RUMOR(S)CENA – MILANO – Oggi si parla spesso di Neet, un acronimo inglese che indica una persona non impegnata nella propria istruzione, né in un lavoro, né nella propria formazione. Lo spettacolo Sid – fin qui tutto bene, prodotto da Cubo Teatro, scritto e diretto da Gerolamo Lucania da un’idea di Ivan Bert, interpretato da Alberto Boubakar Malanchino, si potrebbe definire un apologo, esasperato fino al calor bianco, sulla condizione del Neet. Il personaggio di Sid, uno sradicato fin dalla sua origine, essendo nato e cresciuto in Europa, ma di origine algerina, trova un perfetto interprete in un aitante attore, diplomato alla Paolo Grassi nel 2016, nato a Cernusco sul Naviglio da padre italiano e madre del Burkina Faso, nel cuore dell’Africa subsahariana. Coautore del lavoro è il poliedrico musicista Ivan Bert, che troviamo in scena, al mixer e alla romba, a eseguire dal vivo musiche di sua composizione, assieme al sorprendente batterista Max Magaldi.
In tal modo la colonna sonora, la parola e l’espressività mimico-coreutica dello scatenato Alberto Boubakar Malanchino fanno un tutt’uno, innestandosi, sostenendosi e alimentandosi a vicenda, per un’ora e dieci di spettacolo senza un istante di tregua: così come la spericolata vita di Sid, ladro, assassino, simbolo estremo di una generazione che non riesce a trovare un’identità. Prima dell’inizio dello spettacolo, sopra l’arco scenico viene proiettato il frammento di una quartina del grande matematico e poeta persiano medievale ’Umar Kayyam:
“Sii felice un solo istante, quell’istante è la tua vita”.
La si può intender come epigrafe, quasi paradossale, del racconto di una vita, fatta sì di istanti, ma difficilmente definibili come felici, imbevuti di un risentimento distruttivo verso tutti miti e i simboli del consumismo, che Alberto snocciola in un elenco caotico quanto suggestivo: “Le Audi, il leasing, il Grande Fratello, le gite in barca, Cannes, le carte di credito, i tuoi seguaci su IG, la grana, lo strass, la coca, il gossip, la tivù, i social cazzi, il binge eating, il binge drinking, il binge watching, le fake news”.
E poi, poco oltre, ancora una esortazione e una confessione:
“Dannazione, abbiamo bisogno di un minuto di silenzio, cazzo!
Un solo minuto di silenzio per tutti!
Ma no, non si può! E allora? E allora che fai?
Teppismo. Poi qualche furterello. Dopodiché la droga. Oppure
Qualche furterello. Poi la noia. Dopodiché la droga. Le feste.
Qualche furtarello. La noia. Dopodiché.
La droga. Poi qualche noia. E poi. E poi finisci per uccidere.
Uccidi quello che capita – non dico chi capita – dico quello che capita.
E se non uccidi immagini di uccidere qualcuno.
E se non immagini di uccidere qualcuno, immagini di uccidere te stesso”.
Un personaggio eccessivo e sopra le righe in tutto, ma gratuito, nella violenza omicida come nell’amore; eppure non incolto: legge in modo compulsivo e ascolta musica – anche classica, come il quintetto per archi e clarinetto di Mozart – caratteri che lo scatenato vitalismo di Alberto Boubakar Malanchino, sostenuto dalla intrigante colonna sonora di Bert e Magaldi restituiscono appeno, creando nello spettatore un sentimento che è, a un tempo, coinvolgimento e sconcerto. Uno spettacolo che, in ogni caso, obbliga a riflettere, anche su tanti luoghi comuni gabellati per sociologia.
Viso al teatro Parenti, sala AcomeA, il 19 ottobre 2022