ANDRIA – “Dietro ogni spettacolo che funziona ci deve essere una storia forte. Di vita. Forse ogni volta che tentiamo una rappresentazione di questi testi così alti e difficili, quel che si dimentica è di riempirli di una vita che, quando sono stati scritti e messi in scena avviandosi a diventare capolavori immortali, doveva essere diversa da adesso, quindi per noi inconoscibile, ma altrettanto densa. Quella densità, oggi, è data dalla nostra stessa vita e dagli accadimenti che segnano un percorso di allestimento. È quella che dobbiamo metterci dentro, per restituire verità, la nostra, alla messa in scena.” Parole di Michele Sinisi. E in effetti il suo Riccardo III è stato allestito su dei fatti, di vita, determinanti la trasposizione scenica in una dimensione di contatto. Perché della vicinanza ha bisogno il pubblico, pur se lasciato terzo o indotto all’immedesimazione. Del sentire. Interiore.
Il primo rapporto con la scena si caratterizza dalla scelta della collocazione. Fuori dal palco. Nello spazio di solito occupato dalle poltrone di platea, è allestita la skené con il pubblico a ridosso. Assottigliate le distanze. Compenetrazione. Sinisi è già in scena, attende il suo pubblico con cura, come un demiurgo del luogo. Indossa una camicia militare aperta sul petto da cui spunta una t-shirt della nazionale di calcio inglese, pantaloni scuri larghi moderni, scarpe da ginnastica, un berretto di lana, cuffie gialle al collo. E un guanto in lattice sulla mano sinistra. Mano destra scoperta. L’ambiente ha le sembianze di un obitorio, o una sala d’attesa di una stazione di provincia, o una fredda palestra scolastica con il pavimento in linoleum. Ha un tavolo d’acciaio al centro, la scena, sguazzato da inchiostro di pennarello ad alcool, colore porpora; un super santos a destra. Niente più. Si spengono le luci.
La prima visione è quella di Sinisi steso sul tavolo in posizione cadaverica. Raggiunge una posizione microfonata in ribalta per cominciare il suo monologo. E’ il prologo della tragedia Scespiriana, il tradizionale annuncio delle scene nella grammatica elisabettiana, il testo dell’intero spettacolo di Sinisi. A focalizzare una ricerca sull’attore, sul lavoro d’attore, la mimesi restituita dopo aver succhiato dalla psiche e dal corpo del personaggio. Avere vissuto le stesse frustrazioni, le stesse paranoie, i medesimi sentimenti. E esorcizzare col corpo, con il linguaggio della semiotica, del gesto, della costruzione drammatica, gli umori del personaggio. Sembra interrogarsi Sinisi, indagare in corso d’opera sul trovare la direzione di rappresentazione, sul modo di recitare, sull’incarnazione, il gesto. Svela a se e al pubblico un ventaglio di soluzioni possibili. Immagine di questi tempi distorti. Dissociati.
Scrive il testo sul tavolo d’acciaio fatto lavagna: rappresentazione visiva della parola. Straniamento. Parola segnata in inchiostro lavabile. Dissolta in macchie purpuree. Simbolo di sangue.
E di simboli il trasposto è ricco. Dai linguaggi cibernetici espressi con l’icona, lo slang, la materia visiva, all’utilizzo dell’onomatopeico, materiale verbale d’efficacia d’urto. Un fluxus dialettico disarticolato, da rendere labile il confine tra performativo e rappresentazione pura, che nella sua sfuggevolezza mantiene una profondità e un resoconto costante, crescente. La restituzione del vissuto del personaggio in tracce sensibili. Sensoriali.
Un corto circuito costante. Destinato a corrodere l’ascolto auditivo e a languire la percezione interiore. Chiarirla, eccitarla.
Un monologo che canta la disperazione della rassegnata presa di coscienza della propria condizione. La deformità che diviene rabbia, malvagità. Il gesto animato dal cattivo sentimento. Il gesto inconsulto.
Suoni, stridori, rumori assordanti, clangori, odori chimici (alcool, spray), un collage audiovisivo e olfattivo che passa in rassegna le intenzioni. Sinisi osa senza edulcorare la fruizione. E riesce nell’intento di toccare il pubblico. Ficcandosi nella pelle del personaggio, nelle sue pulsioni che lo trasfigurano sensibilmente, incidendo sull’uomo non più sull’attore. Grotowskiano. Incisivo.
RICCARDO III
di e con Michele Sinisi
collaborazione alla scrittura scenica Francesco Asselta e Michele Santeramo
prodotto da FondazionePontederaTeatro / Teatro Minimo
Visto al Festival Castel dei Mondi, agosto 2014 – Andria
Emilio Nigro