Teatro, Teatrorecensione — 18/01/2016 at 22:24

La Grande Guerra: presente o passato?

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Rivoluzioni

Nella seconda parte di Istruzioni per non morire in pace il tempo è segnato da un orologio che ritorna a più riprese, dalla balconata destra del teatro e dall’alto della scena; il deus ex machina risolutore dei problemi. Solo il tempo, certo, ci darà ragione! Ma fino ad allora, l’attesa si restringe, così come l’impaziente voglia di cambiare. La narrazione è lineare: corre dritta verso il sogno irrefrenabile di rivoluzione. Una scena ambientata ai giorni nostri, introduce lo storytelling. Attraverso gli occhi di una studentessa universitaria che prepara il suo esame di Storia Contemporanea, si diventa consapevoli di quanto sia stata determinante la Rivoluzione Russa del 1917 durante il disastro mondiale. Mentre Georg Heym sognava di morire in guerra, Lev Trotsky muore assassinato durante la Rivoluzione d’Ottobre. Insomma c’è chi la guerra la desidera, chi invece ci muore davvero. Due visioni opposte che, purtroppo, si attraggono: Lelo e Josephine danzano sopra le macerie della guerra.  Lo stato confusionale dei figli, così come del padre Fernando paradossalmente insicuro della posizione ricoperta in guerra da parte della ditta, si ripercuote nella famiglia Gottardi.

@Luca Del Pia
@Luca Del Pia

È un continuo rincorrersi di idee e dei personaggi che le hanno determinate. È una ricerca non solo mentale ma anche fisica, dei componenti della famiglia che fuggono anticipandone il loro sgretolamento, e psicologica da parte di un Freud che tenta di presentare gli aspetti positivi dell’ipnosi e le ragioni del suicidio. Strategico il suo arrivo, nei momenti di debolezza e di sconforto, utile per amplificare la messa in crisi di un sistema, così come avviene oggi quando qualsiasi strada asfaltata diventa percorribile in salita.  Il bisogno impellente di una verità, dunque, è il virus della rivoluzione da parte del proletariato che vede nella borghesia la sua peggiore nemica.  «Piove e non ho soldi» è l’incipit di una guerra che bagna per ripulire ma che, all’arrivo del temporale, si prepara a distruggere. La lotta non si risolve solo tra padri e figli ma anche tra ricchi e poveri, per cui la rivoluzione è intesa come purificazione verso la via dell’Internazionale con fucili e baionette, trasformata però in una vera e propria guerra di “tutti contro tutti”.

@Luca Del Pia
@Luca Del Pia

Teatro

 Il tempo, nella terza parte del trittico, è centrale: l’orologio sta sul fondale. La ricerca della felicità è necessaria con l’arrivo della tragedia. Il numero di soldati morti è indicibile. L’invito ironico delle scenette di avanspettacolo è «Ammazziamoci!». Ogni elemento è chiarificatore adesso, nelle scene politiche che si sviluppano sul palco, in galleria, e nelle balconate del teatro. L’atmosfera è di tensione per l’entrata in guerra dell’Italia, con D’Annunzio, Giolitti e Mussolini messi in berlina come tutti gli altri personaggi della mise en scène. La contraddizione, resa  con le parole dei politici, sembra somigliare ai discorsi di maggioranza e minoranza di oggi. Oggi come ieri, la ricerca di sicurezza e di verità si perdono nel confine tra la realtà e la finzione di questi attori che si vestono e si svestono dai loro personaggi, con risate grottesche ai limiti di una follia consapevole del danno in atto. A casa Gottardi è il 23 maggio 1915 e si consuma il pasto amaro di un litigio, quello tra padri e figli, tra la responsabilità, il sentimento patriottico e la libertà di scelta, nella consapevolezza di una distruzione mondiale imminente. Ciononostante si ride molto a tavola, ridono tutti, tranne Lelo che volge un pensiero a Berto, metamorfosi kafkiana di uno scarafaggio che corre in cucina mentre si tenta di ammazzarlo. «Ammazziamoci!» sì, ammazziamoci tutti: giochiamo a fare la guerra!

Rubert Musil si arruola volontario, Hans Castorp è dichiarato abile alla guerra, e anche Lelo Gottardi, dopo il suo spettacolo finale a Vienna, ha tolto la maschera di attore e indossato i panni di soldato. Quintilio Gottardi, è uno dei soldati di Bologna morto durante la Prima Guerra Mondiale. Il finale è sospeso, insieme al pubblico, tra i colpi di fucile fuori dal teatro e l’arrivo del soldato austriaco che interrompe la farsa. Ride lo spettatore, adesso che si dovrebbe piangere.  Si ride perché fa male scoprire la complessità vertiginosa di un’umanità costretta a combattere. Fa male conoscersi dentro mentre fuori nevica, per scrutare le paure che ci rendono ridicoli. È meno pauroso a teatro il gioco della guerra, perché il teatro libera, attraverso la catarsi, dalla prigionia spaventosa della crudeltà. È in questo che, attraverso Istruzioni per non morire in pace, il teatro diventa luogo in cui le persone s’incontrano, nella realtà della messa in scena.

Istruzioni per non morire in pace
1. Patrimoni | 2. Rivoluzioni | 3. Teatro
di Paolo Di Paolo
regia Claudio Longhi
scene Guia Buzzi
costumi Gianluca Sbicca
assistente alla regia Giacomo Pedini
con Donatella Allegro, Nicola Bortolotti, Michele Dell’Utri, Simone Francia, Lino Guanciale, Diana Manea, Eugenio Papalia, Simone Tangolo
alla fisarmonica Olimpia Greco
Emilia Romagna Teatro Fondazione / Teatro della Toscana

Visto al Teatro Storchi di Modena dal 7 al 17 gennaio 2016

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