Copi alias Raul Damonte Botana, lontane origini italiane, dotato di un’autoironia che non abbandonò nemmeno alla sua morte, avvenuta a Parigi il 14 dicembre del 1987. Drammaturgo, scrittore e fumettista argentino recitò anche nei suoi spettacoli teatrali, travestendosi con costumi improbabili ed eccentrici. Copi come lui stesso si definiva, utilizzava un nomignolo che tradotto sta a significare “pollastrello”, identificandosi con il pollo stupido e inesorabilmente sconfitto che interloquisce con una donna seduta, personaggi creati dalla sua penna per il fumetto pubblicato da Linus, che lo rese celebre. Spiazzante, dotato di una verve anche autoironica e caustica, fu l’ideatore per eccellenza di un teatro inopportuno, lucido indagatore delle contraddizioni dell’animo umano, dove i sentimenti, l’amore, il sesso, le identità, si mescolano in un turbinio travolgente come un caleidoscopio coloratissimo. Una giostra rutilante che gira senza mai fermarsi.
Una girandola vorticosa di personaggi al limite dell’assurdo ma dotati di una umanità dolente. Impossibile circoscrivere la sua visionarietà che gli permise di scrivere successi come Loretta Strong, Eva Peron, La coupe du monde, Une visite inopportune e Le frigo, (Il frigo) il testo scelto da Andrea Adriatico per affidarlo a Eva Robin’s, strepitosa e convincente interprete, vista ai Teatri di Vita di Bologna, Uno spettacolo del 2005 che sta a dimostrare come un successo consolidato valga la pena riproporlo, in quanto dotato di una sua originalità e leggerezza propria che non si è esaurita. Frenetici cambi di costumi per dare vita a travestimenti e a una sequela di personaggi, che solo un’artista dotato di grande professionalità può permettersi. Scena minimalista con una sedia, un telefono, un campanello da scuotere a mano, cubi trasparenti che emanano luci algide. Una parete per ricreare lo spazio di un salotto e Lui, il protagonista muto che fa parlare Lei e suscita inquietanti interrogativi: il frigo. Argentato dalle sembianze di elettrodomestico che ha fatto la sua vita e desideri il meritato riposo.
Eva da vita a tutti i personaggi che animano la surreale storia, uno dopo l’altro si susseguono a ritmo continuo, dando la sensazione che si moltiplichino all’infinito, come se Copi volesse animare la scena di uomini e donne che appaiono nella realtà ma potrebbero essere anche proiezioni fantasmatiche, sogni, visioni, suggestioni, immaginati dalla donna che vive in un mondo tutto suo. Un campionario di varie umanità, una più strampalata dell’altra. L’unico a restare impassibile è il frigo, l’alter ego di una donna (impaurita da cosa potrebbe contenere) che il giorno del suo compleanno importante (compie ben 50 anni) riceve in dono dalla madre presenza -assenza incombente quanto il frigo, che assiste in un angolo alla disperata voglia di vivere all’eccesso. Telefona e suona il campanello per fingere di essere cercata alla porta, litiga con il suo autista maniaco sessuale, la cameriera truffaldina, non sopporta la madre che cerca di invadere la sua vita, ricattandola con il denaro, appare un’improbabile psichiatra che non è altro che una bambola gonfiabile dalla pelle scura.Un cane che abbaia. Un poliziotto che indaga. L’esasperazione di chi si sente sola e cerca ogni pretesto per apparire e farsi sentire. Da a tutti delle voci una caratterizzazione di toni gutturali, striduli che creano un sonoro esilerante.
La solitudine è un grido disperato che reclama la ribalta sotto le luci. Scoppia una bomba -petardo e il rimbombo scuote anche la donna in scena, come se si risvegliasse da un brutto incubo. Non manca il tentato suicidio che lo si può paragonare ad un gesto estremo per richiamare l’attenzione su di sé. Più attuale di cosi. In una società attuale dove tutto viene fagocitato dallo star system, Eva l’emblema di chi è destinata a soccombere. È l’ironia acuta e perfida di Copi a dirci che la vita è una roulette che gira e non sai mai che numero esce. Può essere vincente o perdente, come il destino dell’uomo. Il glamour che emana la scena e la stessa Eva è un fragile lenzuolo che copre la le paure e le debolezze, l’incessante desiderio di cercare un’identità che sfugge in continuazione, che si confonde tra femminile e maschile, senza distinzioni di genere che la etichettino. Lei è come una star delle scene caduta in disgrazia a cui mancano i riflettori. Il regista Adriatico coglie tutti questi sottotraccia del testo e li fa suoi con un’eleganza scenica nel gesto e nella recitazione, non sconfina mai nella parodia o nel grottesco. Disegna con cura una geometria che permette ad Eva di muoversi dentro uno spazio calcolato fino al dettaglio. La comicità intrinseca che è alla base del Frigo traspare senza mai risultare eccessiva. Ha un qualcosa che sconfina nella tenerezza per questa creatura femminile che adotta il topo nascosto dietro il frigo e sembra svanire via lasciando dietro di sé tracce di un’esistenza sempre al limite, sospesa su un filo da equilibrista. Lui il frigo resta solo e ci guarda. Chissà quali altri segreti contiene che solo Copi conosceva e si è portato via con sé.
Il frigo di Copi
Regia di Andrea Adriatico
con Eva Robin’s
visto ai Teatri di Vita di Bologna il 14 gennaio 2012
Per saperne di più
Il Teatro inopportuno di Copi
a cura di Stefano Casi
Edizioni Titivillus
con il contributo dei Teatri di Vita