RUMOR(S)CENA – GENOVA – A Genova la quindicesima edizione del Festival “Testimonianze ricerca azioni” di Teatro Akropolis ha proposto un intenso focus sulla danza delle tenebre interpretata dagli italiani.
Ha un’anima curiosa, esploratrice, “Testimonianze ricerca azioni”, il festival di Teatro Akropolis, giunto alla sua quindicesima edizione diretto da Clemente Tafuri e David Beronio. Un festival di frontiera in tutti i sensi, che ama spostarsi da una disciplina all’altra in cerca dei nuovi formati scenici e anche da una parte all’altra di Genova, passando dalla periferia est, a Sestri Levante dove ha sede il nido di Akropolis, per arrivare al cuore della città, a Palazzo Ducale. Proprio qui è stata allestita la mostra fotografica di Lorenzo Crovetto dedicata alle precedenti edizioni del Festival che resterà esposta fino al 24 novembre. Una sala con diverse immagini che ben riflettono la natura di Akropolis, quell’indugiare sulle linee d’ombra e, al tempo stesso su una carnalità intensa e spigolosa che appare come il filo rosso dei vari protagonisti che si sono alternati nelle stagioni del Festival. Significativa, dunque, è stata anche la scelta di proporre a Palazzo Ducale il focus sulla danza Butoh e sui suoi legami con l’occidente e l’Italia in particolare.
L’Ankoko-Butoh la danza delle tenebre come la chiamarono i fondatori – Tatsumi Hijikata e Kazuo Ohno – è infatti una forma d’arte mutevole, nata dagli orrori attraversati dal Giappone dopo la seconda guerra mondiale, spaccati fra lo stupro subito dell’atomica e il devastante senso di colpa di essere entrati nel conflitto dalla parte sbagliata. Alcuni elementi sono ricorrenti, come la gestualità lenta e rituale, la nudità dei corpi, spesso contratti e ricoperti da un sottile strato di talco come fantasmi impolverati reduci da apocalittici paesaggi. Ma è lo scavo interiore che sottende ogni performance ad aprire la possibilità a chiunque di praticare il Butoh e interpretarlo secondo la propria natura, a condizione di farlo con profondo rigore e sincerità. È così che a Roma, è cresciuto per anni un gruppo di danzatori italiani con gli insegnamenti (o forse sarebbe meglio dire la trasmissione empatica) di Masaki Iwana, apostolo del Butoh bianco, a riprova di quanto questo genere sia permeabile e predisposto all’universalità.
Dal quel gruppo originario provengono due dei protagonisti del focus a Palazzo Ducale: Stefano Taiuti e Alessandra Cristiani. In Danza Ombra Taiuti si tiene parallelo alle forme del butoh originario, declinando piuttosto lo svolgimento del tema: un corpo a corpo, o piuttosto un corpo a ombra duellante per sagome, deformate dalla luce di una candela. Un corpo cavernoso che accoglie l’umano e lo respinge. Maschile e femminile, luce e ombra, uomo e mostro. Taiuti è rigoroso fino all’estremo, controlla la sua performance in un difficile gioco di equilibri e di dettagli riflessi. Con uno spunto essenziale ricava un mondo di suggestioni. Primordiale, vibrante da tutti i pori come butoh comanda.
Molto diversa è la danza di Alessandra Cristiani, che da anni ha sviluppato un suo confronto personale con il butoh. Creatura sauvage della scena, Alessandra parte dal corpo nudo come materia prima sulla quale modellare una performance. Con la sua chioma di riccioli fiammanti, la pelle diafana e un corpo plastico, Cristiani è un magnifico fantasma di carne che si trasforma a vista. In Caduta la neve ispirato all’opera di Sarah Moon porta a termine la seconda trilogia dedicata a un’operazione che si potrebbe definire transfert di immaginari di artisti sulla propria pelle. Un tentativo di cogliere l’intuizione fuggente, l’hard core dell’opera di un artista e indossarla per dinamiche. La prima trilogia è stata dedicata a Egon Schiele (in cui Alessandra era stupefacente nel richiamare gli archetipi visivi del pittore austriaco), all’asciuttezza scheggiata di Francis Bacon e alla plasticità sghemba di Auguste Rodin.
In questa seconda trilogia, invece, Cristiani volta pagina, epoca e segno, dedicandosi alla creatività femminile di Ana Mendieta, ai ritratti di Claude Cahun e, appunto, col debutto di Caduta la neve, a Sarah Moon. Il mondo di Moon è fatto di foto che accavallano onirismo e memoria, prospettive evanescenti, sfumature fiabesche. Ma non c’è ancora molto di questa impalpabile magia in questo ultimo lavoro di Cristiani. Si sente lo stridore degli ingranaggi interni che passano da un’immagine all’altra, la realtà ruvida dei cambi di scena, l’annegare in uno spazio non ancora bene a fuoco per permettere l’incanto. Ci deve ancora lavorare, Cristiana. Masticare piano e a lungo quegli scatti per trovare l’alone giusto. Non è una riproposizione quella che lei e noi ci aspettiamo ma introiettare quello spirito e agirlo nella sua danza.
Delude del tutto invece il dialogo di danza fra Yuko Kaseki e Megumi Eda, interprete di butoh la prima e ballerina classica la seconda. In Divine sembravano suggerire il confronto fra eroine della tradizione – Giselle dal repertorio della danza romantica e Oiwa da quella giapponese – che hanno in comune una storia di tradimento e sopraffazione. Il tutto scambiandosi le parti, vestendo i panni dell’altra, alternando di continuo i piani del racconto e scambiandosi passi di danza. L’idea ci sta. La realizzazione è invece un pastiche che accoglie tutto con gran chiasso, mettendo insieme cose diverse in modo disordinato. Ci vuole rigore per fare queste operazioni. Disciplina interiore. Il senso del butoh per la danza, di ogni genere si tratti.
Visti al Festival Testimonianze Ricerca Azioni del Teatro Akropolis di Genova il 10 Novembre 2024