MILANO – Va in scena fino al 28 gennaio 2018 a Milano, a Pacta dei Teatri Salone di via Dini, “ScienzaInScena Atto 1!”, il primo festival teatrale milanese a tema scientifico. Non è nuova, Pacta, a questo genere di iniziative. Dal 2002, complice la direzione artistica di Maria Eugenia D’Aquino, attrice, regista e agitatrice culturale, come lei stessa ama definirsi in riferimento al suo lavoro di progettazione e formazione, ha saputo intercettare nuovi pubblici nell’intento di portare il teatro fuori dai luoghi comuni. Così, accanto a “Donneteatrodiritti” – l’altro filone d’oro -, si sono inventati “Teatro in Matematica”, coinvolgendo autorevoli studiosi e scienziati, ma anche musicisti e artisti, a dimostrazione che la matematica ha implicazioni molto più innervate nella complessità del reale di quanto normalmente non ci si fermi a pensare. Li chiedono di reagire direttamente con drammaturghi, registi, attori, ma poi anche col pubblico – quello delle scuole e delle università, anzi tutto, ma non solo. Ma cosa c’entrano arte e scienza, teatro e matematica, performance e astrofisica? Apparentemente poco o nulla. Così incuriosisce davvero capire che forma possano aver dato a questo primo festival.
Inaugurato con la lezione-spettacolo “Giza, il sole e le altre stelle” – di e con l’archeoastronomo Giulio Magli, letture a cura della stessa D’Aquino -, fino a domenica resterà in scena “Noi, robot” di Teatro Arditodesio, per proseguire, con “Conversazioni. Incontro con Maria Gaetana Agnesi”, celeberrima matematica, filosofa, divulgatrice e benefattrice milanese settecentesca; figura forse non molto conosciuta, ma incarnazione di quel secolo dei Lumi, in cui si trovò a operare, complice anche l’illuminato governo di Maria Teresa D’Austria. Ancora in risonanza all’attenzione vocazionale di Pacta anche per la questione donna, “Corpi impuri”, per secoli scabrosa – e fonte dei più strampalati pregiudizi – problematica del ciclo femminile; per concludere, il 27 e 28 gennaio, con “Starlight” ovvero la storia dell’astrofisica attraverso il racconto della vita di alcuni scienziati del diciannovesimo secolo. Degno di menzione è il fatto che non si tratta solo di spettacoli liberamente ispirati a…; quanto un supporto in ciascuno di essi di un comitato scientifico, capace di coinvolgere università, dipartimenti, fondazioni e prestigiosi scienziati delle discipline interessate; oltre a incontri di approfondimento col pubblico e worskshop mirati.
Lo anticipa fino al 20 gennaio, “Noi, robot” di e con Andrea Brunello (anche in scena con Laura Anzani). Una Prima assoluta, in cui, la suggestione, fra le altre, è “L’uomo bicentenario” di Isaac Asimov, lavoro supportato, per la parte scientifica, dal Laboratorio delle Scienze Fisiche del Dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi di Trento, che si sofferma sulla questione dell’intelligenza artificiale, sulle sue potenzialità tecnologiche e sui limiti etici e deontologici. Anche qui la forma è quella della lezione-spettacolo, ma siamo nel doppio salto carpiato, per cui questa lezione è all’interno di una finzione teatrale, che ha deciso di ammantare così il desiderio di fare scienza e filosofia – e divulgazione e, in qualche misura, indurre a una riflessione. Quindi filmati ipertecnologici dalla stupefacenza tecnicolor e voci asettiche e meccaniche è quel che apre questo spettacolo dalla forma di convegno, dove, non a caso, le luci di sala restano ancora accese, almeno in quella primissima fase, e il pubblico è accompagnato per mano nel ruolo degli astanti dall’intelligenza superiore alla media e perciò adeguata platea con cui condividere i risultati di questa formidabile ricerca ai confini della scienza.
Entra in scena prima lei, la ricercatrice – bella, competente, disinvolta e sicura di sé -, a introdurre alcune teorie basilari, spiegare al pubblico il motivo di questo consesso e, soprattutto, accogliere il Professor Hariri Barani, espositore della teoria. Ma, ripetiamolo, non è una lezione-spettacolo, questa, bensì solo una pièce, che la simula, giocando, in filigrana alla partitura drammaturgica, un complicato funambolismo. Da una parte ci sono le teorie – già lo si diceva: certificate e supportate da un comitato scientifico di prim’ordine , dall’altra il medium teatrale col suo linguaggio e le sue regole, che spesso vanno poco d’accordo con quella freddezza asettica e quantificabile, che siamo abituati ad associare alla scienza. L’atmosfera è davvero quella del convegno internazionale o di come ci figuriamo possa essere: cordiale, sì, ma assolutamente formale, cerimonioso quanta basta, pur senza rinunciare a una composta ma chirurgica escussione delle tesi e del contraddittorio. Emotivamente asettico. Così è facile pensare avvenga in ambito scientifico, anche se poi le biografie ci raccontano che le passioni più brucianti e le vocazioni più totalizzanti spesso si sono consumate proprio in questi ambiti.
A poco a poco poi le carte si mischiano e mentre si racconta in particolare di Andrew, l’uomo bicentenario, dal rigore della scienza si scivola in quella contiguità fatta di ininterrotte ore condivise, gomito a gomito, in laboratorio, che spesso sfociano, com’è inevitabile, in rapporti decisamente meno professionali e distaccati. Ma non è tanto questo, quel che interessa – per il gossip sarebbe bastato accendere la televisione e sintonizzarla su una qualsiasi puntata di un’interminabile “Grace Anatomy”… Interessante, invece, è l’escussione di tesi pro e contro – come in un dialogo di socratica memoria -, lo sciorinare teorie – servite al pubblico con la rasserenante nonchalance di chi semplicemente ripercorre i passi di un terreno suppostamente condiviso ad arte – e l’accendere, in fondo, lampi di riflessione rispetto a tematiche, che sono pane quotidiano solo di filosofi, scienziati e di chi giornalmente si trova a dover fare i conti con i massimi sistemi – cosa che, ai più, normalmente capita solo in certi passaggi cruciali dell’esistenza.
Ecco qual è il senso di progetti del genere: avvicinare, incuriosire, solleticare. Forse alcuni saranno già cultori di questo o di quello – una signora del pubblico, nel momento di confronto post spettacolo, premessa la sua ignoranza in materia, ha invece poi citato letture certo non da persona digiuna –, ma “Se non è vero che siamo dotati di libero arbitrio – così concluderà il Professor Barani dopo le sue rivelazioni sui topi robot e non solo -, (in fondo) nessuno ci manipola se non noi” E il teatro, ancora una volta, pare che abbia trovato il modo di ricordarcelo, facendo proprio il platonico: “ὁ δὲ ἀνεξέταστος βίος οὐ βιωτὸς ἀνθρώπῳ” – “la vita non esaminata (è) nessuna vita (per a) uomo”, cioè “la vita non esaminata non vale la pena di esser vissuta”.
Vist0 a Pacta dei Teatri di Milano il 18 gennaio 2018