È il dramma di un’autodistruzione progressiva e incessante di corpi umani che si attraggano e si respingono. Il disfacimento interiore causato da una spirale sado-masochistica perversa. L’amore come punizione e pena voluta da una sofferenza continua. Crudele come solo la vita può essere. L’uomo è vittima e carnefice di se stesso senza saperlo, alla disperata ricerca d’amore in un mondo impossibile. Il suo è un sacrificio in nome di un amore che vuole e cerca. Invano. Nulla potrà dare acquiescenza al suo tormento esistenziale. È quanto accade a due anime, l’una maschile l’altra femminile, legati da un’invisibile filo che attorciglia le loro esistenze. Il destino ha assegnato due ruoli che agiscono su base compulsiva dove il sesso diventa una tortura che conduce all’esasperazione parossistica. Un processo morboso in rotta verso un baratro senza possibilità di scampo. È quello di Orgia, il dramma scritto da Pier Paolo Pasolini, ripreso per le scene dal regista Andrea Adriatico ai Teatri di Vita di Bologna. Un testo capace di suscitare reazioni scomposte nel lontano 1968 (l’autore lo scrive nel 1966 e firmerà anche la “scandalosa” regia) quando debuttò per la prima volta a Torino. Oggi, alla luce di quanto accade nella realtà di certi comportamenti sociali, dove il comportamento umano ha superato ogni soglia di remora pubblica e privata, il tanto vituperato Pasolini drammaturgo e intellettuale scomodo, avrebbe materiale inesauribile per ispirarsi. Lucido e implacabile anticipatore di molte verità a noi ancora sconosciute. Orgia rappresenta un atto di denuncia coraggioso nell’affrontare quanto di più insondabile e irrazionale vi sia nella sfera emotiva e sessuale che agisce ad ogni livello. Come nel rapporto tra un uomo (Maurizio Patella) e una donna (Francesca Ballico), e ancora tra lui e un’altra donna (Monia Fucci), immersi dentro un claustrofobico tunnel nero, simile ad un ventre molle dell’inconscio umano, da dove si origina eros e thanatos, la perversione che auto implode e si avvita su se stessa. Un lungo e stretto letto divide due file di spettatori seduti su seggiole di legno, come silenziosi fedeli testimoni di un rito sacrificale. Un banchetto lussurioso e doloroso su cui la vittima da immolare è stesa nuda e impotente.
Accade a distanza ravvicinata dove si percepiscono gli umori, i respiri affannosi, gli affanni, la libidine rude, rabbiosa, i gemiti e i singulti. I corpi si incontrano e si scontrano, la carne si fa tremula. Sopra le gesta delle membra, il sudore, il nudo che si erge a lancia e scudo per ferire e difendersi, c’è la parola che si fa materia e risuona nell’atmosfera soffocante e angosciante dove si è tutti “prigionieri, schiavi, torturati” ma allo stesso tempo “boia” per una sorta di complicità subdola e morbosa. I due protagonisti spogliati dei pochi indumenti rivelano una nudità scevra da ogni forma di pornografia estetica, non c’è nulla che possa dare addito ad una reazione di voyeurismo, grazie alla potenza, appunto, della parola che si fa verbo. È un incessante logorio dove la parola scandaglia la vita stessa di tutti e due. C’è tutto un mondo dietro a quell’apparente crudele amplesso carnale, fatto di poesia, struggenti pensieri e malinconici vissuti per qualcosa che non ci appartiene più. È la vita stessa che Pasolini amava e desiderava, gesti agresti e contadini, umili e sinceri, fatica e sofferenze subite e accettate senza mai perdere la propria dignità. Il sonoro che crea il cinguettio degli uccelli e lo stormire delle foglie al vento, creano un contrasto tra i sensi in dialettica tra loro per dissonanze. La vista e l’udito registrano scene e dialoghi dirompenti per il realismo cinico di cui sono infarciti, e allo stesso tempo si odono echi ancestrali e mitizzati, dolci rumori soavi e spensierati ma anche fragorosi tuoni che inarcano fino allo spasmo il corpo di Francesca Ballico, attrice dotata di una dizione impeccabile. Maurizio Patella offre di se stesso un’interpretazione attoriale in grado di esaltare la fisicità della parola e la verbalizzazione delle emozioni e dei sentimenti, attraverso l’uso del corpo-strumento.
La donna nuda distesa sembra subire passivamente e stoicamente le indicibili sofferenze fisiche – psicologiche che l’uomo le procura. A renderle visibili fuoriescono dalle pareti nere, catene rumorose che la rendono un animale in gabbia, domato a forza. Viene morsa, oltraggiata, abusata, eppure lei reagisce dopo il famelico e vorace pasto consumato da lui, con serafica e innaturale calma, ritornando alla parola suadente, pacifica, rispondendo alle martellanti domande, ponendo essa stessa interrogativi che pesano come macigni. Sono dissonanze sonore e verbali che amplificano la surreale e metafisica scena rischiarata da luci a forma di croci. Lei stessa viene a trovarsi legata come il Corpo sulla Croce e il rimando è esplicito. Lei stessa desidera quell’ultima umiliazione, dettata dal volere orgiastico di chi si arroga il potere di vita e morte tra le sue mani. «Finché morte non vi separi», sembra assurdo pensarlo, quasi un pensiero blasfemo, tant’è che il dubbio sussiste, dopo aver visto il lavoro registico di Andrea Adriatico e dei suoi stupefacenti attori, capaci di incarnare fino allo stremo fisico, con doti eccellenti di immedesimazione scenica, recitativa, espressiva. La violenza fisica e morale viene espressa con una tale verosimiglianza – da creare a tratti – disorientamento in alcuni degli spettatori presenti, la sera della replica a cui abbiamo assistito. E la Morte sarà lei a siglare la parola fine. Fuggita la prima “vittima”, liberatasi dalle catene di un rapporto sadomasochistico, ecco che il “carnefice” si avventa su un’altra donna (Monia Fucci ), quest’ultima avvolta da una sensualità più innocente oltraggiata e sopraffatta dalla brutalità del maschio. All’uomo non resterà che umiliarsi indossando la biancheria intima della donna e vestire il “funereo abito”. È l’epilogo tragico di tutto il dramma. Togliersi la vita non è e altro che un gesto liberatorio e riparatorio da chi non crede più nella sua vita.
La scena di Andrea Cinelli è perfettamente funzionale al contesto drammaturgico. Le parole di Pasolini, pensate e scritte a proposito di Orgia : «La grande novità del teatro è tutta qui. Un rapporto personale con lo spettatore. Altrimenti, dedicarmi al teatro (scriverlo e allestirlo) non avrebbe significato», trovano un’adesione perfetta nella regia che le rende vive, palpabili e drammaticamente attuali.
Rumor(s)cena dedica ad Orgia una doppia recensione. Due punti di vista critici a distanza di tempo ravvicinato. Sguardi diversi per età, generazione, sensibilità, formazione. Un esperimento come forma di confronto dialettico e culturale senza nessuna pretesa per cercare facili consensi.
Orgia
uno spettacolo di Andrea Adriatico
di Pier Paolo Pasolini
con Francesca Ballico, Maurizio Patella, Monia Fucci
Visto ai Teatri di Vita il 3 marzo 2012
leggi la recensione di Rossella Menna