SANT’ANNA DI STAZZEMA (Lucca)– “La prima cosa che si incontra salendo a Sant’Anna di Stazzema è una piazza grande, adibita a parcheggio. Una piazza smisurata in confronto a un paesino tanto minuscolo: è piazza Anna Pardini. E da questo nome, che è il nome di una bimba, comincia il ricordo. Comincia il racconto e si comincia a comprendere il significato del silenzio di Sant’Anna di Stazzema”. La prima cosa che colpisce chiunque arrivi, per la prima volta al paese di Sant’Anna di Stazzema, è il silenzio. Qualcosa di innaturale, che prima non c’era, che si addice ad un luogo sacro. Qualcosa che entra dentro, tocca e strappa. Scalpiccii sotto i platani è lo spettacolo scritto ed interpretato da Elisabetta Salvatori, attrice originaria della Versilia, che racconta l’eccidio del 12 agosto 1944 di Sant’Anna di Stazzema, una piccola frazione sulle Alpi Apuane.
“Sono nata in Versilia e vivo a Forte dei Marmi, dove ho scoperto per caso la passione per il teatro – racconta Elisabetta Salvatori – presentandomi un giorno ad una lezione di prova alla quale ho assistito molto distrattamente. Il mio sogno era fare la pittrice ma quel giorno, che per me è come uno spartiacque, ho capito quello che avrei voluto fare nella vita: raccontare storie”.
Così Elisabetta è partita, con favole e valige per strada, poi raccontando altre storie, sempre vere, ricostruite attraverso la ricerca storica e le interviste: la bisnonna, fatti e personaggi della Resistenza, Dino Campana, Antonio Ligabue, la strage del treno di Viareggio.
“Ho sentito l’esigenza di scrivere storie che mi appartenessero e che raccontassero la mia terra – prosegue – e così è accaduto anche con Sant’Anna di Stazzema. Quindici anni fa sono salita da sola in paese e senza contatti, per vedere l’effetto che mi faceva e la prima cosa che mi ha colpito è questo silenzio incredibile. Il paese parla di sé proprio con il silenzio. Ho percepito il dolore che albergava in quelle strade e in quei luoghi, me lo hanno descritto i pochi sopravvissuti e ne sono stata risucchiata. Da allora, tutte le volte che sono tornata a Sant’Anna, ho sempre avuto un forte mal di testa”.
Il testo dello spettacolo è stato scritto sulla base delle testimonianze dei pochi sopravvissuti, che all’epoca erano bambini o ragazzi: Ennio (risparmiato da un tedesco che sparò in aria), Marietto (testimone oculare della morte di sua madre), Leopolda (l’unica bambina sopravvissuta del girotondo), Cesira (la testimone più grande e sorella di Anna Pardini). Per scrivere la drammaturgia dello spettacolo è stato fondamentale attraversare il dolore degli altri, assaporarlo, e poi restituirlo con parole e suoni che non lasciassero scampo ad un nuovo e diverso dolore.
“Del racconto mi affascina la potenza della parola, che è uno strumento di per sé povero ma in grado di liberare l’immaginazione delle persone. Sono fortemente attratta dalla vita degli altri, che ho scelto di raccontare, e questo mi permette di vivere sensazioni, compreso il dolore, che non avevo mai provato e che mi cambiano profondamente”.
Lo spettacolo fa parte del teatro narrativo, Elisabetta è sola sul palcoscenico accompagnata dal violino di Matteo Ceramelli e da alcuni suoni in sottofondo registrati a Sant’Anna di Stazzema. L’attrice è anche il suo racconto e la sua scenografia. La narrazione inizia alcuni giorni prima rispetto alla strage del 12 agosto 1944 e si concentra sulla festa della santa protettrice delle donne in gravidanza. L’attrice ne ripercorre i momenti salienti, alternando al racconto i dialoghi dei suoi personaggi, tutti riprodotti in un fedele dialetto versiliese.
“Ho voluto raccontare le tradizioni e i riti del paese, che fanno parte della memoria collettiva. I sopravvissuti, in particolare Leopolda, che hanno contribuito con la loro testimonianza a questo spettacolo, si sono soffermati sui particolari della festa ed il testo che poi ho scritto ha seguito questo filo narrativo. Nello spettacolo racconto l’eccidio ma anche un patrimonio di cultura popolare e di personaggi realmente esistiti, come il venditore ambulante Aspasio, che così saranno per sempre affidati alla memoria”.
La storia inizia il 26 luglio: il giorno di Sant’Anna. Nonostante il paese, dichiarato “zona bianca” dai Tedeschi si fosse riempito di sfollati provenienti dalle vicine località toscane e da più lontano e nonostante la scarsità di cibo, quella del 1944 viene ricordata da tutti come la festa più bella. La sera sfilava la luminara per le vie del paese con archi di frasche e fiori intrecciati dalle mani esperte delle donne. Per la prima volta suonò anche l’organo della chiesa e i bambini facevano il girotondo nella piazza dei platani. Poi venne la San Lorenzo, il 10 agosto, e quella fu l’ultima notte in cui Sant’Anna ebbe delle voci. La paura della guerra a Sant’Anna non c’era, le notizie arrivavano sbiadite e annacquate. Si sentivano soltanto le ristrettezze e i disagi ma la guerra vera e propria i Santannini non se la immaginavano neanche. Nessuno si aspettava quello che poi sarebbe successo. Alle otto della mattina del 12 agosto 1944 arrivarono quattro compagnie del secondo battaglione della 16 esima divisione Reichsführer ed un numero imprecisato di fascisti versiliesi, venuti a giustiziare la popolazione che non aveva obbedito ad un’ordinanza di sfollamento. Non ci fu nessuna pietà: furono uccise 560 persone tra donne, bambini e vecchi. Ai bambini poi furono riservate torture indicibili. Gli uomini, i pochi che non erano partiti come soldati al fronte, si erano nascosti e tornarono quando Sant’Anna non esisteva più ed era avvolta da colonne di fumo nero. Cercavano le mogli e i figli ma Sant’Anna non rispondeva, era calato un silenzio assordante che è rimasto fino ad oggi. Molti di loro per il dolore impazzirono, altri si suicidarono. Elisabetta Salvatori ha restituito una voce alle persone morte nella strage che non hanno più avuto la libertà di esprimersi e di vivere.
“La memoria è un valore grande, non solo quella della Resistenza ma anche quella che riguarda fatti quotidiani. Sono onorata di avere potuto raccontare questo dolore, che è diventato mio e poi di altri. Ed è questa la funzione della parola scritta, custodire una storia ed affidarla ad altri che avranno poi il compito di prendersene cura”.
Andato in scena ad Artimino (Prato) il 5 agosto 2016.
Scalpiccii sotto i platani
di e con Elisabetta Salvatori
al violino Matteo Ceramelli