«Forse nessuno ascolta l’Altro nel mondo.
Semplicemente si può essere sfiorati dall’Altro e allora è un gran lusso.
Io in te vedo quello che non sono,
che forse non vorrei neppure essere ma che da qualche parte di me sono»
PREFAZIONE
«Solo l’amare, solo il conoscere conta, non l’aver amato, non l’aver conosciuto.»
(Pier Paolo Pasolini)
Ci sono attimi che passano. Sarebbero da cogliere. Ma sono fogli bianchi, tutti da scrivere, che volano appena la finestra si apre. E rimangono incompiuti. E rimangono insoddisfatti. Proprio per questo, con il cerchio ancora lontano dal chiudersi, paradossalmente pieni, vivi, eterni, infiniti. Cioè non-finiti.
L’opposto di ciò che è l’uomo, in divenire, ma sempre, costantemente, votato al fallimento, alla conclusione, all’unione degli estremi in un’unica soluzione.
I recinti aperti, spalancati, ci spaventano, ci danno l’occasione per poter essere tutti i noi che abbiamo recluso, scacciato, emarginato, tenuto alla catena o solamente in disparte. Il deserto e il pack ghiacciato sono i luoghi dove si riesce a trovare quella parte divina che ci alberga dentro senza pagare l’affitto. Chiamala anima, chiamala, se vuoi, consapevolezza.
MPAA è un accadimento, che è sempre una fuga, un passo indietro per prepararsi al salto. Un salto verso l’ignoto, un salto nel buio, dagli esiti incerti. E, qui, chiamalo amore. Senza alcuna rete, come un trapezista ingenuo e precario e candido in equilibrio instabile, buttandosi nelle onde e scambiando le pinne di squalo per schiuma.
Un ac-cadere, lasciarsi andare, lasciarsi prendere e portare via. E’ un succedere, che niente ha a che vedere con il successo infingardo e capitalistico. In un continuo scioglimento di nodi e flash back, in uno sliding doors dove tutto, anche le più minime briciole insignificanti, ha un peso ed un prezzo da sostenere, in un agognato dejavù (che alcuni scienziati imputano ad una momentanea e fulminea e passeggera mancanza d’ossigeno al cervello), lo strano caso dell’Uomo che incontra, prima casualmente poi ad intervalli regolari e numerici, il suo (Alter) Ego, lo straniamento è dietro l’angolo. Gli altri sono un nostro intimo proiettarsi, una prospettiva a cuneo verso l’interno.
In MPAA esistono delle leggi sommesse, regole sotterranee. Ci sono Anime Salve, anime antiche ed altre che si sparpagliano come petali marci senza rendere l’amore che gli è stato donato. E c’è in ogni rima, in ogni sillaba, la paura di perdersi e la voglia di farlo, di lasciare gli ormeggi, liberarsi dalle zavorre appesantenti e costruite faticosamente nel tempo.
Gabbie neanche dorate, involucri arrugginiti, bozzoli grigi per bruchi che non sanno di avere ali coloratissime, scafandri di palombari senza più bombole dalle quali succhiare la vita. L’Uomo che naviga a vista è Cappuccetto Rosso in un bosco di biciclette e di segni, di lettere scritte su uno schermo che galleggiano nell’etere e lì sorseggiano in cannucce ostruite.
E’ un’attesa sul bordo dell’abisso e le sirene arrivano ad invogliare a fare quel salto ultimo. Ma bisogna sempre essere in due per giocare. E’ un gioco di rebus da decifrare e sciarade da interpretare, di sudoku da scomporre, cruciverba da rimettere al loro posto. Il dado è tratto.
E’ un incedere ed un fermarsi, un sostare e un riprendere, uno stordimento, uno straniamento tra il qui e l’ora e l’altrove ed il quando. Certamente il forse. E’ un battito animale che scandisce le presenze e le energie positive che i corpi emanano, è il sesto senso che qui diventa primario e dirige vista, occhi, tatto nell’unica direzione possibile, dove lo scandagliomuscoloimpazzitoasinistrasottolecostole punta deciso.
E poi c’è quel “magari” che ci tiene sospesi, increduli, incerti sui passi nella sabbia che arrivi un’altra folata a rimangiarci, nelle briciole che passi un affamato a portarsele alle labbra. E’ mistero e arcano, il tutto tenuto in bilico dalla magia, dall’alchimia dell’imperfezione che, nel contingente, nel momento, sembra sempre togliere qualcosa, che sia poesia, un attimo di felicità o l’occasione della vita, ma che si dona, come un abbraccio, nel tempo, e ritorna, come in un nascondino infantile, quando meno te lo aspetti.
Tommaso Chimenti
L’inciampo fatale
Gli“inciampi” tra due esseri umani a volte non sono casuali,
perché la vita di ognuno di noi s’interseca con quella dell’altro
e lasciano sempre un ricordo,
un’immagine nella memoria e nella coscienza.
L’inciampo fatale.
A volte lo stupore si manifesta all’improvviso. Di notte. Sotto la luce al neon di una vetrina dove si consumano attimi di brivido e batticuore. Viene meno il respiro quando ti senti dire: “Magari ti ribecco”, e tu resti lì spiazzato e incredulo.
Quella frase detta in corsa durante la sua fuga risuonava dentro come l’eco di un suono rarefatto. Lo sguardo rivolto all’indietro, ma di lui non c’era più traccia. Era apparso per un solo istante. Il buio l’aveva inghiottito e il ritorno mesto dei propri passi verso casa sembrava durare in eterno.
Eppure c’è una ragione perché certi incontri lasciano un segno ed altri no. E’ un presentimento inesplicabile che il contatto fugace fa scattare e di cui purtroppo non sapremo mai niente.
Da quella notte attraversava la sua strada per cercare un filo tessuto dal ragno cui farsi catturare. Come un investigatore trovava le sue tracce seminate ovunque, ma il fatidico click computato sulla tastiera del computer, stentava a partire.
Era il giusto timore d’invadere una vita. Una distanza siderale infinita li divideva come un abisso. Un insostenibile macigno impediva un gesto proteso verso quel sorriso che si era manifestato. I suoi occhi neri e magnetici lo avevano indagato per lunghi interminabili minuti.
Si era sentito colto da lui.
Riaffiorò in quell’istante una delle frasi profetiche contenute nelle lettere ricevute da un uomo che sapeva anticipare il futuro: «Ti turberà la sua bellezza quando lo rincontrerai e lo stesso accadrà a lui. Abbasserà lo sguardo nel cercarti. La bellezza richiede uno spazio per essere colta furtivamente. E’ un semplice gesto, un’occhiata che vi scambierete nel buio di una notte.»
Un inciampo fatale che avrebbe potuto sconfiggere la sua imperturbabile coscienza. Una sorta di sinestesia degli affetti. Ora provava solo un malinconico ricordo.
Avrebbe potuto perderlo il treno quella fatidica notte, indugiare oltre nel bar a leggere i giornali, vagare nel buio perdendosi nei vicoli della propria anima solitaria. Invece no. Era andato incontro al suo destino spinto dal quel “sentire” che lo accompagnava da sempre. In sella alla bicicletta, lo zainetto in spalla. Verso di lui. Inesorabilmente. Come gli era stato predetto dalle parole di un uomo conosciuto una notte apparso in una chat. La notte era per lui il luogo privilegiato dove andare incontro al suo destino.
Il contatore gira
Otto giorni e centonovantadue ore dopo. Il contatore dei minuti scandiva il tempo. Il suo silenzio diventava sempre più assordante.
Il sonar non aveva più captato nemmeno un debole impulso. Otto giorni e centonovantadue ore prima. Si era risvegliato dopo un sopore durato troppo tempo e l’obnubilamento della coscienza forse era ancora reversibile.
La sua mente sapeva accedere ad esperienze altrui. Lo aveva già sperimentato con un altro uomo capace di percepire in anticipo il contenuto delle lettere spedite. Anticipava il pensiero e le emozioni di chi ancora non le aveva manifestate. Non poteva sottrarsi. Nemmeno questa volta.
Un sogno color bianco
Appare nel suo camice bianco visto in fotografia. Bianca la lettera che voleva scrivergli. I pensieri vacui spinti verso un nulla da cui non poteva sfuggire. La speranza vana di incrociarlo ancora. Sempre più labile, sfumata nell’oblio che tardava ad arrivare.
Si sentiva come un cielo di nuvole spazzato da un vento gelido. Calda era stata quella fatidica notte, mentre ora sentiva freddo nella coscienza.
La mano ancora tesa in segno d’amicizia. Non restava che il suo viso sorridente, ammirato infinite volte.
Come un sogno. La stessa pulsazione si era manifestata prepotentemente di nuovo. Lo sentiva in avvicinamento come una vedetta di guardia sulla coffa di un veliero in navigazione, attento a cogliere un’ombra all’orizzonte. Forse era stato solo un sogno.
Il radar segnala in avvicinamento…
Il sonar aveva ripreso a scandagliare negli abissi che portavano a lui. Si era seduto dentro un rumoroso bar affollato. Percepiva ancora il suo pulsare. Saliva l’eccitazione che lo costringeva a deglutire a fatica in un’apnea di sentimenti contrastanti. Un istante dopo si era materializzato. Attorniato da fedeli guardie del corpo. Erano gli amici a cui lui era legato e a loro donava il sorriso. Come avrebbe desiderato farne parte.
Aspettò una sua reazione. Si erano scambiati solo uno sguardo fugace. Non poteva restare ancora lì. C’era come un confine e non gli era consentito superare la soglia oltre la quale cadere. La distanza siderale si era materializzata nuovamente. Un groviglio di emozioni repentine, divergenti, attorcigliate. In grado di procurare un senso di smarrimento. Si era trasformato in un gioco dove rincorrersi all’infinito. La sensazione gli procurava una sorta di fibrillazione cardiaca. L’elettroencefalogramma della propria coscienza segnava un labile tracciato. Lui sorrideva altrove e il suo viso s’irradiava di un candore infantile.
Come dirlo con le parole
La pagina aperta sul computer alle due di notte. L’insonnia aveva preso il sopravvento. Doveva raccontare tutto, sviscerare ogni emozione. L’incrocio degli sguardi come un rituale tra uomini che si desiderano e si rifuggono. Rivedere tutto alla moviola e ripartire dal primo istante. Cosciente di fallire, non voleva sottrarsi. Lo aveva cercato e trovato. Un uomo di scienza.
Provava la sensazione di toccare quasi con mano quel sapere conquistato con grande impegno. Non poteva negarlo ma aveva paura.
Stava invadendo la sua vita e c’era solo un modo per confessarlo.
Fuori dalla finestra albeggiava.
Lo stordimento notturno affaticava i sensi già così duramente provati. Un dito sul tasto e le sue parole scritte inviate senza indugio, senza un ripensamento. Le sue emozioni spedite a destinazione dentro il computer di quell’uomo apparso in quella fatidica notte. Non restava che attendere la sua sentenza. Ma c’era un rebus che aleggiava in quella fatidica notte. Non restava che attendere la sua sentenza. Ma c’era un rebus che aleggiava sopra l’occasionale incontro, terminato nell’istante della loro conoscenza.
Magari avrebbe risposto
Le sue parole spiegavano lucide. Sensate. Consapevoli di aver ricevuto un fiume di pensieri piombato come una piena all’improvviso. Una colata di parole tracimate dopo aver covato sotto le ceneri di un vulcano a lungo sopito. L’inizio di qualcosa ancora non definito. Una flebile speranza. Il suo desiderio dalla sera del loro primo incontro, lo aveva scritto subito la stessa notte al suo rientro: peccato tu non abbia accettato la mia amicizia.
Ma era più una speranza che non un rammarico. Ora la rotta s’invertiva? Non sarebbe stato facile.
Come biasimarlo di fronte a tanta irruenza insinuatasi nella sua vita.
Parole dettate dall’istante di un’urgenza impossibile da rinviare. Finivano con la parola fatidica magari. Ancora lei, la stessa pronunciata la notte del suo inciampo. Non si era sottratto. Sei lettere per poter sperare. Magari poteva accadere ancora.Ripensava a quella lettera scritta d’impeto. Provava vergogna per aver assunto un tono da inquisitore. Pur non volendolo lo aveva portato sul banco dell’accusa. Per non aver commesso il fatto, sentenzierebbe il giudice nell’assolverlo.
Amiamo solo quello che non possiamo avere
Amiamo solo quello che non possiamo avere. Si era ricordato di quella frase letta. La voleva risentire per un bisogno consolatorio. Pena la sofferenza continua. Più ami e più t’avvicini a quella fiaba crudele che è la vita. Puoi amare senza possedere ciò che più brami? Siamo vittime e carnefici di noi stessi. Senza saperlo. Alla disperata ricerca d’amore in un mondo impossibile. Un sacrificio in nome di un incontro fortuito. Ciò che l’amore vuole, l’amore tende a cercare.
Il mare in tempesta
Il rebus avanzava inesorabilmente. Si era allontanato dalla città dove entrambi vivevano. A sole tre ore di distanza da lui si era lasciato catturare dalla musica dei Nocturnes di Debussy – un notturno malinconico come quello provato quella notte – e da La Mer di Ravel il cui suono riproduceva il fragore delle onde del mare. Somigliava al suo “mare” in tempesta. Non c’era cura migliore della musica per trovare acquiescenza e arrendersi ad un destino inevitabile, ma lui nel frattempo, lontano in un altro continente, e un oceano in mezzo, aveva accettato l’amicizia tramite una comunità in internet. Ecco, il filo si stava riannodando come un’eco a distanza tornato al punto di partenza. Era l’amico ritrovato. Lo aspettava da tanto tempo. Le sue emozioni erano onde che si andavano a rifrangere contro un vento spirato all’improvviso. Potenza e distruzione della natura dove ogni cosa viene scossa violentemente.
Il suo sorriso è nella fotografia
Sorride su quella foto apparsa sullo schermo. Appaiono altri visi maschili, spenti, indifferenti. C’è solo un uomo che lo guarda mentre lui emana felicità di esistere. Un sorriso radioso che esce dall’immagine e ti accarezza. La sua semplicità lo rende gioioso ed estroverso. Un’intelligenza vivace. E’ generoso e curioso verso la vita. La sua è una storia d’altruismo e d’aiuto per chi soffre. Con il talento della voce, del canto e della musica. Un inno alla gioia. Le note che penetrano dentro l’anima. La vita senza la musica sarebbe un errore ha scritto Nietzsche. Quella vita che lui cura ogni giorno.
La risposta sta nel destino o nel desiderio
Al risveglio la mattina, del suo compleanno, il battito riprese freneticamente. Ancora una volta le loro traiettorie erano a rischio di collisione. Lo sentiva avvicinarsi. Durante quel giorno un alone di luce abbacinante lo aveva annunciato. Si sentiva emozionato e rattristato per non averlo vicino. I tanti auguri pervenuti mitigavano però quel senso di smarrimento causato da un sospeso che perdurava da troppo tempo. Al calare della luce si era rifugiato nel tepore di un buon ristoro. Il suono del telefono lo costrinse ad uscire sulla strada per rispondere. Le pulsazioni aumentavano a dismisura.
Un istante dopo lui si era materializzato. Un’apparizione durata un solo istante. Il tempo di scambiarsi una frase di commiato. Subito dopo era già lontano. Rispondendo al telefono aveva risposto anche al destino, o al desiderio. Ancora una volta i suoi sensi l’avevano intercettato. Una questione di secondi. Sarebbe bastato non uscire dalla porta in quel preciso istante per non vederlo. Si era sentito dire da lui: “Ti devo aggiornare”, ma le premonizioni gli stavano già indicando il futuro a cui lui stava per andare incontro. Come ne La morte della bellezza, storia d’amore tra due uomini, dolorosamente bella.
La più intensa e sofferta mai scritta prima. Un destino identico al protagonista del romanzo. Anche lui sarebbe partito per sempre. Gli restava solo il ricordo struggente di averlo rivisto. L’immagine dei suoi occhi così profondi, gli stessi di diciassette anni prima, erano l’unico ricordo indelebile che avrebbe conservato di lui.
Azione e conseguenza. Domenica mattina. Provava brividi di freddo ma non era inverno. Lo sentiva vicino, sulla stessa strada dove l’aveva incontrato due notti prima. Se ogni azione determina una conseguenza, ciò che gli stava per accadere rientrava in questa logica ineffabile. Il suo inconscio aveva deciso ancora una volta di ritrovarlo. Da dentro la sala del cinema era uscito per una banale dimenticanza mai accaduta prima. La sua bicicletta era rimasta senza custodia, lasciata in balia di se stessa.
Si era chinato per chiudere il lucchetto e rialzando lo sguardo lo aveva visto. Toccato ad un braccio, lui s’era voltato. La stessa espressione vitale e gioiosa. Uno sguardo e una stretta di mano. L’unica forma di contatto fisico tra loro. Forte e determinata. Una scossa tumultuosa nel cuore segnava un’emozione difficile da gestire. “Io devo rientrare”, ma il desiderio era quello di non lasciarlo lì. Questa volta era toccato a lui congedarlo sulla strada e sparire dentro il buio di un’altra storia.
Direzioni parallele per un istante
I loro incontri si stavano intensificando. Sempre di notte e sulle strade del fatale inciampo. Non era mai accaduto prima. Ora a distanza di pochi giorni le loro vite si erano incrociate ancora ma procedevano in direzioni opposte. Perché?
Cosa significava quella strana sensazione d’indovinare l’esatto momento in cui lo avrebbe incrociato? Come due treni provenienti da stazioni diverse dove l’uno si affiancava all’altro per un solo istante. Sentiva ancora quella voce pronunciare per la prima volta il suo nome. Un suono che lo aveva accompagnato fino a casa.
Era solo una casualità rivederlo sempre più di frequente come una luce di un flash scattato a ripetizione? Si chiedeva allora quale fosse il messaggio da cogliere. La soluzione del rebus era semplicemente il rebus stesso. Bastava guardarci dentro.
Il nome della bellezza
In uno scrigno segreto c’era scritto il suo nome. Finalmente era giunto il momento di svelare la sua identità diciassette anni dopo. Un giovane uomo dalla bellezza inquieta, conosciuto ad una festa di compleanno in casa di un amico. Nella città dove avrebbe conseguito la laurea in medicina. Era lui. L’aveva intravisto in mezzo ad una folla d’invitati anonimi ma senza essere notato da lui. Dopo quella sera non lo aveva mai più rivisto e non ne conosceva il nome. Se lo pensava, lo associava sempre alla parola bellezza, come il titolo del romanzo che rileggeva spesso, ogni volta che rammentava quella parola, il ricordo del suo viso riaffiorava. Ora conosceva il suo nome. Erano troppe le emozioni causate dal sentimento provato per lui.
17 anni la vita del rebus
Diciassette anni la vita del rebus.
Diciassette anni prima si era trovato nella casa di un uomo invitato alla sua festa di compleanno. Un amico conosciuto da poco tempo. Tra tanti uomini anonimi presenti aveva colto un viso giovane smarrito. L’ insofferenza nel dover restare in quel luogo, privato della sua libertà, lo faceva assomigliare ad un felino selvaggio chiuso in gabbia. Era troppo giovane per accettare ogni forma di compromesso, e in quella casa non circolava amore. Il ragazzo, poco più che maggiorenne, era stato scelto come preda da immolare sull’altare di un rito dove un uomo cerca l’appagamento del desiderio. Il suo viso impaurito mostrava la paura di amare. Non era ancora pronto per l’iniziazione verso una forma d’amore così misteriosa che la natura umana possiede e svela all’improvviso. Non doveva avvenire in quella casa.
Lo avrebbe voluto abbracciare mentre lo osservava nel suo rabbuiarsi dolente. Sentiva il desiderio di portarlo via da quella casa per lasciarlo andare via, libero verso il suo destino. Provava un sentimento di protezione, come lo può sentire un padre per il proprio figlio inerme e spaventato. Pochi minuti dopo scomparso.
Lo aveva perso, ma non lo avrebbe mai dimenticato quel viso adolescenziale in un corpo di uomo virile. Si era manifestato un doloroso senso di impotenza per non essersi avvicinato e averli chiesto il suo nome. Iniziava così un rebus che solo i numeri potevano rivelare la soluzione. Dovevano trascorrere diciassette anni. Il tempo che un altro uomo avrebbe svelato con una profezia, capace di leggere dentro la vita altrui. Diciassette anni di attesa e speranza. C’era qualcosa di sospeso in quella strana vicenda in cui due uomini si erano avvicinati per un istante. Un frammento che niente e nessuno poteva cancellare.
L’uomo che sapeva anticipare il futuro.
C’era un uomo che sapeva anticipare il futuro. Lo aveva predetto in una mail recapitata una notte di tanti anni prima. Si erano scambiati molti messaggi e in uno di questi c’era scritto quello che sarebbe accaduto diciassette anni dopo. Non lo aveva mai visto di persona ma tra loro c’era un’affinità elettiva, inspiegabile, difficile da comprendere. Si anticipavano a vicenda i loro pensieri scrivendo ogni notte dove ognuno trovava la risposta dell’altro, prima ancora di inviare la propria lettera. Una corrispondenza insipegabile che solo due anime come le loro potevano far nascere.
«Mio caro e gradito costui che inciampa nei miei pensieri nella notte e nei giorni della mia vita, ti dico amato perché è un soffio che da dentro vola fino a te. Che straordinario e strano personaggio che sei! Quando instancabilmente ti chiedo, in realtà ti sto chiedendo di farmi conoscere il mistero della vita, di affacciarti sull’orlo dell’abisso insieme a me e di guardarci allora complicemente. Implacabilmente mi rispondi con saggezza quando sai cogliere il passaggio di quell’alito magico. È solo senso che si coglie col tatto. E’ un soffio, nient’altro che un soffio: trascorre, è già passato.»
Parole che si erano materializzate in una delle tanti notti insonni, trascorse a scrivere per rispondere alle sue missive. Confidava solo a lui i pensieri più segreti della propria vita , anche di quell’incontro avvenuto per pochi istanti dove era comparso quel giovane ragazzo dall’identità misteriosa.
«La storia di questo giovane uomo mi rigira ancora da qualche parte. Se capisco quello che ha significato per te, mi dice molte altre cose di te. Provo a dirlo: che ammaliato dalla bellezza, dalla possibilità impossibile insegui un sogno. Un sogno che offre il pieno, il tutto che si disvela come nulla. Evanescente perché sogno? E lui? Cosa pensava lui? Cosa ha visto in te? Cerco di guardarlo e di immaginarmelo in carne ed ossa, in sangue pulsante e in sentimenti ed emozioni. Lui cosa cercava? Una via di fuga probabilmente. Dissonante dalla tua, mi pare di capire. Il non farsi riconoscere è interessante. Perché? Tu che risposta hai dato a questa domanda? Chi era? Chi era lui? Oltre a quello che immaginavi, sognavi, desideravi? Tutto questo mi porta a intravedere una tua visionarietà, un bisogno d’assoluto estetico/estatico che s’apre a infiniti mondi possibili ma che poi scivolano come sabbia fine tra le dita.»
L’uomo che sapeva leggere il futuro aveva il dono di anticipare il pensiero altrui. Così aveva fatto anche lui, svelando cosa sarebbe accaduto diciassette anni dopo. Nelle sue lettere c’era scritto il finale di quella storia dove solo i numeri sapevano spiegare il significato arcano e misterioso. Numeri sparsi ovunque, nascosti tra le pieghe delle sue premonizioni in grado di condurre alla soluzione del rebus.
Uno in particolare, il diciassette seminato tra le apparenti innocue frasi, come quella che lasciava presagire: «Un mondo fatato, comune a entrambi. Forse la tua malinconia che sento molto, è la malinconia per quel mondo fatato dove lui non c’era ma c’è. Trascorreranno diciassette anni dal vostro primo incontro, prima di potervi riconoscere. Avrete molto tempo per seguire ognuno le proprie ambizioni. Tu cerchi sempre, non una risposta, ma una contemplazione del Nulla che fai emergere dal profondo dei mari per darle vita con le immagini del cuore. Quel ragazzo tu lo porti come un’immagine preziosa e la conservi con cura. Non spegnerla mai. Lui saprà rivelarsi al momento giusto, nel momento in cui le vostre strade s’incroceranno di nuovo. Gli andrai incontro e ti sorriderà. Allora saprai che è arrivato il momento per chiedergli il suo nome.»
La bellezza è dentro di noi.
«L’anima del mondo è la bellezza. E solo questa ti permetterà di rivedere quel giovane ragazzo a te caro. Avrai modo di riconoscerlo solo attraverso la bellezza dell’anima. La tua e la sua. La bellezza di cui Socrate è portatore e che i belli, come Alcibiade, sanno cogliere desiderandola. La bellezza dentro/fuori – fuori/dentro. La bellezza è un piacere autentico quando dà la gioia di poterla assaporare e coglierla in uno sguardo che esprime un frammento dell’anima che si lancia in fuori. Attento però, i ragazzi possono essere belli ma devono essere buoni, altrimenti perdono prezzo.»
Lo aveva messo in guardia dal pericolo di farsi catturare dalla tela di ragno in cui era stato attirato. Invano. Non gli aveva dato ascolto e non era fuggito la notte dell’inciampo fatale, nonostante una voce da dentro gli avesse sussurrato incessantemente di andare via, di riprendere il suo cammino verso casa. Sottrarsi a quella Sirena che lo aveva aspettato sotto la luce al neon di una vetrina, dove si erano consumati attimi di brivido e batticuore.
«Il ragazzo che tu hai conosciuto è slanciato, occhi ovali, pieni di sorriso. E sorride alla vita. Trasmette devozione, passione e gioia. La sua bellezza traspare fin sulla superficie.
Ti turberà la sua bellezza quando lo rincontrerai e lo stesso accadrà a lui. Abbasserà lo sguardo nel cercarti. La bellezza richiede uno spazio per essere colta furtivamente. E’ un semplice gesto, un’occhiata che vi scambierete nel buio di una notte. Un movimento, un tono di voce che fa parlare la sua anima che viene verso te. Non la rapire però. Non t’appartiene. Rispettala. E’ provvista di energia che chiama, attira e fa girare il mondo nella vita e nella morte. E’ bella l’anima del mondo perché permette di essere colta anche nelle opere degli uomini. In te vedo non solo Pan l’eterno, ma anche alcuni movimenti di Saturno.
Arriverà quel giorno che un messaggero degli dei ti svelerà il luogo dove alberga la tua vera anima. Ti permetterà di amare nuovamente solo come tu sai fare.
Ma attento però, nessuna persona è tutto per un’altra. Questa cosa devi capirla bene. E nei rapporti sono forse più importanti le cose che non si dicono che non quelle che si dicono. Segreti? Piuttosto misteri che a volte sembrano segreti ma in genere sono vere magie.
Il dio ammicca, allude, strizza l’occhio e sculetta anche un po’. E’ difficile decifrarlo se non per quello che ha di ambiguo. Decifrare è sempre a nostro rischio e pericolo. Sappilo quando incontrerai di nuovo il ragazzo che tu hai colto.
Tu sei un bell’uomo elegante nei modi. Occhi grandi che guardano oltre il dentro del mistero del mondo. Uomo complicato (quindi pieno di pieghe). Spesso questo vuol dire uomo difficile. Non torbido sia chiaro! Ma di carattere e di grandi sogni, ma difficile da ricostruire una mappa del tenero e del dolce per trovare il tesoro nascosto in te.
Cioè dai, offri, regali una mappa sconfinata, la offri totalmente. Sei una persona che si muove in questa direzione. Sei carico di un’energia così potente che gli altri ne subiscono il fascino e quindi anche il timore. Puoi esplorare l’altro solo se è complementare, altrimenti l’incontro di energie diventa un gorgo che tutto trascina nella distruzione e nella sofferenza.»
Il Tempio del Nulla.
«Tu ti lasci sorprendere da quella sorte di panico di Pan e ti lasci ammaliare in certi momenti per cui devi fermarti per contemplare. C’è il “cum” (insieme) e il “templum”. Senti quando hai bisogno di stare in una sorta di tempio, l’unico che ti dà timore nella vita, in cui; solo con te stesso, sai cogliere la divinità.
Una sorta di dilatazione mistica che pare simile all’Infinito del Leopardi, per cui sai superare le dimensioni spazio-temporali per congiungerti all’infinito spazio e ai sovrumani silenzi che ti fanno accedere a un naufragio dell’anima, che non ti spaura ma risulta dolce. Solo così puoi far riemergere il ricordo di un istante vissuto e terminato subito dopo. Dentro la tua casa s’agita l’anima del mondo, a cui tu appartieni e che cogli con il cuore che pensa per immagini e che si emoziona.»
Il suo nome era già scritto
«Questa caccia al tesoro è ineffabile. Come farne a meno?» Rileggendo quelle parole s’era accorto che la soluzione del rebus era depositata tra le righe di una delle lettere, ricevute. Giaceva lì da anni inspiegabile e misteriosa. Su una di quelle pagine c’era scritto a penna un numero di telefono e il nome di un uomo. I numeri, ancora loro, erano gli unici a seminare gli indizi che portavano alla soluzione del rebus. Bisognava sommarli uno ad uno uno e moltiplicarli. Ogni risultato corrispondeva ad una parte della soluzione. Un puzzle in cui ogni tassello corrispondeva ad un numero.
Sfogliando le lettere in cerca di prove, quell’appunto si manifestava come l’indizio rivelatore. Il nome, appartenente a chissà chi, era lo stesso del ragazzo visto diciassette anni prima, la notte della festa di compleanno. Il nome corrispondeva a quello dell’inciampo fatale. Il suo nome era già scritto e solo ora lo aveva scoperto. Compariva il diciassette, una cifra ricorrente. Diciassette anni dopo. Cosa significava quel numero? Se sommato dava otto e il risultato nascondeva qualcosa di importante. Magari poteva accadere ancora raccontava di un dono offerto.
La catarsi dell’inciampo.
«Un dono come lo sono i doni preziosi, ricevuti e accettati. Solo dandoti per primo puoi accogliere quello che la vita ti ha riservato e destinato e puoi condividerlo con chi è un tuo amico. Per sempre. Da quel momento entra nella tua famiglia. E puoi iniziare a volergli bene.
Colui che inciampa nei pensieri dell’altro, nella notte e nei giorni della propria vita, viene accolto come un dono. Quando instancabilmente ci si chiede perché accada, in realtà è voler conoscere il mistero della vita per affacciarsi insieme sull’orlo dell’abisso e guardarci dentro.»
Un dono spedito per posta in una busta. Le prime pagine di Magari poteva accadere ancora donate per essere lette e comprese. Un dono per svelare la prima parte del rebus, un dono, perché tale doveva essere . L’emozione provata per l’attesa di una risposta. La speranza di un gesto da parte di chi si doveva riconoscere dentro quella storia. Un dono ha significato nel gesto del donare, un dono ha la sua ricchezza nel consegnarsi consegnando.
5 + 3 → 8
Il rebus volgeva verso il suo epilogo. Non era più necessario attendere ancora, i numeri avevano il potere di raccontare. Non c’era altra scelta, ci si doveva affidare a soli tre numeri. Tre per raccontare l’inizio e la fine di un rebus nato una notte di diciassette anni prima. Quella del loro primo inciampo fatale. I tasselli del rebus stavano per essere completati. Ora avrebbero parlato i numeri di questa storia intrigata eppure così semplice come, lo può essere, una semplice addizione matematica. Solo ora che le cifre si erano rivelate di nuovo, la risposta era sempre più vicina, come un’estrazione della lotteria, ma in questo caso non c’era nessuna fatalità.
Tutto era predestinato. Il rebus che durava da diciassette anni era giunto alla sue fine. Bastava sommare le cifre della data di nascita dell’uno con quelle dell’altro per ottenere il cinque e il tre. Il primo era nato cinquant’anni fa, il secondo era molto più giovane. Era il misterioso ragazzo, visto per pochi attimi, nella casa dove regnava l’indifferenza e l’egoismo. Le loro vite si erano incontrate quante volte fa la somma di cinque e tre. Otto. Come i loro incontri, otto sguardi, otto lunghe e interminabili emozioni, decise dal destino. Non uno di più non uno di meno. Una semplice addizione che raccontava otto inciampi fatali. La prima volta accadeva il 26 febbraio del 1994. Anche in questo caso il sei e il due sommati davano un otto ma la soluzione stava nel diciassette. Un numero composto da due cifre. Il risultato della somma dava la soluzione del rebus.
L’ultimo loro incontro avveniva il 3 giugno 2011. L’ultimo, il definitivo, l’ottavo. Il fatale. Come era stato previsto dalla profezia. Ad ognuno dei due corrispondeva un significato che poteva essere letto attraverso la conoscenza del linguaggio dei numeri. Il potere di spiegare la loro vita è nelle mani di chi sa leggere attraverso i numeri, il significato delle proprie ed altrui esistenze. E in questa storia che stava per concludersi non c’era altra soluzione che lasciar parlare i numeri. Due uomini a cui il destino ha riservato il cinque e il tre. L’uomo più grande appartiene al cinque e la sua vita è tracciata, così come quella dell’altro, ora divenuto adulto, uomo di scienza ma con lo stesso viso di bambino incredulo e timoroso visto diciassette anni prima.
Su di lui veglia il tre e la sua vita è segnata da questo numero, che lo guida. Due anime che si sono potute incrociare e scambiare un dono, ma solo per un istante, un infinitesimale tempo sufficiente a far rivivere emozioni sopite e perse nell’oblio, riemerse come un’isola in mezzo al mare per il solo tempo necessario di sprofondare per sempre negli abissi oscuri e insondabili di un mondo laggiù/quaggiù, a cui nessuno avrebbe più potuto accedere. Otto irreversibili incontri di avvicinamento e fuga. Due poli che si attraggono e si respingono. Due numeri che non potevano sommarsi per il futuro. Il destino stava per separarli per sempre.
Il numero cinque
Collegato alla consapevolezza dei cinque sensi così come alla protezione, il servizio agli altri. In quanto numero delle dita della mano, indica il potere dell’uomo. È un numero dalle molte facce che collega lo stato fisico alla salute mentale, che governa l’abilità di pensare chiaramente e la capacità intellettuale. Rappresenta l’apertura a nuove idee ed esperienze, l’uomo cinque è altamente analitico e ha l’abilità di pensare in modo critico, ma può ponderare così eccessivamente un problema da perderne il significato. È la ricerca della libertà, dell’avventura.
Il numero tre
Risolve i contrasti creati dalle polarità del due, fornendo un senso di interezza, risultato di una nuova integrazione. Il mondo visibile è a tre dimensioni e mente, corpo e spirito insieme formano un essere umano. Nella valenza positiva indica sviluppo e apprendimento tramite le esperienze della vita. È spesso associato alla buona fortuna e al denaro.
Può simboleggiare un gruppo di persone che si uniscono per raggiungere uno scopo comune attraverso associazioni sociali o professionali; rappresenta la comunicazione di tutti i tipi, è associato alla fede e alla conoscenza. Nella sua valenza negativa può essere inteso come simbolo demoniaco o innaturale in quanto nessuna creatura al mondo cammina con tre gambe. Tutto ciò lo rende un numero molto potente da un punto di vista magico.
L’ottavo incontro
Aveva provato lo stesso tremore che lo scuoteva negli attimi che precedevano tutti gli incontri con l’altro. Questa volta era più forte, tanto da fargli sentire il cuore in tumulto, ma non aveva potuto sottrarsi ed era andato incontro al suo destino. Era arrivato il fatidico giorno del loro ottavo incontro. Si era svegliato in preda ad un’emozione che conosceva bene. Era esausto per quello stato di agitazione. Si rendeva conto di essere sempre più cosciente di provare, in anticipo, ciò che sarebbe accaduto da li a pochi attimi. L’ottavo incontro ebbe luogo, ancora una volta sulla stessa strada dove si erano visti la notte dell’inciampo fatale. Accadde quello che non avrebbe mai voluto e desiderato, ma che sentiva dovesse essere.
Provò un sentimento di delusione percependo la chiusura del suo sguardo altrove. Si era girato per sfuggire all’incontro. La distanza siderale si era manifestata di nuovo e questa volta incolmabile. Un tocco appena sfiorato. Non c’era più gioia. Solo dolore. Era il 3 giugno del 2011. L’ultimo incontro, l’ottavo. Il più difficile.
Il numero che congeda il rebus
L’otto rappresenta un numero di influenza karmica che richiede il pagamento di debiti contratti nella vita attuale o in una vita precedente. Rappresenta un lavoro profondo e le lezioni imparate attraverso l’esperienza e può quindi risultare un numero “difficile” per le restrizioni imposte dalla sua natura. Più di ogni altro numero rappresenta la ricerca di denaro e successo materiale, ma la sua natura implica il confrontarsi con rischi estremi e molti capovolgimenti di vita.
Era arrivato il momento di congedarsi dopo diciassette anni, tanti quanti erano trascorsi dal loro primo incontro. Non lo avrebbe mai dimenticato. Il suo viso e il suo nome erano impressi per sempre nella sua memoria.
Il rebus ritorna là dove era nato
“Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni;
e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra vita”
La Tempesta di William Shakespeare (Atto IV)
Il rebus ritorna là dove era nato. Restava solo da fare una cosa, la più importante: ruotare le lancette della storia indietro per riportarle alla fatidica notte della festa; il luogo del primo inciampo fatale in cui aveva preso vita Magari poteva accadere ancora. Non c’era altra soluzione che spiegare cosa era realmente accaduto in quella casa, dove non circolava amore, ma che solo la presenza di quel giovane uomo giustificava il bisogno di farlo. Le pedine sulla scacchiera della loro storia sarebbero tornate al punto di partenza. C’erano forze oscure che dovevano essere respinte, scacciate anche dal ricordo che pesava nella propria coscienza, come un macigno, per aver visto fantasmi e ombre propense a commettere un gesto di sopraffazione imponendolo con la forza.
Chiuse tutte le porte di quella casa dalla quale non sarebbe mai uscito il male. Una sola doveva restare aperta: quella della vita che attendeva fuori. C’erano due treni in partenza, ognuno era pronto per la sua destinazione. Lontane l’una dall’altra. Era ora di separarsi. Magari poteva accadere ancora. E questa volta per sempre.
Postfazione
«L’incontro con qualcuno è la somma di tante coincidenze fortuite. Due poli opposti che si toccano. Lo scontro di due meteoriti vaganti nello spazio, calcoli algebrici impazziti. Pulsioni che combaciano. Un treno che parte ad alta velocità. Come due anime indissolubili. Due immagini speculari e complementari. Quello che è successo è indefinibile, irripetibile, unico. Quando si inciampa su qualcuno si crea un corto circuito. Succede che energia, fuoco, amore, si fondono, si mescolano, diventano una pozione alchemica che può esplodere da un momento all’altro. È un viaggio che porta verso una storia infinita. Un viaggio che finisce là dove una storia è iniziata. Metaforica, virtuale o reale non importa. È una storia vissuta 24 ore al giorno, moltiplicata, raddoppiata, minuto per minuto, fino a quando i numeri lo consentiranno. Per 3,5,8,17 volte, forse all’infinito.