MILANO – Si sa, in un certo immaginario, Milano dice nebbia. Un tempo la chiamavano scighèra, anche se in pochissimi, oggi, ricordano questo fonema. Oggi è una città, che si sta vertiginosamente trasformando in una megalopoli multi etnica e multi culturale; inevitabile ricaduta ne è la damnatio memoriae del suo dialetto. Sarà colpa degli inverni più miti o della persistenza degli anticicloni, sta di fatto che, a Milano, di nebbia ne è rimasta davvero poca. Eppure mezzo secolo fa questo fenomeno era talmente tipico, da dire di questa citta: “la nebbiosa”. Così non solo in un suo film del 1956 uno stralunato Totò, sbarcava, estranea e respingente quanto il più glaciale dei Paesi mitteleuropei, facendole il verso: “Quando c’è la nebbia, non si vede!”, ma lo stesso Pier Paolo Pasolini, scrisse una sceneggiatura per un film sulla Milano dei Teddy Boy, lasciandosi suggestionare, fin dal titolo, dalla lattiginosa atmosfera di certe sue giornate invernali. Già, perché è nella notte di San Silvestro, che è ambientata questa carrellata di bravate, attraverso cui il drammaturgo di origini friulane si accingeva a raccontare la gioventù bruciata meneghina, dopo aver zoommato su quei ragazzi di vita, in una Roma che sembrava essersela dimenticata del tutto, la sua dolce vita. E se anche il materiale raccolto non avrebbe mai dato origine, a una pellicola cinematografica firmata dallo stesso Pasolini, la sceneggiatura è quella su cui il regista Paolo Trotti e l’attore Stefano Annoni, hanno deciso di lavorare, divenuto uno spettacolo teatrale in scena al Teatro Franco Parenti dall’8 al 19 febbraio.
La trama non ha nulla di eccezionale ma risulta interessante la partitura: mentre sciorina la litania di bravate di quella gioventù bruciata, senza idoli, né ideali, disegna l’identikit di una generazione già figlia dell’ennui sartriana e di un dio, che è troppo morto per poter più fungere da spauracchio etico o quanto meno normativo. Non importa se si tratti di dar fuoco a una barbona, infierire sull’ invertito o rivoltato, che dir si voglia, trafugare gli ex-voto di una Madonna o approcciare le ragazze di buona famiglia col solo gusto di spaventarle o mostrarne, in alternativa, la loro non dissimile natura promiscua. Quel che conta è di trovare un divertissemnet capace di riempire quell’horror vacui, che è l’esistenza, specie in una notte come quella di Capodanno. Ma senza riuscire ad andare fino in fondo però! Perché, di fatto, loro non sono né carne, né pesce. Fratellini minori della vera mala, sono capaci soltanto di accontentarsi di gesta genericamente emulative e di reati minori, giusto per provare il brivido di un’emozione capace di farli sentire vivi.
Drammaturgicamente, ciò viene tradotto anzitutto, scegliendo un punto di vista privilegiato è l’io narrante, il fratellino di dieci anni di uno dei ragazzotti oramai divenuto adulto, ricorda. Con occhi pieni di fanciullesca ammirazione e spirito emulativo, nonostante le vessazioni a cui lo sottoponeva il branco per il solo fatto di essere il piscinìn, rievoca gli eventi di quella notte che avrebbe cambiato per sempre la sua vita, inchiodandolo. In scena, una forma ibrida di monologo, in cui lo stesso eclettico Stefano Annoni interpreta i diversi personaggi, sostenuto dalla presenza dialogante di Diego Paul Galtieri, ora in veste di coprotagonista, ora, in modo più efficace, di batterista/spalla. E’ una cifra registica quanto mai felice, in quanto in grado di restituirci il ritmo frenetico e battente del cuore matto, tipici dei cantanti urlatori di quegli anni, sporcato dalle atmosfere e dalla parlata milanese (chiamarlo dialetto, sarebbe troppo). Ma se i vari Celentano, Iannacci e Gaber, che pure quella mala e quegli spaccati di Milano hanno cantato, non sprofondavano fino ad un inferno color “Arancia meccanica”, qui la partitura testuale si tinge di una smania spasmodica e disperatissima (per dirla alla Leopardi) e di una voracità di vita degne di James Dean. Eppure, nonostante costumi perfettamente in linea e una mimica altrettanto impeccabile, la messa in scena resta inventiva, sì, e certo apprezzabile, ma garbata. Così il dialetto sfuma in uno sleng dalla cadenza più probabile, che esatta, le scene più violente edulcorate in azioni sceniche, che censurano il contatto fisico, scomponendo i gesti e i momenti emotivamente più impattanti, disturbanti e scorrect sublimati in un teatro d’ombre tanto preciso ed essenziale, quanto, però, forse un po’ troppo svaporato nel garbo dell’allusione. Come se, volendo raccontare di una mattanza, si fosse poi presi da un certo riserbo nel voler mostrare lo scorrere del sangue; come se quelle mimesi destrutturate, interrompendo il contatto fra i due scazzottanti, in qualche modo congelasse anche il trasfert proiettivo ed empatico dello spettatore.
Visto al Teatro Franco Parenti l’11 febbraio 2017
Podcast della puntata di sabato 11 febbraio , programma PIAZZA VERDI di Elio Sabella, regia di Lilli Minutello, in studio Oliviero Ponte di Pino
“La nebbiosa” di Pasolini . Ospiti: Paolo Trotta, Stefano Annoni, Diego Paul Galtieri
http://www.radio3.rai.it/dl/portaleRadio/media/ContentItem-51fdebe5-9f17-4879-9d72-49a8acdb6d38.html
La nebbia, una città avvolta da un cortina bianco grigia dove tutto si cela nascosto e impenetrabile. Milano. Suggestioni capaci di suscitare interesse anche in Pier Paolo Pasolini che ne scrisse una sceneggiatura per il cinema, attratto non tanto dal fenomeno meteorologico e naturale, quanto per quello che palpitava e covava negli anfratti urbani notturni. Nulla di edificante, anzi. Rimase inedita a lungo. Lo sguardo curioso, indagatore del regista si era concentrato sui “teddy boys” meneghini. Ad anticipare quella che è diventata una versione drammaturgica teatrale, sono stati il regista Paolo Trotti e l’attore Stefano Annoni, in occasione dei dieci anni di attività dello Spazio Gloria di Como, lo scorso mese di gennaio; evento pubblicato sul sito www.bibazz.it (“uno spazio web aperto, un luogo di incontro e di comunicazione, pensato innanzitutto per i giovani, ma rivolto a tutti”) – e succesivamente rievocato nella trasmissione radiofonica “Piazza Verdi”, in diretta su Radio 3 dagli studi Rai di Corso Sempione, ospiti del conduttore Oliviero Ponte di Pino (un programma di Elio Sabella, la regia di Lilli Minutello), insieme a Diego Paul Galtieri, musicista e coprotagonista dello spettacolo “La nebbiosa”, in scena fino a domenica 19 febbraio al Teatro Franco Parenti di Milano.
Al microfono radiofonico è stato raccontato di questo progetto cinematografico mai giunto alla sua realizzazione, e cosa ancora più curiosa – come hanno spiegato – regista e protagonista – il film realizzato successivamente nel 1963 dal titolo “Milano nera”, per la regia di Gian Rocco e Pino Serpi non utilizzò la sua scrittura originale, pur citando il nome dello stesso Pasolini, il quale si dissociò per non riconoscersi in quanto poi girato. La versione originaria è stata recuperata grazie alla redazione di Filmcritica e Il Saggiatore a metà negli anni Novanta l’ha pubblicata integrale. Ma chi erano questi “teddy boys” figli di Milano noir e truculenta ? Giovanotti che appartenevano alla classe borghese viziati, quasi adolescenti nati in una metropoli frenetica, frequentatori abituali degli ambienti più sordidi e squallidi delle periferie, popolate da uomini alcolizzati e da prostitute.
Il regista non era nuovo a questo argomento, ai confini di una legalità compromessa da comportamenti anti sociali se non delinquenziali, già nel 1961 la sua prolifica immaginazione creativa e cinematografica aveva collaborato con Elio Petri e Tommaso Chiaretti per le riprese del film “Le notti dei teddy boys” di Leopoldo Savona. Non si era ancora spento l’eco per aver pubblicato “Ragazzi di vita”, suscitando polemiche sulla sua cruda indagine che descrive il mondo delle borgate e i quartieri periferici di Roma. Edito da Garzanti nel 1955 , lo scrittore viene accusato di aver scritto un romanzo “osceno e pornografico”, trattando anche il tema della prostituzione maschile minorile.
In radio Rai a Milano, sabato 12 febbraio scorso, Stefano Annoni ha interpretato alcuni estratti dal testo teatrale, dimostrando di possedere abili doti di attore (anche) radiofonico, misurandosi con un luogo dove in assenza di pubblico presente, la recitazione che viene richiesta deve essere calibrata con efficacia al fine di passare dal microfono per entrare nelle case dei radioascoltatori. Insieme a Diego Paul Galtieri, “La nebbiosa” si è palesata per alcuni minuti dando l’impressione che le parole di Pasolini posseggono ancora intatte la loro carica espressiva emotiva dirompente. Il critico cinematografico Fabrizio Fogliato a proposito del film “maledetto”, scrive: «Il poeta sostiene, in sintesi, che sono i figli di “Un paternalismo sciocco e di una presunzione pedagogica” e che le responsabilità sono quelle di padri assenti e accecati dal benessere e dal carrierismo. La risposta dei figli, ovviamente, non può essere né ordinata né critica, ma solo anarchica e brutale come sfogo all’insofferenza e all’incattivimento di una società che non cerca neanche di capirli ma che li etichetta come reazionari e crudeli e in netto contrasto con la morale vigente.»
Su www.bibazz.it il regista Paolo Trotti spiega la sua idea alla base della scelta drammaturgica e registica: «Una città. Milano. Strade e paesi galleggiano nella nebbia. Moltitudini di goccioline inspessiscono l’aria. Moltitudini di personaggi la abitano e nella nebbia sguazzano. Come i Ragazzi di vita, i Teddy Boy di Pasolini, cercano di sopravvivere. Galleggiando. Non sono ancora la mala, ma i suoi figli più piccoli, bande di ragazzi che vedono nei jeans e nei giubbotti di pelle un atto di rivolta. Pasolini, non giudica, si limita a guardare, a cucire una storia addosso ai giovani protagonisti. I Teddy Boy rubano, picchiano, amano, inseguono una “bella vita” che non arriverà mai, frequentano i night club. E proprio dal night parte lo spettacolo.»
Il presente è forse cambiato rispetto al passato? Milano non è più forse quella raccontata da Pasolini e dal film che esce esce nel mese di settembre del 1963, in un solo cinema milanese e verrà proiettato soltanto per cinque giorni. Secondo Stefano Annoni «I grattacieli crescono ancora, di più e non si chiamano Pirelli e Galfa, ma Bosco Verticale e Unicredit. Milano è cambiata, ma quanto in fondo? È cambiata la lingua, la musica, non ci sono più i Teddy Boy o forse le bande hanno solo cambiato nome e modo di vestire. Il punto fondamentale è capire se la speranza di allora, che sembra essersi persa, era reale o solo disperata illusione. Oggi che la Nebbia in città fatica a entrare, galleggiamo ancora?» Fabrizio Fogliato di questa storia, grazie anche agli autori della messa in scena teatraleche ha permesso di farcela ricordare, ha pubblicato il volume Italia Ultimo Atto, “quasi un romanzo del cinema italiano nascosto”.