RUMOR(S)CENA – GENOVA – L’invenzione, o meglio la formulazione brechtiana di “Teatro Epico” si basa fondamentalmente sull’idea che la rappresentazione teatrale possa costituire un ‘modello’ attraverso il quale la realtà viene svelata (nella sua struttura intesa marxianamente, ma non solo) e soprattutto grazie al quale sulla stessa realtà si possa intervenire per modificarla. Una idea che già Edoardo Sanguineti aveva rivisitato nella sua concezione alchemica di parola drammaturgica (cioè esposta in scena). Da una tale formulazione conseguirebbe che ogni messa in scena è una sorta di imitazione di quel modello inizialmente concepito, ma una imitazione che per essere efficace deve contenere in sé dissonanze creative che le consentano, per così di dire, di adattarsi e meglio aderire al flusso della storia nella interpretazione di chi questa messa in scena compie.
Dal regista dunque all’attore, la cui recitazione ‘alienata’ peraltro non comporta la cancellazione della emotività e dei sentimenti individuali ma bensì una visione non ‘suddita’ ad essi, i quali attore e regista devono saper rinnovare un rapporto con lo spettatore che non è semplicemente didattico ma è educativo in quanto stimola una opinione, una inevitabile presa di posizione, un dovuto ‘giudizio’, ma non li impone. Madre Courage e i suoi figli è la drammaturgia di Bertolt Brecht che più di ogni altra è portata ad esempio di questa idea di Teatro Epico, così che la messa in scena prodotta dal Teatro Nazionale di Genova, per la regia della giovane Elena Gigliotti e nella traduzione forse un po’ ‘piatta’ di Saverio Vertone, non può che portare con sé sia l’immagine del modello che le diverse interpretazioni, nella sua lunga storia scenica, hanno trascinato dentro quello stesso modello, spesso creativamente spostandone le coordinate estetiche. Un compito stimolante ma anche impegnativo per un progetto altrettanto impegnativo, che mostra elementi di positività ed efficacia drammaturgica e scenica, ma anche alcuni elementi di incompletezza e non esauriente coerenza che ne appesantiscono, talvolta, una più fluida e partecipata percezione.
Innanzitutto è stato assai positivo il ritornare a Bertolt Brecht e a una delle sue opere più note e più efficaci ‘politicamente’, e per questo spesso oggetto di controverse ricadute critiche, ed è stato ancor più positivo affidare questo compito ad una regista giovane e donna, quasi a consegnare quel complesso sguardo sugli ma in particolare dagli ‘ultimi’, che il testo contiene, a chi socialmente ne può più profondamente riconoscere le ferite. Poi ricordare la Guerra, che sembra inevitabilmente occupare molto spazio oggi nei teatri non solo italiani, e mostrarcela non attraverso le fredde, e spesso istituzionalmente cauterizzanti, immagini di un reportage televisivo ma nella trasfigurazione estetica che, come detto, ne mostra quelle strutture profonde capaci di generare il consenso anche di chi quelle guerre subisce e dunque dovrebbe ribellarsi, è scelta in particolare assai meritevole.
Nel complesso la messa in scena risponde in maniera soddisfacente a quegli imput e assolve con sufficienza il suo ruolo ‘epico’, senza nascondere quell’aspetto ‘tragico’ che in Brecht era per così dire ‘subordinato’ , cogliendo talora l’ironia che la Storia e questa storia porta con sé e dentro di sé, forse per sopravvivere. Pecca però in certi passaggi della volontà di far precipitare ‘tutto’ dentro il modello che assume, nel senso che eccede forse, senza scegliere e magari sottolineare, nel voler troppo significare dell’oggi, nelle sue innumerevoli sfaccettature sociali, psicologiche, storiche e politiche non sempre limpide, dentro quella narrazione così da perdere in compattezza significativa e da rischiare di abbandonare il filo di un giudizio che così si fa un po’ sfilacciato e diluito, mentre la narrazione non sempre riesce per questo ad evitare qualche secca di un po’ di noia.
Un rischio cui tenta di rispondere con una recitazione a volte sopra le righe, in parte gridata più del necessario, non del tutto padroneggiando l’eterogeneità dei molti elementi linguistici e sintattici utilizzati (dal comico al tragico, dal cabaret televisivo al docu-film e alla fiction), elementi che si confondono nell’uso ripetuto e contraddittorio del multietnismo e multiregionalismo degli accenti, così da risultare in certi passaggi, tra scena, controscena e platea, non sempre convincente. Di effetto invece, al riguardo, il recupero da parte della protagonista, a esempio di interpretazione esteticamente creativa del ‘modello’ di cui parla lo stesso autore, di una invenzione drammatica di Helene Weigel nelle prime messa in scena per la regia del marito Bertolt Brecht, cioè il riconteggio da parte di Madre Courage del denaro da lasciare ai contadini per i funerali della figlia, per trattenersene un po’ nel più puro esempio di gramsciana egemonia sociale dello spirito del Capitale anche in chi capitalista non è.
Del resto la ormai consolidata natura di modello di Madre Courage e i suoi figli, non poteva non rispecchiarsi nella messa in scena, che accoglie in una scenografia naturalistica gli spiazzanti elementi della più prossima modernità, contrasto questo ben riproposto anche nei costumi e nelle musiche, e sulla quale sembrava di veder scorrere le immagini dei famosi suoi precedenti (dalla messa in scena di Luigi Squarzina con Lina Volonghi a quella di Marco Sciaccaluga con Mariangela Melato, per restare a Genova). Dunque, al di là dei suoi parziali limiti, una produzione comunque rimarchevole per uno spettacolo che merita quanto meno di essere ‘ascoltato’.
Al teatro Gustavo Modena di Genova Sampierdarena, una produzione del Teatro Nazionale di Genova dal 9 al 21 maggio. Gli applausi sono apparsi convinti.
MADRE COURAGE E I SUOI FIGLI di Bertolt Brecht, traduzione Saverio Vertone, musiche Paul Dessau, regia Elena Gigliotti, con Simonetta Guarino e in ordine alfabetico Sebastiano Bronzato, Didì Garbaccio Bogin, Aleksandros Memetaj, Andrea Nicolini, Aldo Ottobrino, Matteo Palazzo, Sarah Pesca, Alfonso Postiglione, Esela Pysqyli, Ivan Zerbinati, scene e costumi Carlo De Marino, coreografie Claudia Monti, musiche originali e adattamenti da Paul Dessau Matteo Domenichelli, luci Davide Riccardi, video Daniele Salaris, regista assistente Dario Aita, produzione Teatro Nazionale di Genova.
.
.