RUMOR(S)CENA – FESTIVAL ORIENTE OCCIDENTE – ROVERETO (Trento) – La danzatrice e coreografa coreana Eun-Mi Ahn ha apparentemente guadagnato il soprannome di “techno-sciamano” per la sua ricerca che investe le pratiche religiose tradizionali coreane insieme allo sperimentalismo dell’avanguardia. Coreana e cosmopolita, Eun-Me Ahn non è solo una rigorosa coreografa intrisa delle tradizioni sciamaniche del suo paese, ma anche una performer che non teme l’azzardo. Let me change your name… è il titolo, quasi un invito, di un pezzo emblematico del suo repertorio, che gioca su ripetizioni e contrasti per mettere in discussione l’identità e il posto dell’individuo nella nostra società contemporanea. La coreografia è sobria e sincronizzata, a tratti atletica. Per ottanta minuti sette danzatori in abiti stretch, neri poi in diverse tinte fluorescenti alternativamente, hanno riempito il palco con ripetuti movimenti, prima solenni ed alteri, poi spezzati e atletici, quasi da rapper. Ora il movimento è ripetitivo, a volte ipnotico tanto da far intravvedere la trance, ora si passa ad un ritmo frenetico ed incalzante. I danzatori vibrano di energia se non proprio di personalità pur affermando fortemente la loro identità.
I loro volti sono inespressivi, sordi ad un ambiente arido e freddo e sembra che si muovano per dimenticare se stessi. Agiscono prevalentemente come un corpo unico, ma nei momenti in cui si differenziano e si raggruppano in coppie stanno in piedi, faccia a faccia, a volte quasi con sfida, poi si ritirano drammaticamente, a volte saltano in posizione fetale. Eun-Mi Ahn, la testa rasata, appare, esegue coreografie ritualistiche, si muove come stesse entrando in trance, ma questo contrasto forte rimane affiancato al ritmo sostenuto dai ballerini, e Eun-Mi Ahn si guarda attorno, estranea al contesto. Nelle parti finali il ritmo incalza, i ballerini, ora in bianco, sembrano isterici e i movimenti appaiono più caotici. È una coreografia spiccatamente unisex con stimoli all’azione, al ritmo e, dal punto di vista visivo, soprattutto, al colore, integrato anche nella scenografia, resa solo attraverso fondali colorati e monocromatici, che richiamano i costumi degli interpreti.
In conclusione, tra costumi in bianco e nero e coloratissimi di tinte fluorescenti, questa coreografia intende richiamare tanto la ritualità sciamanica, quanto la contemporaneità con un’alternanza continua tra gravità e umorismo, ma il messaggio non è raccontato con chiarezza, rendendo gli elementi visivi forse la parte più piacevole di questo lavoro.
Visto al Teatro Zandonai Festival Oriente Occidente di Rovereto l’8 settembre 2018