RUMOR(S)CENA – ATTRICI – ATTORI UNITI – Ripartenza: ricominciare facendo bagaglio dell’esperienza passata. Questa parola è molto utilizzata, soprattutto in riferimento a quei settori che, più di altri, stanno subendo gli effetti della pandemia. Per quanto riguarda il mondo dello spettacolo e della cultura, però, il significato di questo termine, non è stato, fino ad oggi, supportato dagli intenti e dai fatti sulla scorta dei dati.
Poche settimane fa, dopo un incontro del Ministro Franceschini col CTS, si era paventata la riapertura dei luoghi di pubblico spettacolo per il 27 marzo. Le modalità di questa ostentata riapertura ci sono parse in tutto e per tutto simili a quelle della già denunciata “falsa ripartenza” del 15 giugno 2020, che permise un precario ritorno all’occupazione solo al 20% delle lavoratrici e dei lavoratori del settore. Se gli errori dell’estate scorsa sono stati in parte giustificati, con la ripresa dell’emergenza, dall’impossibilità di gestire l’imprevisto, quelli a cui stiamo andando incontro, non potranno sicuramente essere liquidati con le stesse motivazioni.
Ci chiediamo: che cosa è stato fatto in questi nove mesi, se agli sbagli precedentementi commessi non è stata trovata (o cercata) una valida alternativa e cosa si farà nell’immediato dato che le lavoratrici e i lavoratori del settore, obbligati all’inattività, non ricevono sostegni da dicembre 2020 e nulla è stato fatto per rimediare laddove la complessità dei contratti e il riferimento a diverse casse fiscali non ha permesso a diverse migliaia di aventi diritto di accedere ad alcun bonus?
E ancora: che senso ha avuto raccogliere, su richiesta del MiC, decine di documenti e proposte di protocolli da parte di novanta realtà del settore, sedute ai tavoli permanenti, se nessuna delle proposte inviate, nemmeno le più condivise, è stata presa in considerazione? Questo si evince chiaramente anche dalla recente proposta dei senatori della VII Commissione, definita “Statuto delle Arti”, che, invece di proporre strumenti concreti per una riforma dello Spettacolo, si limita, ancora una volta, a interrogarsi sulla figura dell’artista, facendo riferimento alla disposizione europea del 2007, già più volte affrontata da A2U e altre realtà ad inizio pandemia, ma come punto di partenza, non di arrivo dei suddetti documenti.
Parlando dell’ Osservatorio nazionale, già previsto dal CCNL del 2018, la cui attivazione è stata richiesta da sindacati, associazioni e gruppi di rappresentanza delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo, perché non utilizzare questo anno “sospeso” per renderlo operativo, dato che tale organo, affiancato dagli osservatori regionali, potrebbe attivarsi in una mappatura delle realtà presenti nei territori? Sarebbe efficace per progettare una riapertura progressiva, con prove di passi prestabiliti fino alla completa ripartenza di tutto il settore, da rivedere e correggere grazie ad un monitoraggio serrato dal punto di vista sanitario ed economico. Su tale punto è necessaria, da parte del ministero, una presa di posizione decisa e, a seguire, un intervento immediato.
Come si può, quindi, definire “ripartenza” la riapertura esclusiva dei grandi teatri percettori dei fondi pubblici senza prevedere per le medie e piccole imprese, che rappresentano il 70% del settore, sostegni economici necessari alla messa in atto dei protocolli sanitari, sostegni alla produzione e alla circuitazione attraverso facilitazioni per l’utilizzo degli spazi pubblici? Sarebbe una necessaria dichiarazione di buoni intenti verso il settore se i teatri nazionali (che hanno percepito il FUS in questo anno bianco) ospitassero nella propria programmazione le produzioni delle realtà più fragili del proprio territorio e altrettanto necessario sarebbe pensare di riaprire e ristorare i piccoli spazi trasformandoli almeno in residenze artistiche.
Senza la messa in atto di misure a geyser, che partono cioè dal sostegno delle basi, anche l’apice del sistema, sempre più in balìa di giochi politici e interessi personali, presto franerà e assisteremo a un inasprimento e ulteriore diffusione di cattive pratiche di scambio e di abbassamento dei costi a scapito della circuitazione degli spettacoli e del rispetto del lavoro.
In questo ambito lamentiamo anche la totale assenza di proposito nella riformulazione di una normativa chiara ed esplicita che riguarda lo streaming, sia esso riprodotto su non meglio identificate piattaforme o, ufficialmente, sulla cosiddetta Netflix della cultura. Tale riformulazione dovrà necessariamente avvenire anche in vista dell’imminente entrata in vigore (giugno 2021) della Direttiva Europea Copyright (sul diritto d’autore e diritti connessi) e non potrà accadere sulla base di trattative private e personali della singola impresa col singolo lavoratore e ITsART.
Ci sembra, in conclusione, che il bagaglio sia colpevolmente smarrito. Lo scopo dei vertici politici e del Ministero della Cultura rimane, ad oggi, quello di dare una percezione di sostegno e di riapertura, malcelando la reale non volontà di ascolto del settore e l’inconcretezza. Prova ne è la nascita di tanti, troppi tavoli di discussione paralleli, sia in ambito politico che di associazionismo: in questo momento storico, a un anno dall’inizio della pandemia, anziché una ricchezza, questa ci sembra ormai una frammentazione che porta ad una dispersione di energie. Sentiamo l’esigenza di “tirare le fila” e sintetizzare le proposte per renderle concrete, convinti che questo finto procedere per ripetizioni sia, da parte delle istituzioni, una scelta consapevole.