MILANO- Dentro ad una casa, la notte di Capodanno, una famiglia è costretta a fare i conti con il proprio dolore. Chiusi in un salotto i protagonisti di “Buon anno, ragazzi” devono confidarsi le verità più scomode, affrontare le conseguenze delle proprie azioni. Costretti in uno spazio ricoperto di coperte di lane bianche, da cui sul fondo emerge uno spiraglio di luce, devono «toccare insieme il fondo per essere migliori».
“Buon anno, ragazzi” nato dalla penna di Francesco Brandi con la regia di Raphael Tobia Vogel è un percorso attraverso le sconfitte di una famiglia per mostrarne la rinascita. Giacomo è un giovane professore di filosofia che ha scritto un libro che «vende ancora due copie al mese, una volta addirittura quattro», e attualmente cerca di scriverne un altro che non riesce a portare a termine. Abbandonato con la figlia di tre anni dalla moglie attrice decide di trascorrere l’ultima notte dell’anno da solo, con la sola compagnia della bambina che compie gli anni proprio il giorno di Capodanno. I suoi piani vengono sconvolti dall’arrivo della moglie che è tornata per trascorrere la festa con la figlia. In seguito giunge nella piccola casa la madre di Giacomo che cerca rifugio dopo aver scoperto di essere stata tradita dal padre, che poco dopo raggiunge la moglie. Silvia, la moglie fuggitiva, è in camera con la bambina mentre i genitori in sala si sfidano in uno scontro all’ultima colpa dando a Giacomo il ruolo del giudice che, a causa della sua indole eternamente diplomatica, non riesce a svolgere.
A rendere ancor più precaria la situazione arriva in casa Bobbi, l’amico di sempre, che avvisa la famiglia di una sparatoria avvenuta nel centro di Milano ai danni di un noto imprenditore. Lo spettacolo assume una svolta improvvisa: Silvia si rivela la colpevole della sparatoria ed esce dalla stanza con in mano una pistola, sotto casa si raduna la polizia. Questa nuova sezione dello spettacolo è segnata drammaturgicamente dalle luci che ad intermittenza si accendono e si spengono, mentre i protagonisti spostano dalla stanza dagli oggetti più superficiali e inutili. Spogliati, come la casa dalle superficialità, i personaggi si trovano seduti sul divano di casa con una pistola puntata contro.
Questa è l’occasione che Francesco Brandi, anch’esso personaggio dello spettacolo nel ruolo di Giacomo, trova per raccontare la storia di cinque persone. Il pubblico viene messo davanti alle loro vite, ma proprio l’occasione speciale nella quale si trovano, dà lo spunto ai protagonisti per raccontare la loro essenza più profonda, per mostrarla ai loro cari superando le scelte compiute che li costringono nei panni dei buoni o dei cattivi.
Emergono in poco tempo tutte le ipocrisie in cui la famiglia naviga: l’avvocato, padre di Giacomo, è posto di fronte al tradimento consumato con una giovane donna ad insaputa della moglie che scopre il fallimento della sua «educazione dell’affetto»; il giovane professore si scontra con la sua inconcludenza professionale e affettiva; Silvia deve ammettere di essere una madre assente e un’attrice fallita che fa parte di una banda di ladri; e Bobbi si ritrova costretto nel suo ruolo di spacciatore che non gli lascia sperare un futuro diverso.
Tutti sono schierati nel ruolo di buoni o di cattivi che sembra appartenergli. Lo spettacolo si propone con efficace ironia – che permette di non cadere nei moralismi – di compire un viaggio attraverso l’abbattimento delle maschere per svelare il buono là dove apparentemente si poteva scorgere solo del male.
Giacomo è presentato come l’eroico padre che cura la figlia nonostante la fuga della moglie, ma quando viene messo davanti alla realtà si scopre essere un uomo assente che si costringe nel ruolo di padre per mancanza di coraggio; quello che non è mancato alla moglie che ha deciso di fuggire piuttosto di obbligarsi «ad una vita ferma». La situazione al limite costringe i protagonisti a rivelare i propri sentimenti, li obbliga a parlarsi con la dolcezza che avevano dimenticato. I nonni dopo anni di silenzio riescono a dirsi che si vogliono bene; Bobbi confessa di aver comprato «quelle due-tre copie del libro di Giacomo ogni mese».
La famiglia ha mostrato il suo lato peggiore ma ha riscoperto la sua parte migliore e, consapevole di ciò, può abbandonare il nido familiare per affrontare i rischi del mondo esterno. Da soli rimangono solo Giacomo e Silvia che riescono ad ammettere l’importanza che ricoprono l’un per l’altro.
La bambina non si vede mai nel corso della messinscena, dorme nella stanza da cui proviene lo spiraglio di luce. È la piccola Sofia ad essere per la famiglia intera il motivo a cui guardare per essere migliori. Proprio nella stanza Silvia entra prima di assumere le proprie responsabilità arrendendosi ai poliziotti, mentre Giacomo con alle spalle una costellazione di piccole luci può trovare la forza per iniziare a riscrivere il suo libro.
Visto al Teatro Franco Parenti di Milano martedì 17 ottobre 2017.