SPOLETO (Perugia) – La standing ovation che ha accolto l’”Eugene Onegin” di Pushkin del Vachtangov Theatre di Mosca ad ognuna delle tre repliche a Spoleto Festival 59 fa sperare che questo spettacolo – voluto fortemente dal direttore Giorgio Ferrara – sia invitato nella prossima stagione in Italia (tanti erano i responsabili artistici produttori tra il pubblico!).
Il lavoro diretto da Rimas Tuminas – premio MONTBLANC/Tolstoj – è favoloso, specie nella prima parte. Gli attori fondono una leggerezza fisica, atletica e una freschezza rapinosa di recitazione, denominatore comune degli interpreti dell’Est Europa. Ma ciò che più colpisce lo spettatore è l’assoluta capacità di riversare in poesia teatrale la poesia letteraria. L’Eugene Onegin di Pushkin è un capolavoro, certo, ma la traduzione in scene viventi di alcuni momenti-chiave della trama lascia sbalorditi: il disprezzo che il dandy – qui un attore assai bello, Eugeny Pilugin – nutre nei confronti delle donne che gli cadono ai piedi è rappresentato da una sorta di scavalcata dei corpi adoranti delle fanciulle da parte della figura nera del seduttore.
E ancora: la condivisione dei sogni d’amore – infranti dal protagonista in un duello vile e in una sorta di autismo emotivo – vissuta da Tatiana e Olga si raccoglie attorno ad un altarino (ricavato da un letto in verticale, uno specchio e rituali profani) dove le due sorelle leggono la loro sorte. Caratteristica delle messinscene dell’Europa orientale, prime fra tutte quelle del Meno Fortas di Nekrosius, è di giocare il racconto (la drammaturgia?) per spostamenti logici, non necessariamente cronologici: così, il colpo di pistola con cui Onegin uccide l’amico poeta Lensky/Vasily Simonov viene anticipato all’inizio da un maturo Onegin – l’attore Aleksei Guskov – che durante l’intero spettacolo sarà il doppio postumo del giovane fascinoso. Il passaggio del tempo, infatti, nella lezione del Vachtangov State Academy of Russia, è affidato ad attori di diversa età e modalità interpretativa.
Veloce, straziante, romantico, terribile nel designare le sorti di chi ama, Pushkin trova nello spettacolo di Tuminas un registro immediato, di grande comunicazione sensoriale e immaginativa. Il Sogno di Tatiana che apre la seconda parte è più tradizionale, le invenzioni mancano, nonostante la trasparente adesione dell’attrice, Eugenia Kregzhde. Il teatro russo non sa rinunciare ai suoi stilemi, non può fare a meno della lezione di Stanislavskij, delle citazioni infantili al mondo di mostri, orsi, scuole di ballo, guitti, mendicanti. Forse potrebbe. Ma la fedeltà a un grande passato è troppo forte. Omaggio alla tradizione nella giovinezza dei corpi, la loro è davvero una scuola da ammirare.
Visto il 7 luglio 2016 al Caio Melisso Spazio Fendi di Spoleto