Sono “sguardi malinconici al passato” per una storia che nasce “da una nostalgia divorante”, quella per un lago ma anche per una vita che non c’è più, giovane come lo era quella di un gruppo di amici ben assortito: vent’anni prima. Ora sono rimasti solo ricordi per qualcosa che forse non c’è mai stato. È pur vero che la mente umana tende a conservare le esperienze positive legate ai ricordi, piuttosto che gli accadimenti negativi e spiacevoli. Si viene a creare una sorta di rievocazione di qualcosa che sembra essere portatore di gioia, felicità e bellezza, anche se in verità quando è accaduto, non era così idilliaco. Succede anche sulle rive di un lago, dove questi amici si ritrovano, come se fosse un’occasione celebrativa e nostalgica. Nostalgia, una parola composta, derivante dal greco νόστος (ritorno) e άλγος (dolore), un dolore del ritorno, come in quello del “Il ritorno” di Carlotta Clerici, testo messo in scena da Marco Bernardi, regista del Teatro Stabile di Bolzano, e debuttato in prima nazionale, pochi giorni fa al Teatro Comunale in Sala Studio. Un ritorno carico di aspettative, uno stato di rimpianto per qualcosa che si vorrebbe rivivere, spesso più idealizzato che reale. Una condizione di anelito indefinito. È quello che accade a Yann (Corrado D’Elia), Anna (Sara Bertelà), Matthieu (Roberto Zibetti), Sophie (Valentina Bardi), Nathalie (Giovanna Rossi), Guy (Roberto Tesconi), Pierre (Angelo Zampieri), Julien (Fabrizio Martorelli), ritrovatosi a distanza di vent’anni, una specie di amarcord in cui si mescolano sentimenti contrastanti e rifrangenti tra di loro.
Un ricongiungimento esistenziale transitorio, venato da ricordi malinconici, smorzati da un’apparente allegria, dove covano ancora le braci di una passione amorosa tra Anna e Matthieu. C’è un hotel destinato alla chiusura, in cui trascorre le sue vacanze da molti anni, la Signora Richard (Aide Aste), per pochi giorni il luogo capace di incrociare, ancora una volta, le vite e i destini di ciascuno, e sullo sfondo il lago che mostra le sue acque apparentemente accoglienti. C’è un pericolo mortale che attende di prendersi la vita di uno di loro. La malinconia che serpeggia, gli scherni, le rimpatriate, il divertimento, non sono altro che un modo per esorcizzare un senso della perdita che tocca tutti da vicino. Non si possono più provare rimpianti per il passato. È definitivamente scomparso, così come spariranno anche loro da quel posto, dove aleggia la tragedia incombente. Non ha un lieto fine Il ritorno, scritto da un’autrice che dichiara di aver provato “nostalgia del mio lago, nostalgia di un paradiso perduto che sicuramente non è mai esistito”, sentimento che la porta a scrivere questa storia, con evidente necessità di cristallizzare un’esperienza giovanile, depositarla in chiave autobiografica e forse catartica.
Marco Bernardi sceglie di assecondare in pieno la drammaturgia di Carlotta Clerici, ma non solo, preferisce utilizzare il testo integrale senza operare tagli al fine di ridurne i tempi. A Parigi la versione francese durava 106 minuti mentre a Bolzano la messa in scena è di 110 minuti. Lo spettacolo risultato eccessivamente lungo, comprensivo anche di un intervallo, che non gioca a favore di una vicenda collocata dentro un luogo chiuso, dove tutto quello che accade è il frutto di una dialettica, ora scanzonata, ora aggressiva/sarcastica tra i protagonisti, quanto necessaria di un fluire narrativo senza interruzioni, al fine di non spezzare la tensione emotiva – drammatica. Il testo in verità è abbastanza semplice quanto scontato, nella sua genesi drammaturgia che non va mai a fondo delle dinamiche esistenziali e conflittuali di Yann e Anna (lui ama lei che non ricambia), piuttosto che quelle di Matthieu, Guy e degli altri. Sono evidenziate nella loro estemporaneità dagli attori stessi e dalla regia, che però avrebbe potuto incidere maggiormente, rispetto alle singole personalità dei personaggi lasciate agire in modo soggettivo, piuttosto che nella coralità necessaria per sottolineare maggiori vissuti alla base di tutta la vicenda. Scambi di battute anche ovvie, condite spesso da un uso gratuito del turpiloquio, dove la parolaccia, se usata, deve avere un peso specifico nell’economia del linguaggio utilizzato. Così non è.
L’altro fattore che smorza la partecipazione emotiva è rappresentato dal ripetitivo uso dei neri che separano i cambi minimi di scena (scene di Gisbert Jaekel), tra un quadro e l’altro, le luci (di Lorenzo Carlucci) si spengono, lasciando il buio totale. Un taglio netto, a cui sopperiscono per pochi istanti, le musiche dei Nirvana. È il difetto più evidente nell’impostazione registica, così facendo spegne per qualche istante l’attenzione, e non permette di guardare con occhi (anche) di spettatore cinematografico, come si percepisce a tratti, l’intera vicenda, senza pause, senza dover attendere il proseguo di una storia che si poteva raccontare molto di più, scavare nelle contraddizioni del genere umano. Nostalgia, malinconia, desiderio, passione, amore, pentimento, gioia e dolore. Quello che sul finale chiude Il Ritorno, tra lo sgomento dei presenti, quando Yann si tuffa dallo scoglio e perde la vita. O si toglie la vita. Nathalie è una Giovanna Rossi perfetta nella sua parte di una donna che crede ancora nell’amore per Yann, affranta dal dolore sviene alla vista della tragedia, mentre il viso trasfigurato di Roberto Tesconi, registra con perfetta aderenza al suo ruolo, la tragedia. Un uomo cinico e spavaldo, ma sempre se stesso fino alla fine. I suoi occhi sembrano scatti fotografici che imprimono sulla pellicola, una scena che non potrà mai essere cancellata.
I momenti convincenti sono quelli dove avvengono i duetti come quelli di un intemperante e indolente Corrado D’Elia, per nulla deciso a darsi una speranza, e Sara Bertelà, quest’ultima capace di dare risalto al suo personaggio di donna, indecisa, ansiosa e agitata alla vista di Roberto Zibetti (Matthieu), un amore giovanile dove una passione ritrovata in una notte sul lago, farà poi pentire entrambi, un sentimento ormai sfumato per via anche di un’altra donna (Valentina Bardi), sposata a Matthieu, svampita quanto basta nel dare al suo ruolo una sua caratteristica. Zibetti da vita ad un uomo sicuro della sua supponenza. La brava e convincente Aide Aste è calata nel ruolo della vecchia signora Richard affetta da una demenza senile che la fa confondere arretrando al passato, come se fossero ancora i giovani di tanti anni prima. Fabrizio Martorelli è un Julien illuso di cambiare vita e trovare compimento alla sua aspirazione di diventare qualcuno che conta. Angelo Zampieri è un Pierre funzionale al ruolo a lui assegnato, un uomo che cerca di avere un suo spazio nella compagnia di amici.
Il lago resta lì, gli altri spariscono per sempre. In quella storia non restano che tracce di un passato che l’acqua cancellerà per sempre.
Il ritorno
di Carlotta Clerici
regia di Marco Bernardi
Teatro Stabile di Bolzano
Visto alla Sala Studio -Teatro Comunale il 10 novembre 2011
In tournée al Teatro Franco Parenti di Milano
dal 27 marzo al 5 aprile 2012
e al Teatro Vittoria di Roma
dal 12 al 22 aprile 2012