La nuova creazione di Fabrizio Arcuri alla guida dell’Accademia degli Artefatti debutta in prima nazionale il 18 aprile al Teatro India di Roma. Dopo aver portato sulle scene di Torino e Berlino, il Fatzer Fragment di Brecht, il regista si è dedicato a “Sangue su collo del gatto” di R.W. Fassbinder, (ore 21 , domenica ore 18) presentato in prima assoluta al Residenztheater di Monaco Di Baviera lo scorso 30 marzo. La traduzione è di Roberto Menin. Con Michele Andrei, Miriam Abutori, Matteo Angius, Gabriele Benedetti, Fabrizio Croci, Emiliano Duncan Barbieri, Pieraldo Girotto, Francesca Mazza, Fiammetta Olivieri, Sandra Soncini. Regia di Fabrizio Arcuri. Luci di Diego Labonia, scene, di Andrea Simonetti, costumi di Marta Montevecchi, video di Lorenzo Letizia Il lavoro, in coproduzione con il Teatro Di Roma, conclude il Dittico degli Ideali sulla crisi dell’identità politica e del concetto di società che aveva avuto come prima tappa Orazi e Curiazi di Bertold Brecht. Un thriller socio-linguistico con un finale non certo sorprendente – la realtà è falsa – e un colpevole altrettanto scontato – il linguaggio. Una decina di persone raccontano la propria vita, costruendo e distruggendo rapporti con una tragica voracità, alludendo a un’idea di comunità umana e sociale a cui sembrano appartenere; ad ascoltarli un’aliena venuta dallo spazio, che apprende la lingua umana nel momento stesso dell’ascolto, e in quello stesso momento prova a farsi interprete di un’umanità così ferocemente irrisolta. Un racconto di cronaca, dunque, o un esperimento fantascientifico? Il tentativo di una spiegazione o la rivelazione della sua impossibilità? Chi dice la verità e com’è che si dice la verità?
Spiega Fabrizio Arcuri nelle sue note di regia come Sangue sul collo del gatto sia un «Melodramma/poliziesco/noir…meccanismi che sgretolano le utopie politiche dell’uomo. L’assenza di utopia, l’indifferenza alla Storia si inscrive sui corpi trasformando le vite degli uomini in melodramma. Sottostare ai legami reciproci, vincoli fatti di amore e sopraffazione, favoriscono un’estetica del realismo del degrado che esibisce l’impurità del suo oggetto e ne tesse le lodi.Una festa del disordine in sostanza.In questo momento di totale assenza di ideologie architettiamo un ballo in maschera su una giostrina di periferia abbandonata da qualche zingaro in fuga»
crediti fotografici di Serafino Amato
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