“Il velo nero del pastore“, l’ultima creazione artistica per il teatro della Societas Raffaello Sanzio, va in scena giovedì 17 e venerdì 18 novembre, al Teatro Ariosto di Reggio Emilia, nell’ambito del Festival Aperto. Il regista Romeo Castellucci ha intrapreso un progetto che vede il suo impegno dedicato ai concetti di identità e occultamento, con l’intento di portare avanti il discorso sulla forza trascendentale del teatro.
Liberamente tratto da un racconto del 1836 di Nathaniel Hawthorne, uno scrittore statunitense vissuto nell’Ottocento. La sua carriera letteraria riscontrò successo nel dedicarsi al romanzo. È considerato, assieme ad Edgar Allan Poe, Herman Melville e Mark Twain, il più importante narratore statunitense dell’Ottocento. Hawthorne deve la sua celebrità soprattutto al romanzo storico La lettera scarlatta, ambientato alla metà del Seicento, è stato talvolta paragonato a Walter Scott, ma la sua posizione nella letteratura statunitense lo avvicina di più al ruolo che, in quella italiana, ha avuto Alessandro Manzoni.
Il velo nero del pastore è la parabola di un predicatore di una comunità puritana del New England e della sua decisione di portare per il resto dei suoi giorni un drappo nero sul volto. La presenza del velo sconcerta profondamente la coscienza dei fedeli e tramuta il loro sguardo sulle parole del pastore, perfino quella della sua promessa sposa Elizabeth, che decide presto di rinunciare al matrimonio.
Romeo Castellucci spiega che “il pastore rappresenta una linea retta, rigida, senza evoluzione: il dramma non è nel suo personaggio, ma nella comunità che lo guarda, non capisce, resta spiazzata e reagisce. La figura del protagonista nella parabola di Hawthorne, il Pastore, – prosegue Castellucci – offre un’occasione per indagare l’antico rapporto tra la rappresentazione e la negazione dell’apparire che, dalla tragedia attica, sostiene ogni nostro rapporto con l’immagine. Se si potesse riassumere questo spettacolo in una frase si potrebbe dire che qui viene mostrata non la storia di un uomo, bensì quella di un pezzo di vetro oscuro, usato come specchio per riflettere e filtrare l’immagine dell’immagine. Ogni rapporto illustrativo al testo di Hawthorne risulta vano, perché assorbito nel collasso del significato programmato e disposto dallo scrittore stesso, che qui io voglio raccogliere come una specie di eredità“.
«Questo velo è un emblema, un simbolo, e devo portarlo sempre, alla luce e al buio, nella solitudine e davanti allo sguardo della moltitudine, di fronte agli estranei e agli amici più cari. Nessuno sguardo di mortale lo vedrà mai sollevarsi. Quest’ombra cupa deve separarmi dal mondo». Sono le uniche parole del pastore Hooper nello spiegare il proprio gesto, pressato dalle continue richieste dei saggi del suo villaggio.
Attraverso il racconto di Hawthorne, lo spettacolo della Socìetas Raffaello Sanzio indaga il mistero dell’identità e la vertigine che può comportare la sottrazione del volto, il più importante degli specchi della nostra persona.
Il Velo Nero del Pastore
Liberamente ispirato alla novella di Nathaniel Hawthorne
di Romeo Castellucci
Messa in scena, scenografia, luci Romeo Castellucci
Musica originale Scott Gibbons
Assistente alla regia Silvia Costa
Assistente alla drammaturgia Piersandra Di Matteo
Sculture e meccanismi, Istvan Zimmermann, Giovanna Amoroso
collaborazione alla scenografia Giacomo Strada Produzione Benedetta Briglia
(crediti fotografici di Giulia Fedel)
Informazioni: o522 458811
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