C’è un fotogramma in “Un bès-Antonio Ligabue”, portato in scena da Mario Perrotta, che racchiude tutta la storia raccontata a teatro sulla vita tormentata di un pittore che fece della sua vita un percorso artistico tormentato fino alla sua morte. La scena di un sofferto bacio tra Antonio Ligabue e una donna dove la voce dell’uomo esclama : “Un bès… Dam un bès, uno solo! Che un giorno diventerà tutto splendido. Per me e per voi”. Si tratta di un frammento tratto dal documentario diretto da Raffaele Andreassi che nel 1962 realizzò: “Antonio Ligabue pittore”, un’artista spesso paragonato a Van Gogh, in cui il regista colse tutta la tenerezza e la drammaticità che lo accompagnò durante tutta la sua vita. L’attore e autore dello spettacolo che ha debuttato a Primavera dei Teatri 2013, il festival di Castrovillari nel mese di giugno scorso, e replicato in molti teatri e festival – tra cui quello “Da vicino nessuno è normale” – nel programma curato dall’associazione Olinda all’ex ospedale psichiatrico di Milano, ha scelto di chiudere il suo Ligabue con un’ immagine cinematografica in bianco e nero. Come i suoi disegni a carboncino che realizza dal vivo sulla scena per descrivere per immagini disegnate il tormento, il furore, i luoghi dove Ligabue esprimeva attraverso la pittura, quella sofferenza interiore che lo perseguitava.
È il primo movimento della trilogia che comprende la narrazione a partire dalla nascita del pittore, avvenuta in Svizzera, le prime avvisaglie della sua malattia psichica e l’allontanamento dalla sua patria; “l’esilio” nel paese di Gualtieri in provincia di Reggio Emilia. Si conclude con la sua vita artistica lungo le sponde del Po, il fiume dove produsse gran parte delle sue opere. Un’immagine forte e rappresentativa del percorso teatrale in cui Perrotta si immedesima nei panni di Ligabue. Il giorno dopo la rappresentazione vista dentro la Fortezza di Volterra, chiamato da Armando Punzo per il festival Volterra Teatro 2013, abbiamo incontrato l’attore in una calda giornata di luglio per farci raccontare come sia nato il suo Progetto Ligabue. Un’immersione che si arricchisce parola dopo parola, composta di citazioni, impressioni, emozioni, studi approfonditi sulla vita e l’arte del pittore. «Lo diceva lo stesso Ligabue che un giorno i suoi quadri sarebbero diventati famosi anche se durante la sua vita i contadini di Gualtieri, dove era stato mandato a vivere dopo i primi diciott’anni trascorsi in Svizzera, svendevano le sue opere e i suoi dipinti finivano per diventare sgabelli per mungere le mucche o tappare le finestre. Triste destino di capolavori rivalutati post mortem, così come fece Cesare Zavattini che riconobbe solo dopo la scomparsa di Ligabue di essere stato ingiusto nei suoi confronti».
Lo scrittore fondatore del Premio Luzzara (una tra le più importanti figure espresse dalla cultura italiana nel ventesimo secolo) aveva commissionato a tutti i pittori del mondo, un autoritratto escludendo solo Ligabue. Autore del poemetto Ligabue edito nel 1967 da cui fu poi tratto lo sceneggiato televisivo diretto da Salvatore Nocita. Mario Perrotta si è addentrato tra i meandri di una vita contorta e difficile, all’insegna della solitudine e dell’emarginazione, cercando di raccogliere ogni frammento della sua biografia utile a ricostruire il più realisticamente possibile la sua vera anima.
«Provo a chiudere gli occhi e immagino: io, così come sono, con i miei 40 passati, con la mia vita: quella che so di avere vissuto ma senza un bacio.Neanche uno. Mai. Senza che le mie labbra – scrive Perrotta nella presentazione del suo spettacolo – ne abbiano incontrate altre, anche solo sfiorate. Senza tutto il resto che è comunione di carne e di spirito, senza neanche una carezza. Mai. E allora mi vedo – io, così come sono – scendere per strada a elemosinarlo quel bacio, da chiunque, purché accada». Un lavoro di scavo in profondità dove far emergere «la sua solitudine, il suo stare al margine, anzi, oltre il margine – oltre il confine – là dove un bacio è un sogno, un implorare senza risposte che dura da tutta una vita».
L’attore racconta la biografia di Ligabue come di un uomo che provava un amore sviscerato per le galline e i conigli, spiega come uno dei suoi quadri raffigurante una lotta di galli e un tacchino, il pittore si identificava tanto da imitare i versi degli animali mentre li dipingeva. Nel corso dell’intervista divenuta nel tempo intercorso con Perrotta – sempre più una conversazione o un dialogo tanto si era catturati dallo stupore – dove ascoltare dava la sensazione di “vivere” in prima persona la vita del pittore, tanti sono gli aneddoti e le curiosità che danno la cifra di come sia il suo universo mentale impossibile da decifrare del tutto.
Antonio Ligabue ricoverato in ospedale pochi giorni prima del suo decesso
Come nell’episodio accaduto a Gualtieri, dove Ligabue distrusse un suo quadro, reagendo ad un’offesa ricevuta da chi non aveva apprezzato la sua opera. La spiegazione la può dare la psicoanalisi come spiega Perrotta, quando racconta che il gesto aggressivo di cancellare il quadro, stava a significare l’intento di togliere la possibilità di ammirare la sua arte. L’uomo responsabile di essere incapace di capire la sua arte. I suoi autoritratti, invece, dimostrano l’affermazione di se stesso come una legittimazione rivolta verso il mondo.
Da dove nasce l’idea di portare Ligabue in teatro?
«Quando mi sono recato a Gualtieri (un paese della Bassa reggiana, dove viveva il pittore) invitato da un gruppo di entusiasti giovani che hanno recuperato il Teatro Sociale lasciato all’incuria dopo trent’anni di abbandono. Qui ho incontrato per la prima volta Ligabue. E qui sono tornato per recitare con il mio nuovo lavoro sul pittore. Io appartengo alla quella generazione ‘violentata’ dallo sceneggiato di Salvatore Nocita dove Flavio Bucci interpretava il ruolo di Ligabue. Ne sono rimasto affascinato ma le mie reazioni erano anche angoscianti. Incontrando questo uomo ho colto la diversità e l’emarginazione, la fragilità del diverso nel momento stesso in cui ero in piena crisi personale, causata dalla scelta di adottare un bambino. Sono cosciente che per qualcuno il colore della sua pelle sarà un problema e mi sono chiesto se sarò in grado di fornire a mio figlio gli strumenti per difendersi. Questo è il pre- testo che mi ha portato a scegliere Ligabue. Mi interessa la diversità e il confine.»
La parola confine è la chiave di lettura del lavoro di questo attore ma anche studioso dell’uomo nella sua accezione più completa. Il confine che sta fuori ma anche dentro di noi. I luoghi di confine da sempre suscitano l’interesse degli artisti in generale. Ha favorito in molti casi la scrittura che trae origine spesso dalla mescolanza di lingue. Nel caso di Ligabue è stata la pittura a veicolare la sofferenza provata per l’abbandono della sua terra e l’obbligo di risiedere in un luogo da lui ritenuto al confine. Il suo stesso parlare dimostrava come lo svizzero e l’italiano si mescolassero con il dialetto emiliano del paese di Gualtieri. Per Mario Perrotta il confine è anche altro quando lui stesso si chiede: «Dov’è il confine? Voglio stare anch’io sul confine e guardare gli altri. E, sempre sul confine, chiedermi qual è dentro e qual è fuori. Il confine fisico e mentale oltre quello sociale e culturale in cui Ligabue doveva fare i conti tutti i giorni».
Da qui nasce la sua volontà di indagare un uomo «che ha riscattato tutto con la meraviglia della sua arte. Credo che un uomo di teatro debba fare questo, soprattutto se scrive di teatro. Non mi basta uno spunto estetico ma anche lavorare sulle necessità esistenziali. Ogni progetto nasce da un’urgenza a cui deve seguire una risposta, rispetto alla propria esistenza, quando ci si trova fuori asse. Io ho proceduto nella stessa maniera di Italiani cincali, intervistando la gente del paese» (Italiani cincali è incentrato sull’emigrazione degli italiani nel dopoguerra – parte prima minatori in Belgio – e La turnàta italiani cìncali – parte seconda).
Ligabue è nato allo stesso modo quindi. Come ha proceduto per la costruzione del suo spettacolo?
«Il pittore muore nel 1965 e il racconto che ho scritto parte dal basso, condito di mitologia per creare un percorso che spieghi quanto è stato denigrato per arrivare al mito. Una vita di racconti meravigliosi in cui cito la sua abitudine di farsi spaccare il naso per assomigliare ad un’aquila fiera ed intelligente. Una volta all’anno si faceva buttare nell’acqua del fiume, un uomo che diventava un animale mentre dipingeva. Ne sono rimasto affascinato e il mio intento è stato quello di rivalutare quell’urgenza totale che vorrei come artista. Ligabue era totale e quando dipingeva cantava per ore lo stesso motivo. Volevo conoscere l’uomo negli occhi del popolo e delle persone che lo hanno conosciuto. Ho voluto ricostruire il personaggio attraverso quelli che io ho supposto fossero i suoi pensieri. Una vita in cui ha subito due abbandoni materni, i precursori della sua malattia mentale. La decisione di mandarlo via dalla Svizzera verso un altro paese sconosciuto. Gli anni del manicomio per creare una storia di elementi reali e di fascinazioni dove inserire le mie suggestioni personali. Voglio avere a che fare con l’uomo Antonio Ligabue, con il Toni, lo scemo del paese. Mi attrae e mi spiazza la coscienza che aveva di essere un rifiuto dell’umanità e, al contempo, un artista, perché questo doppio sentire gli lacerava l’anima: l’artista sapeva di meritarlo un bacio, ma il pazzo, intanto, lo elemosinava».
Un bès – Antonio Ligabue
Teatro dell’Argine / Teatro Sociale di Gualtieri / Comune di Gualtieri/ dueL/ Olinda / Festival internazionale di Arzo (CH)
uno spettacolo di Mario Perrotta
Un bès – Antonio Ligabue ha debuttato il 30 maggio 2013 nell’ambito del festival Primavera dei Teatri 2013; primo capitolo del Progetto Ligabue, una nuova trilogia – completamente incentrata sulla figura del pittore reggiano – che nel 2014 e nel 2015 vedrà la collaborazione tra Mario Perrotta e il danzatore, coreografo e regista belga Micha Van Hoecke.
Crediti fotografici immagini di scena Un bès – Antonio Ligabue Luigi Burroni
Le repliche
giovedì 26 settembre ore 21.00
Taranto CREST
Spazio off TATÀ – quartiere Tamburi (stArt up teatro 2013)
telefono: 099 470 7948 – 099 472 5780 | mail: info@teatrocrest.it
venerdì 27 e sabato 28 settembre ore 20.00
Gualtieri (RE)
Piazza Bentivoglio – Piazza Bentivoglio
telefono: 329 135 6183 | mail: info@teatrosocialegualtieri.it
venerdì 8 novembre ore 21.00
Mestre (VE)
Centro Candiani – Piazzale Candiani, 7
telefono: 041 238 6111 | mail: www.centroculturalecandiani.it
da martedì 12 a sabato 16 novembre ore 21.00
San Lazzaro di Savena (BO)
ITC Teatro – via Rimembranze, 26
telefono: 051 627 0150 | mail: biglietteria@itcteatro.it
domenica 17 novembre ore 16.00 e ore 21.00
San Lazzaro di Savena (BO)
ITC Teatro – via Rimembranze, 26
telefono: 051 627 0150 | mail: biglietteria@itcteatro.it