che riferimento può avere con il tormento esistenziale che molti provano, e come scrive Mariano Dammacco, autore di cinque drammaturgie “Danzando con l’umano” , nelle note di introduzione di “Danzando con il mostro”, lo spettacolo di e con Serena Balivo, Roberto Latini e lo stesso Dammacco che firma concept e parole: «Tormentarsi. Il tormento. Ho scelto di provare a porre lo sguardo sul tormento, in particolare su di un preciso tipo di tormento, che può capitare di esperire a un essere umano “fortunato”, un individuo che viva in condizioni dignitose, che non conosca la schiavitù o la guerra o la malattia, il tormento di un individuo che in teoria ha tutto per “essere felice”, che ha tutto per vivere bene la propria esistenza, insomma un cosiddetto essere umano libero, magari di quell’Occidente di cui facciamo parte».
Il drammaturgo affronta un malessere esistenziale sempre più diffuso che implica una riflessione che affronti quel mal di vivere spesso subdolo e difficile da interpretare. Il tormento che si insinua nelle pieghe più profonde dell’animo umano e in grado di invalidare le relazioni sociali e un sano atteggiamento nell’affrontare la vita, se pur irta di ostacoli. Il tormento può essere anche la spinta creativa per gli artisti come descritto perfettamente nel film “Tormento ed estasi” di Carol Reed che racconta le gesta di Michelangelo Buonarroti. «Il tormento che una persona può dare a se stessa e da se stessa subire – prosegue Mariano Dammacco nella sua introduzione del testo drammaturgico (pubblicato da Luca Sossella editore) -. Con gli anni mi sono fatto l’idea che questo tormento, questa condizione possa assumere dimensioni e tratti parossistici, dolorosi, estremamente dolorosi».
E si pone degli interrogativi che possono essere condivisi da chi riconosce come la condizione umana sia sempre più destabilizzante, prigioniera di se stessa: «Cosa succede quando siamo schiavi di noi stessi? In guerra con noi stessi? Cosa succede quando ad ammalarsi è la relazione con noi stessi, e di conseguenza, quella con gli altri? Cosa succede quando è con noi stessi che non riusciamo a perdonare? Può capitare di vivere un tormento, un tormento profondo e alienante, che spesso fa fatica a suscitare compassione negli altri. Un tormento che può diventare insopportabile.». In una società sempre più indifferente e incapace di comprendere l’altro, questi interrogativi richiedono una attenta analisi in grado di cogliere le tante contraddizioni che attraversano la nostra contemporaneità. Non c’è più l’ascolto ma un allontanamento sempre più evidente dalla realtà fattuale, dove al suo posto ne avanza una virtuale, contrassegnata da un impoverimento delle relazioni.
Non ci si parla se non tramite i social in cui tutto diventa artificiale, privo di emozioni fisiche e psichiche, in cui ci si può costruire false identità, ovvero dei mostri. Mariano Dammacco sceglie di rappresentarli con due personaggi che appartengono alla classe borghese, eleganti nei loro abiti da cerimonia, senza che si possa sospettare nulla di controverso. Le apparenze ingannano e in Danzando con il mostro, ci si accorge fin dal principio che nulla è scontato. La dinamica è tra un uomo (Roberto Latini) e una donna (Serena Balivo) in relazione tra di loro, alquanto singolare come se fossero proiezioni fantasmagoriche, derivanti da un universo parallelo, frutto di un inconscio onirico. Appaiono più come delle proiezioni di una mente superiore che agita le loro esistenze. Sono bendati, simbolica e metaforica scelta per dire che non sono i nostri sensi a guidarci ma l’ineluttabilità del destino. Non c’è conseguenzialità nell’azione, sembra tutto in balia del caos e di agiti la cui origine è misteriosamente celata nel profondo dell’animo umano. La scrittura drammaturgica gioca su due piani: una voce che declama versi in una lingua che non esiste rivolta ai due abitanti della scena, per poi essere subito dopo tradotta.
Una sorte di entità superiore che si esprime con un linguaggio a noi umani sconosciuto che va ad infrangersi nelle azioni dei due bravissimi interpreti quali sono Roberto Latini e Serena Balivo, in perenne ricerca di una pace interiore che non sembra mai giungere. Il desiderio di una felicità che loro stessi hanno rinnegato. Prigionieri di sentimenti di quella nostalgia che ci tormenta perché appartiene più a qualcosa che vorremmo essere ma non siamo, ad aspirazioni che non si materializzano mai. Un’incessante rincorsa verso un sé che resta confinato nell’ombra. Lavoro molto complesso, a tratti difficile da decifrare, ma con la costante di voler interrogare e interrogarsi, nel tentativo di sondare i meandri più oscuri della mente umana.
Visto all’Arena del Sole di Bologna il 18 novembre 2022