RUMOR(S)CENA – CASTROVILLARI – “Primavera dei teatri” a Castrovillari è, si sa bene, il primo in ordine di tempo tra i festival italiani. Quest’anno, per la seconda volta nella sua ventennale storia, è stato spostato di qualche mese. La prima volta fu necessario per delibere lente e difficoltà di economie, eroicamente superate dal gruppo di artisti che lo organizza: Saverio La Ruina, Dario De Luca e Settimio Pisano. Il coronavirus con le sue conseguenze drammatiche ha imposto quest’anno un nuovo spostamento temporale. Eccoci quindi a fare i conti con l’autunno imminente e qualche pioggia che impedisce un incontro o uno spettacolo. Ma il festival va, con il suo coinvolgente entusiasmo, il calendario fitto di tioli e proposte, il ritrovarsi come per una festa tra amici in questa piccola città del Sud. Accogliente sempre e quest’anno coinvolta nello stupore, ammirato e sorpreso, delle cinque installazioni che Giancarlo Cauteruccio ha immaginato per il Teatro Studio Krypton e distribuito nella città. Luoghi di luce e fantasia per possibili architetture improvvise e mutevoli, “Alla luce dei fatti. Fatti di luce” è “opera di teatro/architettura in cinque atti simultanei” che propone visioni e rappresentazioni di spettacolo “altro”. La città risponde e partecipa così “oltre” il lavoro degli attori in scena per due o tre spettacoli al giorno, magari c’è chi in teatro ancora non entra, ma che si offre volentieri al gran gioco delle linee e delle forme di Krypton, a fa dell’appuntamento “primaverautunnale” occasione per alzare la temperatura di partecipazione. Fa Festival, come dovrebbe sempre accadere. Tra nomi “nobilissimi” di gruppi e drammaturghi, attori e registi che della “Primavera” di Castrovillari sono fedeli frequentatori, e nuove presenze curiose, a proporre i loro linguaggi imperfetti e magari anche arditi. C’è spazio, nelle scelte di La Ruina e De Luca, per differenze e proposte in contrasto. Non c’è, con tutta evidenza, richiesta di perfezione finita, meglio spettacoli “in debutto” che si misurano con il pubblico per poter lavorare ancora ai propri prodotti da portare poi in giro nei circuiti nazionali. Sperando che tutto ritorni “normale” in teatro.
Ed è questa insicurezza che aleggia nei discorsi e nel dirsi di progetti futuri che fa quest’anno nobilissimo ed eroico questo appuntamento. C’è bisogno di confronto e di verifiche che solo il palcoscenico ed il pubblico possono consentire a chi di teatro si alimenta e alimenta. Così proprio quest’anno gli spettacoli di “Primavera dei Teatri” si caricano di altri segni, dichiarate speranze, prospettive ed attese in un discorrere interno ed esterno ad uno dei settori di maggiore difficoltà di questi mesi, e molte volte sono specchio di ansie e di riflessioni comuni, sviluppate in misure e poetiche tanto differenti da fare di questo appuntamento una importante vetrina, o una piccola preziosa scuola del fare teatro “in tempo di pandemia” che si spinge oltre la necessità di individuare e sviluppare gruppi tematici all’interno dei percorsi delle rappresentazioni. Qualcuno infatti riporta temi e dimensione privata o sociale dell’ansia quotidiana, facendone poetica e tecnica corrispondente e magari sorridente. Lo hanno fatto per esempio Martina De Santis, Francesca Gemma, Francesco Meola, Dario Merlini e Umberto Terruso, gli attori della Compagnia Oyes nel loro “Vivere è un’altra cosa” affidandosi alla regia di Francesco Cordella, in drammaturgia costruita con parole pronunciate da tanti e situazioni condivise, o ascoltate, forse origliate, rubate e riproposte cercando di trasformare una malinconia esistenziale nell’ironia di un gruppo frantumato dal lockdown. Ispirandosi, dicono, ma con tutta evidenza molto alla lontana, ad oblomoviani tessuti ed atmosfere di domestica prigionia. Mentre invece la dimensione privata si dilata in tenerezza di ricordo e malinconia di memorie nell’emozione dichiarata e visibile di Maurizio Rippa, protagonista, insieme ad Amedeo Monda che l’accompagna con la chitarra, del suo “Piccoli funerali”. Si arriva a sorpresa nel bellissimo chiostro di San Bernardino a Morano, ai piedi di un paese-presepio, per uno spettacolo costruito in canzoni e versi di lontananze e presenze, memorie familiari e rammarico dei sentimenti, come un dichiarato “Spoon river” più ravvicinato e intimo. Rippa dice versi come fossero confidenze e raccomandazioni ultime, e canta come per un saluto canzoni come “Alfonsina y el mar” e “Casa sulitaria”, “Danny boy”, “Cucurucucù Paloma” e tanto altro conquistando in minimali emozioni trascinanti il pubblico che così non avverte più il freddo del proprio autunno che si avvicina. Una bella scoperta.
Mentre è conferma e divertimento “Spezzato è il cuore della bellezza” che la Piccola Compagnia Dammacco ci porta in “prima” a Castrovillari, con Serena Balivo come sempre grottesca e strepitosa nel suo procedere a rotta di collo nella vendicativa rivendicazione d’innamorata respinta e delusa, nell’incontro-scontro con la nuova fiamma dell’umo mediocre, con il mondo che s’intravede in filigrana come in una irresistibile “danza macabra”. E conferma e divertimento è il gioco iperbolico di Paolo Mazzarelli in gran talento con il suo spudorato “Soffiavento. Una navigazione solitaria con rotta su Macbeth” costruito per ironiche architetture di memorie teatrali e ansiose rincorse “dentro” il più complesso dei personaggi shakespiriani, Macbeth vissuto all’interno di un possibile viaggio interiore in cui far fondere autorappresentazione, imprudenti confronti e ricordi, inventati forse di sana pianta o ritrovati per deformazioni possibili.
Altro percorso di emozioni e riflessioni per un teatro “civile o della necessità”, è quello suggerito da Angelo Campolo nel suo “Stay hungry. Indagine di un affamato” al lavoro nei centri di accoglienza, o dall’incontro-scontro per diversità di culture e religioni costruito da Saverio La Ruina con il suo “Mario e Saleh”, a dare conto di difficoltà quotidiane, sociali, religiose e di pensiero, nello sconto e nell’incontro tra differenti fedi e conseguenti comportamenti. La Ruina e Chadli Alouicio è, a trascorrere i giorni nella convivenza necessaria e forzata di un occidentale cristiano con un mussulmano di sicura ortodossia. Tema interessante e scottante, sviluppato in un percorso esemplare che rimane però troppo rapidamente risolto nella drammaturgia di La Ruina costruita per tesi e microstorie esemplari. Così come civile e della necessità è la passione di un’Antigone del nostro tempo restituita al pubblico da Giacomo Ferraù, Giulia Viana, Edoardo Barbone, Enzo Curcurù e Ilaria Longo, per fare della cronaca di dolore il percorso di un oggi inorridito. Semplici soluzioni di scenografia in corrispondenza di una drammaturgia in segmenti e sussulti della memoria che osservano volentieri le necessità di un teatro civile e di denuncia che non fa certo male in tempi tanto difficili e violenti. Resta distante come nobile pretesto Sofocle ed il suo teatro disubbidiente.
Come resta distante eppure fortemente presente invece Euripide nel “A.D.E., A.lcesti D.i E.uripide” di Fabio Pisano che ne riscrive i percorsi logici e sintattici nell’invenzione di incontri e scontri familiari ed amicali. Così Pisano in questo che sembra, per scrittura e invenzioni, il più originale tra gli spettacoli visti a Castrovillari quest’anno, mette insieme Francesca Borriero, Roberto Ingenito e Raffaele Ausiello a moltiplicare presenze e segni di sentimenti ed amicizie tradite nell’impadronimento del tessuto originario scomposto e ricomposto poi nel percorso rapido del suo spettacolo, venandolo di ironia e drammatico stupore, e trascinando i mitici personaggi in un rancoroso scontro di memorie e comportamenti che frantuma i segni eroici della famiglia e dell’amicizia. Frantumazione evidente e diversa che nel “Peggy Pickit guarda il volto di Dio” di Roland Schimmelpfennig, offre a Marcello Cotugno il gusto crudele e travolgente del gioco a massacro di due coppie e la trasformazione di una serata tra amici da piacevole incontro in crudelissimo scontro a quattro, battaglia dei ricordi, delle ambizioni, delle illusioni, delle insicurezze sospettose e dei sogni andati a male.
Affidati a mezzi e tecniche differenti, in moltiplicazioni dell’attenzione in tempi di lockdown, “INTO”, lo spettacolo che Roberto Latini con i Sacchi di Sabbia ha costruito, in “puntata ilota” tra presenze e distanziamenti computerizzati, è stato bloccato dalla pioggia, mentre la “Natura morta” di Babilonia Teatri costruita affidandosi ed affidando gli spettatori all’applicazione di WhatsApp, si è inceppata lasciandone alcuni, come il sottoscritto, senza poter far parte del gioco. Niente scuse purtroppo e arrivederci alla prossima occasione. Lasciando ad Ermanna Montanari il gusto ed il compito di moltiplicare la sua tensione drammatica ed essere “Madre” fisica e metafisica in un “poemetto scenico” scritto da Marco Martinelli e nato dall’incontro di Ermanna Montanari, Stefano Ricci, Daniele Roccato insieme tra testo, illustrazioni live a cura di Stefano Ricci e musica dal vivo al contrabbasso di Daniele Roccato. Molte “prime” o “anteprime”, così, se ci sarà davvero una “stagione”, potremo vedere in giro questi spettacoli. Basterà scegliere e seguirne i percorsi sui palcoscenici italiani.