Teatro, Teatrorecensione — 20/02/2016 at 23:24

Il genio di Goldoni nel “Bugiardo” diretto da Binasco

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PARMA – Piace e diverte Valerio Binasco regista della pièce Il bugiardo, scritta da Carlo Goldoni nel 1750. La platea applaude appagata dopo due ore e mezza di sceniche girandole, svolte su una vertiginosa trama di ingegnose menzogne, inganni e disvelamenti, al cui centro si muove quel «capomastro di spiritose invenzioni» che è Lelio de’ Bisognosi. Disinvolto giovane d’intrigante presenza, preso dal demone di farsi bello rispetto agli altri e al mondo circostante, architettando e dicendo ogni sorta di brillanti fole e bugie purché virino qualunque situazione e soggetto a suo favore. A dargli corpo snello e dinamico è Maurizio Lastrico: vestito in maniera elegantemente casual; con tocchi da pirata nella riccia capigliatura raccolta, e nei bracciali, catenine e orecchini che lo adornano. Il quale, nel compiere le sue scorrerie alla conquista (fra tutte) della desiderabile Rosaura, dà forma sul palco a un reiterato contorcersi mefistofelico del corpo, sempre curvato e accompagnato da un ricorrente movimento delle braccia e delle mani che dispongono nell’aria il sottile cantilenare della sua recita cerimoniosa. Aggressivo e con voce arrochita, guadagna spesso l’area centrale del palcoscenico attorniato da un viavai di personaggi dal piglio aggiornato a giorni d’oggi – nei costumi e nei modi – in luogo del settecentesco veneziano della commedia: come a indicare, altresì, che falsità e mera rappresentazione dominano e spadroneggiano più che mai, in tempi odierni, sulla scena degli affari umani. Si tratti di soldi e patrimoni o di sentimenti e ambizioni del cuore, di se stessi o degli sguardi della società in cui si vive fatalmente condizionati dallo spirito dell’epoca.

©Francesca Laureri
©Francesca Laureri

Tutto questo è inquadrato da un fondale sopraelevato picchiettato di nebulose e macchie, abili a catturare come spugne le variazioni luministiche create e giostrate da Pasquale Mari su prevalenze cromatiche bluastre e livide, comprensive di densi azzurri e ombrosi verdi: a raggelare, pertanto, un’atmosfera che non è calorosa per gli astanti in gioco, ad onta della verve e del fervore mostrati e che li anima perlopiù. Sterile tatticismo, specioso conformismo e freddo calcolo difatti li permeano e li assediano. Penombre musicali di tesi violini sospesi su note di pianoforte lo rimarcano, in specie nei passaggi a vista in cui gli interpreti spostano dintorno le grandi e rettangolari cornici mobili (poste in primis ai lati) per designare differenti ambientazioni. E pure su queste si stendono le citate luci di lagunari lividezze, riverberando ancor più le algide e rigide morse che stringono didentro il complesso di figure implicate.

©Francesca Laureri
©Francesca Laureri

Tant’è che, allora, nella recitazione di certuni si avverte la mancanza d’un aggiuntivo quid di durezza e ferocia, volto a inasprire e a incendiare il groviglio drammatico di dolorose punte contundenti l’animo, in modo da accentuare uno scarto col versante comico e brioso della messinscena. Divaricazione, in cui lo sguardo dello spettatore possa scardinarsi, quindi, con maggiore nettezza sull’acre abisso di vuoto che la vicenda squaderna sotto il lussureggiante manto di intrighi e intrecci: così da potenziare un’apertura corrispondente verso domande che ci scomodino e scuotano, in rapporto ai nostri stessi ciechi conformismi e fatue fascinazioni per il benessere a tutti i costi; tema ancora attualissimo nella presente era della crisi senza fine.

©Francesca Laureri
©Francesca Laureri

Lastrico, ad esempio, marca con scarno spessore abrasivo i cambi dal registro di taglio brillante a quello deluso e disperato; specie nelle scene in cui si scontra con lo scacco dei veti infertigli dalla borbottante severità tutta d’un pezzo del padre Pantalone, a cui Michele Di Mauro dà invece una smagliante compattezza di minute sfaccettature inerpicate su una voce di intrusive rocciosità. Similmente l’altro padre risalta con efficacia: ossia il Dottor Balanzoni, animato dal bravo Fabrizio Contri su persistenti tremolii d’arti e con colori degni di taluni vegliardi da cartoon Disney, conferendogli perciò tratti che paiono smantellarne al fondo la tenace autorità eretta sulla vacua apparenza sociale al cospetto delle figlie. Tra queste, accanto alla più grintosa Beatrice recitata da Elena Gigliotti, vi è la Rosaura interpretata da Deniz Özdŏgan: la quale offre convincenti varietà di toni facciali e corporei, espressivi dell’inconsistenza leggera della ragazza; tuttavia, difetta di tenute e cupezze nella vocalità che – d’altro canto – facciano sentire il peso della sottomissione famigliare e d’etichetta a cui soggiace drammaticamente.

©Francesca Laureri
©Francesca Laureri

Si riscontrano, insomma, discrasie siffatte nella resa interpretativa che intaccano un poco lo smalto e il potenziale corrosivo dello spettacolo di  Valerio Binasco. Aspetti che si notano proprio perché il lavoro è nell’insieme di una qualità alta e tale da fare dunque intravedere margini di ulteriore forza e ficcante espressività; visti peraltro i temi pungenti di cui è intriso, e di già inscritti nel mirabile intarsio drammaturgico di Goldoni. Restituito alfine bene nella vivacità del suo chiaroscurale genio.

Il bugiardo

di Carlo Goldoni.

Adattamento e regia  di Valerio Binasco.

Scene e costumi  di Carlo De Marino.

Luci  di Pasquale Mari.

Musiche originali di  Arturo Annecchino.

Interpreti  Maurizio Lastrico, Maria Sofia Alleva, Fabrizio Contri, Andrea Di Casa, Michele Di Mauro, Elena Gigliotti, Deniz Özdŏgan, Nicola Pannelli, Sergio Romano, Roberto Turchetta, Simone Luglio.

Produzione: Fondazione Teatro Due , Popular Shakespeare Kompany.

Visto a Parma, Teatro Due, Sala Grande, 11 febbraio 2016.

In tournée

 teatrodue.org

valeriobinasco.com

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