BASSANO DEL GRAPPA (Vicenza) – “E cinquecento catenelle d’oro” ripete in un endecasillabo la nenia registrata e inserita da Luca Scotton nella seconda parte del “Progetto Purgatorio” dei Babilonia, mentre Chiara Bersani lega con ago e filo immaginari parti del corpo dei compagni e suoi. Penitenza, stadio intermedio della situazione di peccatori, recidività, malinconia: l’immaginario del Purgatorio dalla seconda Cantica di Dante all’episodio centrale del Trittico avignonese di Romeo Castellucci c’è tutto, e con più ironia. Sembra che finalmente si faccia sentire in questa parte dello Studio, nuovo lavoro della Compagnia di Castellani e Raimondi, la necessità di dar compimento artistico a un materiale ancora fluido, non fissato.
Per arrivarci però gli spettatori devono entrare nel gioco dei particolari interpreti, variamente abili – Daniele Balocchi, Maria Balzarelli, Chiara Bersani, Carlo Trolli, Paolo Terenziani – guidato da Enrico Castellani. E se viene in mente il ritornello di Jovanotti “Guarda mamma come mi diverto” è perché parrebbe che essere down o in sedia a rotelle sia faccenda esilarante: tra sketches da cabaret tv, scherzi, e il paterno redarguire del capogruppo, senza tenerezze, questo sì, anzi con incitamenti sottovoce, richiami allo schema, risposte facilitate con improbabili riferimenti ai 7 film di Rocky.
Può essere una strada per spianare o imporre la diversità, e da una Compagnia come i Babilonia si presume ci sia serietà e attenzione. Ma altri percorsi con persone diversamente abili inserite in uno spettacolo – dal lavoro di Antonio Viganò per “Personaggi” a quello di Balletto Civile con anziani degenti per “How long is now”, e ancora prima di Pippo Delbono – hanno portato il teatro e la tecnica in primo piano, facendo prevalere il linguaggio della scena, il suo rigore. CLA. PRO.
Un teatro quando è capace di entrare nella realtà quotidiana senza doverlo definire come “teatro della diversità” mentre è più corretto codificarlo come “teatro della normalità”, agisce con efficacia anche con persone affette da una disabilità; se queste sono in grado di affrontare un’esperienza artistica e beneficiare di un processo trasformativo capace di rientrare in una dimensione di normalità, e non di “diversità”. Una condizione spesso amplificata quando “l’attore” viene considerato “diversamente abile”. In un’ottica di partecipazione al processo di costruzione, il suo lavoro deve essere condiviso in condizioni di equità, senza creare differenziazioni rappresentate dalla disabilità. È più opportuno parlare di un processo di trasformazione e di liberazione di energie creative, insite nei soggetti, a cui viene offerta la possibilità di provare un’esperienza teatrale. Il fine è quello di veicolare un potenziale creativo per facilitare un cambiamento e una presa di coscienza. Un preambolo per tentare di spiegare le tante perplessità suscitate dalla visione dello spettacolo dei Babilonia che spiegano il loro progetto pensato come … (…) un non luogo in cui ognuno è libero di essere e di manifestarsi occupandosi di sé e degli altri, ma senza preoccuparsi del mercato, dei numeri e della burocrazia. Senza dover rendere conto a nessuno della propria bravura e della propria produttività, impegnandosi soltanto per il gusto di fare bene una cosa, senza che il proprio fare sia oggetto di valutazione e motore d’ansia.” Una “libertà”, intesa come condizione essenziale per esprimersi senza dover ricorrere ad un impianto registico e drammaturgico tradizionale, consueto, codificato? L’interrogativo è d’obbligo dovuto all’esito visto della rappresentazione in cui si fa fatica a seguire quali siano stati gli intenti dichiarati per iscritto; anche perché si tratta di un primo studio come descritto. Si evince che sia un lavoro in divenire nato dopo esperienze di laboratorio e formazione, forse da ripensare almeno in alcune delle fasi di allestimento in previsione della prima nazionale a dicembre 2016 presso il Teatro Cavallerizza di Reggio Emilia.
R.R.
Visto a Bassano del Grappa, Festival Bmotion il 3 settembre 2016