Recensioni — 18/07/2024 at 18:05

Niger et Albus, il nero e il bianco della 54 esima Biennale Teatro di Venezia.

di
Share

RUMOR(S)CENA – BIENNALE TEATRO – VENEZIA – Un catalogo nero e bianco quanto corposo nelle sue 379 pagine, “NIGER ET ALBUS”: è la guida ragionata agli spettacoli della 52esima edizione della Biennale Teatro 2024, l’ultima della co-direzione di Stefano Ricci e Gianni Forte (ricci-forte), conclusasi il 30 giugno scorso. Il nero e il bianco in contrapposizione tra loro. Il nero rappresenta l’assenza di luce a differenza del bianco che in natura può esistere senza la necessità di avere nessun tipo di luce. Se la grafica del volume edito dalla Biennale di Venezia è minimalista e raffinata, il contenuto è altrettanto ricco di pensiero, in cui il lettore/spettatore poteva seguire il percorso artistico scelto dai due co-direttori per questa edizione che ha proposte scelte anche estreme e provocatorie sul piano artistico. 

«Niger et Albus è la dicotomia su cui il duo Stefano Ricci e Gianni Forte sceglie di impostare il Festival che ne sigilla il mandato alla Biennale Teatro. Anche questa volta il testo dei Direttori si articola in forma di manifesto programmatico in cui Niger è il buio da squarciare grazie ad Albus (…)» – scrive nella prefazione Pietrangelo Buttafuoco, presidente della Biennale di Venezia.  Squarciare quel buio che è insito nell’animo umano diventa una potente metafora capace di far riflettere sullo stato dell’arte del teatro e della cultura in generale. I due direttori nella presentazione scrivono: «In principio tutto era bianco e nero: la contrapposizione tra bene e male, in quell’eterna azione di miglioramento auspicabile per qualunque essere umano. Gli opposti mescolati, le trame da comporre tra buio e luce.

Ed è il superamento di questo dissidio che porta l’individuo a procedere verso un progressivo generale (…). NIGER et ALBUS, in latino a raccontare una lingua morta che ha smarrito il soffio vitale, descrive gli opposti, la forza dello strappo per ricucire una nuova specificità lontana dalle vetuste e anacronistiche gabbie binarie (…)». Un manifesto programmatico che si è dipanato durante tutto il Festival e ha suscitato pareri anche contrastanti tra di loro, come è giusto che accada a teatro.  Il suo ruolo è quello di far discutere e suscitare pareri anche contradditori tra chi assiste agli spettacoli.

Alla Biennale Teatro di Venezia è consueto potersi confrontare e dialogare su come gli sguardi convergono o a volte divergono.  Sono discussioni dove ognuno porta un contributo con la consapevolezza di coltivare il dubbio – sempre e ovunque –   quando si assiste ad una rappresentazione teatrale. I giudizi assoluti non determinano un progresso bensì una sospensione del pensiero intellettuale. La pensava così Giovanni Raboni, critico letterario, cinematografico e teatrale e firma storica del Corriere della Sera (scomparso nel 2004), ostinatamente contrario con tutte le sue forze al consenso ottenuto a qualunque costo, battendosi con determinazione nel denunciare una delle conseguenze più pericolose per la cultura in generale – come oggi è possibile constatare -, vista la frequente sottomissione e omologazione al/del pensiero unico.

«Le sue erano recensioni esemplari: chi volesse dedicarsi alla critica militante potrebbe partire studiando il metodo Raboni. Che era sulla carta un metodo affabile e variabile (l’«arte del dubbio»), ma concettualmente ferreo» – spiega ancora Paolo Di Stefano – sulle pagine del Corriere della Sera. Raboni si distingue anche per aver scritto «L’arte del dubbio», una guida alla scrittura di una recensione: « (…) poiché quel sintagma trasmette il valore positivo di una conoscenza che avviene mettendo in discussione quanto si ritiene di sapere a proposito degli eventi fenomenici argomento di analisi», (cit. Luca Daino in “Meglio star zitti” pag. XVII).

Nell’affrontare ed esaminare quanto visto nei giorni di presenza al Festival è necessario anticipare come l’impegno, da parte di chi scrive, è stato quello di trovare dei riscontri tra le intenzioni della regia e della drammaturgia a firma degli artisti (rintracciabili nel catalogo, compendio essenziale per avere le informazioni degli intenti poetici e artistici – ma soprattutto – selezionati dalla co-direzione di ricci-forte.

Biennale College Mise en lecture

LIVIDO

Testo di Eliana Rotella (vincitrice Biennale College Teatro – Drammaturgia Under 40 (2023-2024) regia Fabio Condemi, con Marco Cavalcoli, Bianca Cavalotti, Eliana Rotella. Disegno sonoro: Andrea Gianessi. Produzione: La Biennale di Venezia

crediti foto di Andrea Avezzù ELIANA ROTELLA – FABIO CONDEMI-

Le voci che risuonano nella Sala d’armi dell’Arsenale raccontano una storia in cui non è possibile rintracciarne l’inizio: accade quando riaffiorano traumi subiti nell’inconscio umano e rievocarli risulta troppo doloroso. Sono presenze nello spazio scenico plumbeo rischiarato dalle luci. Si alternano le voci di Marco Cavalcoli, Eliana Rotella, Bianca Cavalotti, (Eco, Narciso e Ovidio), nella ripetizione di frammenti di vite vissute all’insegna della sofferenza causata dai lividi che hanno procurato ferito. Lividi come segni indelebili di cui la memoria non riesce a rintracciarne la causa.  I dialoghi serrati, grazie ad una recitazione efficace, rimbalzano in un incessante flusso di parole, frammenti di storie non risolte. Marco Cavalcoli nel ruolo di un medico curante di una delle due donne, si sospetta possa essere il responsabile della sua sofferenza.

crediti foto di Andrea Avezzù

Ovidio si fa portavoce di una trama che racconta una storia già vissuta ma una volta rievocata si trasforma, assume risvolti inediti, si insinua nelle coscienze di Eco e Narciso, che a loro volta agiscono nel rimbalzare in una triangolazione narrativa geometrica, sincopata e tagliente.  Elena Rotella consegna una drammaturgia ricca di spunti riflessivi. La regia di Fabio Condemi avrà modo di sviluppare, nell’edizione della Biennale Teatro 2025, una rappresentazione completa dove sarà interessante riconoscere ulteriormente il percorso di come riuscire a risolvere quei traumi che sono fanno parte integrante delle nostre vite.

crediti foto di Andrea Avezzù

COSÌ ERANO LE COSE APPENA NATA LA LUCE

Rosalinda Conti, vincitrice Biennale College Teatro – Drammaturgia Under 40 (2023-2024) Regia: Martina Badiluzzi. Interpreti: Barbara Chichiarelli, Loris De Luna, Michele Eburnea, Alessandro Riceci, musiche dal vivo Daniele Gherrino, aiuto regia Giorgia Buttarazzi, produzione La Biennale di Venezia, coproduzione Cranpi.

crediti foto di Andrea Avezzù ROSALINDA CONTI – MARTINA BADILUZZI-

Una famiglia composta da quattro figli, tre maschi e una femmina e una madre malata giunta alla fine della sua vita che all’improvviso sparisce senza lasciare traccia di sé e con lei svaniscono oggetti e la stessa loro casa. Tutto appare inspiegabile e allucinatorio, come se esistesse una forza occulta capace di sottrarre la vita stessa sulla Terra. È il prologo di una storia dai contorni misteriosi in cui ad un certo punto appare anche un enorme insetto sul letto della donna. L’essere umano pare soccombere sconfitto dalla natura che si riprende quello che le era stato sottratto. L’estinzione della vita umana è in corso e a riprova di quanto sta accadendo appare un libro che ne descrive l’ineluttabilità. La drammaturgia di Rosalinda Conti ha uno spessore capace di creare un’atmosfera dai contorni irreali e surreali, ben supportata dall’interpretazione dei quattro protagonisti in scena, salvo poi dilungarsi verso la seconda parte, evitando una sorta di ridondanza della parola che tende ad essere utilizzata per offrire eccessivamente a dare spiegazione degli accadimenti. Il testo potrà beneficiare operando una sintesi maggiore al fine di essere rappresentato e valorizzata maggiormente.

crediti foto di Andrea Avezzù – ROSALINDA CONTI – MARTINA BADILUZZI

SLEEPING BEAUTY / LA BELLA ADDORMENTATA

Di: Carolina Balucani, vincitrice Biennale College Teatro – Drammaturgia Under 40 (2022-2023). Direzione:  Fabrizio Arcuri. Con: Vincenzo Crea, Andrea Palma, Dajana Roncione, Maria Roveran. Scenografia: Rosita Vallefuoco Video:Luca Brinchi Assistente alla regia e addetto alle luci:Luca Giacomini Consulente musicale: Giulio Ragno Favero Produzione La Biennale di Venezia, Cranpi, La Corte Ospitale

crediti foto di Andrea Avezzù FABRIZIO ARCURI – CAROLINA BALUCANI – Sleeping Beauty

Le scelte drammaturgiche selezionate per la Biennale College, risultate vincitrici sembra appartenere ad un filo conduttore comune: sono ferite che segnano la vita e risultano difficili da rimarginare, come se ogni tentativo di ravvedimento o consapevolezza di sé fosse impossibile da raggiungere. Come se il teatro assolvesse un compito altrimenti inevaso o trascurato. La sensibilità femminile che si riscontra nella scrittura dei testi, rappresentati in scena, suscita delle riflessioni; ove sia possibile rintracciarne le cause, come se l’indagine possa derivare da una sorta di metodo psicoanalitico virato verso linguaggi prettamente artistici.  Necessità di dare un senso alle tante contraddizioni della vita in cui la parola felicità appare sempre più evanescente.

crediti foto di Andrea Avezzù

Carolina Balucani affronta tematiche dove i traumi subiti non si riescono a superare. Parla della condizione di una donna che deve fare i conti con la figura paterna che incombe nei suoi incubi notturni, residui di violenza subita da parte dell’uomo che per un effetto di moltiplicazione si riversa nelle altre presenze in scena: in totale sono in quattro: Vincenzo Crea, Andrea Palma, Dajana Roncione, Maria Roveran, diventando storie simili tra loro e con l’intento di riviverle e superarle. Il trauma se rielaborato può essere vinto ed esorcizzato. Traumi diversi come lo sono le tante esperienze negative che la vita può riservare a chiunque. Visivamente la messa in scena realizzata da Fabrizio Arcuri e Rosita Vallefuoco è un piccolo capolavoro scenografico e illuministico corredato ed amplificato dal commento sonoro di Giulio Ragno Favero, dove ci si immerge in visioni oniriche e suggestive, quasi a fare da contraltare a quel mondo di sofferenze che si palesano dalle testimonianze vissute dai protagonisti. Anche in questo caso il testo soffre di un eccessivo carico verbale che le attrici e gli attori si devono fare carico in cui ci si perde e si fatica a trovare una sua completezza narrativaù

crediti foto di Andrea Avezzù

BACK TO BACK THEATRE FOOD COURT

Leone d’Oro alla carriera

Uno spettacolo di  Mark Deans, Bruce Gladwin, Rita Halabarec, Nicki Holland, Sarah Mainwaring, Scott Price. Regia, scene di      Bruce Gladwin. Interpreti: Sarah Goninon, Simon Laherty, Sarah Mainwaring, Scott Price, Tamika Simpson Musica: The Necks Chris Abrahams (piano), Lloyd Swanton (basso), Tony Buck (batteria). Scene di Mark Cuthbertson

Crediti foto di Andrea Avezzù – Back to Back Theatre – Food Court-

Leone d’Oro alla carriera, la Compagnia australiana Back to Back si è esibita a Venezia con lo spettacolo Food Court (2008) toccando una tematica assai sensibile quanto attuale in una società che appare sempre più priva degli anticorpi per contrastare forme di discriminazione nei confronti di qualunque condizione di disabilità e diversità di colore, etnia e provenienza, identità di genere.  Forme di supremazia nei confronti dei più deboli e fragili avvengono sempre più frequentemente con l’intento di annientare ogni sforzo di inclusione sociale. L’ensemble di attori e attrici che si identificano come persone neuroatipiche o con disabilità cognitive dimostrano come sia possibile dare vita a processi di integrazione, favoriti da progetti culturali come quello del teatro. Ne abbiamo fulgido esempio in Italia con la compagnia Teatro La Ribalta diretta da Antonio Viganò a Bolzano e il Collettivo Clochart di Mori guidata da Michele Comite.  I corpi sul palcoscenico del Teatro Piccolo Arsenale di Venezia svelano la loro disabilità nella naturalezza che contraddistingue l’accettazione di chi ha ricevuto una formazione psicopedagogica finalizzata a esibirsi in pubblico.

crediti foto di Andrea Avezzù – Back to Back Theatre – Food Court-

Lo spettatore viene sollecitato dall’esibizione della loro corporeità statica e dal linguaggio imperfetto e stentoreo, la cui forza è dirompente e acuita dalla violenza dei dialoghi e delle parole pronunciate come armi contundenti scagliate verso la deformità, il sovrappeso, l’oltraggio e l’insulto: caratteristiche appartenenti comunemente a chi si vanta di essere superiore agli altri, nel giudicare l’altrui condizione. Parole irripetibili che risuonano sulla scena e tradotte simultaneamente, lanciate da due delle attrici verso una terza immobilizzata da chi si assurge giudice senza contraddittorio. La finalità di denuncia al fine di sensibilizzare traspare dal coraggio di questa compagnia, giustamente premiata e valorizzata dalla cerimonia di consegna avvenuta a Ca’ Giustinian da parte tutti i componenti in cui traspariva la felicità e l’orgoglio di sentirsi accolti con il meritato tributo.

leggi anche MEDEA’S CHILDREN recensione di Caterina Barone

Visti alla Biennale Teatro di Venezia il 28 – 30 giugno 2024

Share
Tags

Comments are closed.