LA MOSTRA DEL CENTENARIO
SIRACUSA – Nella parete del porticato del cortile di Palazzo Greco a Siracusa, sede dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico, campeggia il pannello “Duilio Cambellotti 1876 – 1960. La cifra biografica di un artista di Dioniso”. Lo scenografo romano segnò profondamente la nascita e la storia successiva dell’INDA ed emancipò il suo stile dalla “maniera archeologica”, di moda all’inizio del ‘900, alla “maniera architettonica” col pensiero che la scena è il primo impatto che deve “acclimatare lo spettatore” nel dramma disegnandone lo specifico paesaggio mentale ed emotivo. Cambellotti nel 1914 realizzò le scenografie per la rappresentazione che segnò la nascita dell’Istituto, cioè l’”Agamennone” di Eschilo, e con essa del primo festival di prosa del territorio italiano.
Nella Sala degli Argonauti è in corso dal 16 aprile fino al 30 giugno, la mostra “Le origini. 1914 – La grande intuizione di Mario Tommaso Gargallo”, un’esposizione di documenti inediti provenienti dall’archivio INDA, dal Fondo Famiglia Gargallo e dall’archivio del Liceo Artistico Gagini: carteggi con artisti e con la Regia Scuola d’Arte, libri contabili, il discorso di M. T. Gargallo alla Camera di Commercio di Siracusa, la prima locandina, foto e qualche paramento di scena. Traduzione, direzione artistica e musicale erano di Ettore Romagnoli. Il cast era composto da Gualtiero Tumiati (Agamenneone), Teresa Mariani (Clitemnestra), Elisa Berti Masi (Cassandra) e Giulio Tempesti (Egisto).
IL TEMA DELLA GIUSTIZIA PER IL 50° CICLO DI RAPPRESENTAZIONI CLASSICHE
Il centenario è un traguardo importante e l’INDA lo festeggia riallestendo l’”Agamennone” di Eschilo seguito da “Coefore / Eumenidi”, in un’unica soluzione, a completamento della trilogia dell’”Orestea”, sottolineando il tema della giustizia. Si deve, infatti, ad Atena, una delle maggiori dee dell’Olimpo, l’istituzione del tribunale dell’areopago per contrastare il fenomeno della violenza e della vendetta e quindi la creazione del concetto di giustizia che contraddistingue la nascita del mondo Occidentale. Ciò ha costituito una svolta epocale. E’ evidente che questa deve essere stata una tematica molto sentita nell’epoca antica, se il mondo eroico che Eschilo ha portato sulla scena addirittura in una trilogia, riflette ad un livello profondo le concezioni religiose, gli umori politici, le tensioni morali del V secolo a. C. Le Grandi Dionisie che ogni anno venivano allestite ad Atene, infatti, erano il modo in cui la città attica si mostrava al mondo, offrendo agli stranieri, oltre che ai cittadini, l’immagine della propria potenza culturale e politica. La Fondazione INDA nell’anno del suo centenario ne ha fatto la tematica portante, scegliendo anche una commedia dedicata al tema della giustizia “Le vespe” di Aristofane, affidata alla regia di Mauro Avogadro, per completare il suo cartellone (dal 9 maggio al 22 giugno)
LA PORTATA DRAMMATURGICA DI ESCHILO
L’INDA per Eschilo: dal 1960, consegna a personalità che si siano distinte nel campo del teatro greco il riconoscimento dell’”Eschilo d’oro”. Lo scorso anno è toccato ad Ugo Pagliai (che anche quest’anno è nel cast, nel ruolo del dio Apollo in “Coefore / Eumenidi“). Al di là, però, del gesto rievocativo legato all’”Agamennone”, va dato merito alla Fondazione guidata da Alessandro Giacchetti di aver voluto attualizzare e soprattutto spettacolarizzare la trilogia, per sua natura arcaica troppo semplice e quindi, per paradosso, difficile. E’ noto infatti che la trilogia ”Orestea” è uno dei testi teatrali più antichi che ci rimangano. I discorsi appaiono semplici e lineari, con una limitata sticomitia e quindi il pathos, di conseguenza, è lasciato solo all’esperienza attoriale.
Monica Centanni che ne ha curato la traduzione, nell’introduzione al libretto di scena afferma che la lingua di Eschilo “si gioca nello scarto tra la semplicità della struttura sintattica […] e la densità semantica delle parole” con passaggi continui tra l’alto e il basso, ma senza artifici ed affettazioni formali, punteggiata però da formulazioni sentenziose e proverbiali in un “tessuto retorico che intesse complicità, tra il poeta e il suo pubblico, sulla trama di un sapere comune e condiviso.” Le storie sui personaggi della guerra di Troia erano infatti diffuse al limite della saga.
Eschilo è il più antico tra i poeti tragici oggi allestiti e, tra essi, è stato l’unico ad aver realizzato alcune sue tragedie al Teatro greco di Siracusa. Prima di lui era solo il coro ad essere protagonista dell’evento performativo. In seguito, venne introdotto un attore in contrapposizione col coro. Con lui si arrivò ad avere 3 attori in scena (nel 458 a. C. con l’”Orestea”, l’evoluzione era già fatta) e il coro (diversamente da come faranno gli autori successivi) è “protagonista” principale esso stesso, come fosse un personaggio multiforme. Sul numero di persone che componevano il coro negli agoni in cui le tragedie venivano allestite, normalmente, in riferimento ad Eschilo, si accetta il numero di 12; in precedenza forse ce n’erano di più.
L'”ORESTEA”, COUPES DE THÉÂTRES ED EFFETTI KOLOSSAL PER UNO SPETTACOLO CORALE
La ricchezza corale si avverte molto negli allestimenti del 50° ciclo di rappresentazioni classiche dell’INDA, sia per l’importanza che riveste il coro nelle opere eschilee, sia per numero di interpreti in scena. Mentre in “Agamennone” sono una quarantina i componenti del cast attoriale complessivo, in “Coefore / Eumenidi” ne sono più del doppio, in virtù non solo dei due drammi che si è voluto unire, ma anche di una precisa scelta registica. Data la grande preponderanza scenica del coro, viene da considerare che solo i più grandi attori italiani potevano sostenere i ruoli dei singoli personaggi in modo adeguato. Al coro si deve anche l’entrata e/o uscita di scena di alcuni personaggi in un paio di coupe de théâtre di cui sono protagonisti l’Araldo nell’”Agamennone” ed i cadaveri di Clitemnestra ed Egisto nelle “Coefore / Eumenidi”.
Senza nulla togliere a bravi interpreti dei ruoli singoli, anzi riconoscendogli il merito di essersi contrapposti ed aver fatto da contraltare al coro e ai suoi movimenti (curati da Alessandra Panzavolta in “Agamennone” e da Alessio Maria Romano in “Coefore / Eumenidi” con Antonio Bertusi come maestro d’armi) bisogna ammettere che quello a cui si assiste in questi giorni al Teatro Greco di Siracusa è uno spettacolo corale. Si è riusciti a vivacizzare i testi eschilei, allestendo un “Agamennone” pieno di coupes de théâtre e un “Coefore / Eumenidi in stile kolossal.
Ne l”Orestea”, “Agamennone” e “Coefore / Eumenidi”, la prima affidata alla regia di Luca De Fusco, la seconda a Daniele Salvo, (entrambe con scene e costumi di Arnaldo Pomodoro), al di là del testo di Eschilo e del personaggio di Clitemnestra, interpretato in entrambe da Elisabetta Pozzi, sono un po’ differenti l’una dall’altra. Egisto, è interpretato da due attori differenti: Andrea Renzi nel primo, Graziano Piazza nel secondo. Elisabetta Pozzi è padrona degli spazi scenici che percorre nel dipingere un personaggio dalle mille sfumature quale è Clitemnestra: madre che vendica una figlia uccisa? Moglie insofferente? Regina desiderosa di potere? Ottima padrona di casa? Scatenatrice di vendette? Capo di dee temibili? Incubo inarrestabile? Tutto questo. Uno di quei personaggi che Eschilo ha scritto meglio e rappresenta uno dei punti di continuità nella trilogia.
Le musiche composte da Antonio Di Pofi (nel primo) e Marco Podda (nel resto) si svolgono in continuità, non proponendo salti troppo elevati di stile tra l’una e l’altra rappresentazione, ma anzi sottolineando gli eventi, accompagnando lo spettatore nel suo percorso emotivo di empatia con quanto avviene sulla scena e spaziando da una contaminazione a un’altra, da una dissonanza all’altra ed aumentando il pathos degli eventi sulla scena (in un complesso di effetti che nella descrizione musicale dedicata a Podda, nel numero unico, è definita come un “progetto di paradrammaturgia musicale“). L’inizio è quasi violento e spiazzante in “Agamennone”: se pur la scenografia di Pomodoro sia ben visibile già da prima dell’inizio dello spettacolo, la musica simil-dodecafonica creata da Pofi dona un effetto più doloroso e distruttivo ad una visione spaziale che già di per sé rimanda ad un luogo disgregato, distrutto, fatto di incomunicabilità, dalle scene essenziali, pochi elementi che sembrano un espressionismo astrattista “a levare”, opprimente ed angoscioso, ma anche fatto di solitudine ingombrante.
Pomodoro ha immaginato una superficie accidentata, elementi architettonici frammentari, scossi e astratti. Un paesaggio in rovina. Non ci sono iconografie realistico-illustrative ma una visione al di fuori del tempo storico che evidentemente lega simbolicamente l’oggi al mondo dei Greci, i quali appaiono al tempo stesso nostri contemporanei e antenati ed a cui siamo legati da una relazione complessa di affinità ed estraneità, analogia e differenza.
Scrive il regista Luca De Fusco nelle sue note: “Nel nostro Agamennone tutto nasce dalla terra, anzi dal sottosuolo, come se l’archetipo dell’Orestea nascesse dalle profondità del nostro inconscio collettivo.” Ed in effetti, la navicella su cui torna Agamennone verrà, a più riprese, dissepolta. Pure il tappeto rosso sul quale Clitemnestra vuole far passare Agamennone per rientrare in casa esce da una botola insieme ad un’ancella danzante.
Nelle “Coefore / Eumenidi” c’è una tomba/altare dorato sul davanti e poi, sul finale salvifico per Oreste, un enorme sole stilizzato sorgerà sulla skenè, accanto alla dea Atena. Le opere di Arnaldo Pomodoro rimandano spesso ad un effetto geometrico scomposto, una sorta di espressionismo astrattista, e inoltre rivelano il complesso meccanismo interno che le anima: il grande portone dorato del Palazzo reale ha dagli intagli geometrici inquietanti; la barca ha una copertura intagliata come tanti elementi disordinati sovrapposti che si apre quasi come un sarcofago per far uscire Agamennone e Cassanda. I grandi e lunghi triangoli aguzzi posati sul terreno nelle “Coefore / Eumenidi”, in terra siracusana, non possono non far pensare allo Stomachion con cui l’aretuseo Archimede Pitagorico definì la matematica combinatoria, ossia una sorta di gioco (affine al tangram cinese) in 14 pezzi geometrici con cui si possono fare varie combinazioni e che riuniti formano il “Quadrato di Archimede” (esposti al Museo Arkimedeion di Siracusa). Il regista Daniele Salvo, in virtù del suo allestimento che vuole rimandare ad opere cinematografiche, nelle note di regia afferma che “La statua di Atena è come il monolite di Stanley Kubrick” e, nel passaggio dall’uno all’altro dei testi da lui gestiti, innalza questi triangoli aguzzi, come fossero monoliti appunto, e, velati di fumo, fanno da contorno all’arrivo degli dei Atena e Apollo.
L’aspetto cinematografico voluto dal regista ritorna anche sotto altri aspetti. Il dio Apollo (un autoritario, ma sereno e divertito Ugo Pagliai) arriva su di una sorta di semplice dolly cinematografico che percorre il perimetro della skené in cui recitano gli attori mosso da un paio di persone e pare voler inquadrare gli eventi, o dirigere gli attori come un regista. Come si scoprirà solo verso la fine, era stato lui a suggerire al giovane Oreste di compiere la sua vendetta. Eschilo, quindi, pur adducendo la responsabilità del singolo ed avendo tramandato la nascita della giustizia, resta ancora un po’ fedele al quadro di un dio, Apollo, che condiziona e mette alla prova l’uomo.
Le contaminazioni possono quindi essere indicate come la chiave di lettura per apprezzare al meglio l’allestimento di Daniele Salvo, il quale mirava a realizzare uno spettacolo leggibile a più livelli: “Parliamo di ‘Archeologia del futuro’, di un’antichità sospesa sul filo dell’orizzonte, in un’interstizio del tempo e dello spazio”. Operazione non semplice, realizzata rispettando lo spirito del testo, che è già corale di suo, potente fin dalle prime battute, in cui gli attori e il coro dialogano in una costante tensione dinamica, il ritmo incalzante si mantiene fino al grandioso e sorprendente finale, dando respiro soltanto nel passaggio tra la conclusione di “Coefore” e l’inizio di “Eumenidi”.
Se si vuole ritrovare un elemento cinematografico anche nella prima rappresentazione, la più riflessiva “Agamennone”, diretta da Luca De Fusco, che invece mira “ad uno spettacolo astratto, essenziale, non descrittivo” si può farlo ricercandolo nella recitazione con cui viene caratterizzato il famoso re che da il titolo allo spettacolo, la quale, come sottolinea dopo la replica della pièce il suo bravo interprete Massimo Venturiello, è da sceneggiata. L’Agamennone che torna, infatti, pur essendo un re vittorioso, non è l’eroe arrogante e prepotente che Omero aveva raccontato nell’”Iliade”, bensì è un uomo stanco, su cui grava il peso di dieci anni di conflitto, ma sopratutto angosciato per aver sacrificato la figlia Ifigenia. La sua maestosità cadente si evince anche dal coupe de théâtre col quale entra in scena, uscendo (seguito dalla nuova concubina Cassandra) da una navicella appena disseppellita che ha quasi l’aspetto di un sarcofago.
In questa prima rappresentazione, accanto a Venturiello, per la magistrale interpretazione vanno ricordati anche Giovanna Di Rauso e Mariano Rigillo. La prima spicca per aver dato vita ad un’intensa ed incantatrice Cassandra che, con le sue tenere contorsioni nella terra, rende ancora più evidente lo spaesamento degli altri personaggi; il secondo, invece, esperto conoscitore dell’”Agamennone” per aver già interpretato quel re per ben due volte al Teatro Greco di Siracusa, qui è uno straordinario Araldo, stanco ma ligio al dovere fino all’ultimo, creatore di un pathos più che evidente ed il cui fascino misterioso è amplificato dal coupe de théâtre col quale appare e scompare tra la terra e l’orda del coro dei cittadini di Argo.
Il cast è notevole sia in “Agamennone” che in “Coefore / Eumenidi”. L’interpretazione superba di Paola Gassman, creatrice, evidentemente divertita, di un personaggio brillante, è tanto autorevole quanto affascinante nel suo essere leggermente sopra le righe, cioè Pizia, la profetessa del tempio di Apollo. Piera Degli Esposti, torna dopo 10 anni a calcare le scene teatrali, offrendo, da esperta, un’interpretazione decisa e protettiva, a proprio agio, di Atena, la dea del giudizio che in virtù del fatto che non ha una mamma si trova in difficoltà a dover decidere sugli eventi e quindi istituisce il tribunale dell’areopago e si rimette agli uomini, prima di porre fine alla catena di vendette ed omicidi salvando il giovane Oreste, interpretato da Francesco Scianna, un giovane talento siciliano di cui si apprezza la bravura e freschezza interpretativa in un ruolo eschiliano che per furia compete solo con Clitemnestra. Accanto a lui, Francesca Ciocchetti in un’interpretazione decisa di sua sorella Elettra.
Efficaci e capaci di rendere bene il loro personaggio anche gli altri innumerevoli interpreti finora non menzionati: dell’”Agamennone” ricordiamo Mauro Avogadro (Sentinella), Francesco Biscione, Massimo Cimaglia, Piergiorgio Fasolo e Gianluca Musiu (Corifei) e delle “Coefore / Eumeidi”, Antonietta Carbonetti (Nutrice), Marco Imparato (Pilade), Simonetta Cartia, Marcella Favilla, Clara Galante, Silvia Pietta, Elena Polic Greco (Corifee).
“Agamennone” visto il 12 maggio 2014
“Coefore / Eumenidi” visto il 13 maggio 2014
“Agamennone”
Autore: Eschilo – Traduzione: Monica Centanni
Regia: Luca De Fusco
Regista assistente: Alessandra Felli
Movimenti coreografici e danze: Alessandra Panzavolta
Scene e costumi: Arnaldo Pomodoro
Musiche: Antonio Di Pofi
“Coefore / Eumenidi”
Autore: Eschilo – Traduzione: Monica Centanni
Regia: Daniele Salvo
Regista assistente: Emiliano Bronzino
Assistente alla regia: Rossella Caruso
Movimenti: Alessio Maria Romano
Maestro d’Armi: Antonio Bertusi
Scene e costumi: Arnaldo Pomodoro
Musiche: Marco Podda