Teatro, Teatrorecensione — 20/08/2016 at 20:32

Revolution, i Meridiani Perduti e gli anni 60′

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BRINDISI – Esiste un teatro diverso dalle tendenze agli ammiccamenti di questi tempi. Fatto di dedizione al lavoro, sapienza scenica, ricerca, gioco di squadra, rispetto dei ruoli e dell’andare in pasto allo spettatore. Un teatro a ricreare la condizione di chi guarda, compartecipa, anzi, all’atto creativo e ne è coinvolto da terzo o frontalmente. Un teatro amabile. Da fruirne godendo, comprendendone individualmente e condividerne la comprensione.

foto di Dario Rovere
foto di Dario Rovere

Destinato a un pubblico universale è Revolution, ascrivibile nel teatro musicale e di narrazione, strutturando un non frequentatissimo mix di figura e inserto, centralità attoriale e drammatizzazione sonora. Di sfondo gli anni 60′, lontano dalle cartoline pin-up, dalle alfabetizzazioni mediatiche, da nostalgie fricchettone e sconvoglimenti political-culturali. Anni mirabolanti per una consapevole e unificante coscienza di dovere determinare un nuovo sviluppo sociale attraverso la prassi culturale e di aggregazione intelligente. Il determinante tematico da altare morale alla riduzione ad unum caratterizzante il linguaggio teatrale. Il soggettivo in un ambiente idealmente lontano, funzionale alle tinte di fondo, portabandiera di tracce comuni.

E da buon teatro di narrazione, il dato narrativo compone i nodi di questo rosario laico: la storia di una adolescente arrossita dagli amori e inseguitrice di sogni ritenuti impossibili. Oggetti di scena a sottolinearne la caratterizzazione, morale e di anelito. Nella carne e nelle vesti di Sara Bevilacqua, esperta conoscitrice del territorio in termini di presenze sul palco (ha lavorato con i maggiori artisti pugliesi e non) e di socialità. Nel contesto ben perimetrato di una Brindisi industrializzata mutante nel volto ma uguale a se stessa nelle interazioni, sottopelle. Provincia cronica.

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Assemblaggio dai meccanismi rodati e oliati al punto giusto, considerando la circuitazione quinquennale dello spettacolo, contribuiscono ad abbassare la soglia dell’osservazione analitica per un puro godimento emotivo. D’impatto le vocalità di Daniele Guarini a suo agio con la performance canora e il figurarsi altro da sé; sincronizzati i tempi e i cambi di registro tra diverse proposizioni di scena e di linguaggio; varietà di livelli di collocazione, immaginifico e di modulo recitativo, ricamano d’organza la fruibilità immediata per non lasciare traccia al sospetto di soluzioni di comodo: tutto è teatrale e precisamente costruito, tanto da lasciare intravedere la manifattura quando lo spettacolo è compiuto in strutture diverse dal teatro (spazi off). La leggerezza pensosa delle musiche dei Beatles, innesto drammatico a una drammaturgia composita e perfettamente eufonica – per aderenza al rigore stilistico, l’essenzialità dirompente, la scioltezza di sintassi e semantica – a similare l’inserto Brechtiano, la song, annuncio e chiarificatrice di formalizzazioni verbali e fisiche.

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Un’epoca, gli anni 60′, di estensione della possibilità umana oltre da sé e dai confini ritenuti possibili. L’atterraggio lunare, i primi passi di tecnologizzazione, il pensiero emancipato. E un Sud rimasto a guardare. Col naso all’insù e i fumi delle ciminiere come novità. E un finale inaspettatamente commovente, a deragliare l’ipotesi di happy end in un sunto di prova attoriale, a confronto con la diversità di genere, trasposta con dimestichezza disarmante. Come da applausi a scena aperta, l’intera prova della Bevilacqua, sbrigliata dalle esigenze dei ruoli impostati e a suo agio potendo svincolare la sua autonomia artistica.

Da vedere.

Revolution

di e con Sara Bevilacqua

pianoforte e arrangiamenti Daniele Bove

voce Daniele Guarini

drammaturgia Emiliano Poddi

disegno luci Paolo Mongelli

Visto all’ Ex Fadda Laboratorio Urbano – San Vito dei Normanni (Br) il 18 agosto 2016

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