Danza — 21/02/2019 at 09:06

Se la devozione per Sant’Agata è una danza che sa emozionare

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RUMOR(S)CENA – ROBERTO ZAPPALA’ – CATANIA –A. Semu tutti devoti tutti?” rappresenta un episodio importante della vicenda artistica di Roberto Zappalà già dieci anni fa quando fu presentato per la prima volta, e ora nuovamente nel riallestimento presentato al pubblico del Teatro Verga, nell’ambito della stagione dello Stabile di Catania. Lo si evince, al di là del pur straordinario dato formale, anche da una messa a fuoco concettuale, da un chiarimento definitivo nel prendere le misure e porre le giuste distanze tra l’intelligenza creativa, potente, feconda, raffinata e cosmopolita di Roberto Zappalà e di tutto il suo ensemble, e il magma incandescente della sua Catania, della cultura popolare in cui è cresciuto che in qualche modo, madre e matrigna, continua ad abbracciarlo. Un riscontro positivo più che affettuoso ma al contempo severo e senza ambiguità, che si dispiega su una linea di faglia molto antica, tormentata, delicata: il culto antico e rovente di Sant’Agata, ovvero ciò che nessun catanese potrebbe mettere agevolmente in discussione criticamente continuando a definirsi tale.

Un chiarimento con una parte ancestrale del nostro essere, una parte che magari sottovalutiamo, ma che si ripresenta viva e vibrante ogni volta che ci troviamo immersi in una di quelle masse di fedeli che rinnovano l’antica religiosità popolare (pagana e cristiana insieme) del Mediterraneo. Una religiosità rovente, impura, feroce, capace di accogliere nel suo ventre largo il bene e il male in ogni possibile declinazione. Il concept di questo spettacolo nasce dieci anni, fa quando il coreografo decide di riflettere sulla vicenda del controllo mafioso sull’organizzazione pratica della festa di Sant’Agata (le bancarelle, la cera delle candele, le scommesse clandestine). Un potere accettato spesso supinamente dal popolo, quasi come un fatto normale. Una sottocultura malata e mafiosa che sporca ancora – come anche alcuni fatti di quest’anno hanno dimostrato (fatta salva la determinata e coraggiosa reazione del vescovo) – un culto intriso invece non solo di sincera pietas religiosa, ma anche di grande partecipazione e teatralità barocca.

Il tutto riscritto e riportato in scena con i segni forti di una danza che si apre e vive e respira nei corpi e nei movimenti di Adriano Coletta, Alain El Sakhawi, Salvatore Romania, Fernando Roland Ferrer, Antoine Roux-Briffaud, Massimo Trombetta, e del nuovo e giovane Alberto Gnola, nella loro tensione muscolare, nella lotta, nel corpo abbandonato, sensuale e mistico, totalmente e meravigliosamente nudo, di Maud De La Purification (in altre repliche Valeria Zampardi), che è mosso in scena dai danzatori senza che mai possa toccare terra: un corpo che è sogno, desiderio, fantasma, fatica, opera d’arte. Sostanziale appare ancora l’apporto drammaturgico, in senso ampio, di Nello Calabrò: «È vero che siete innocui singolarmente e che imbarbarite nella folla? Diventate crudeli se costretti dalle circostanze?… Non è forse scritto? la mia casa sarà riguardata come casa di preghiera per tutte le genti. Chi ne ha fatto una caverna di ladri? una spelonca di ladri, una caverna di briganti…».

E ancora, a far da contrappunto alla danza, a riempirne le vibrazioni, a inseguirne o anticiparne i percorsi, le musiche raffinate ma concrete e carnali anch’esse, dell’ensemble de “I Lautari” presenti in scena: Peppe Nicotra, Puccio Castrogiovanni e Salvo Farruggio. Uno spettacolo in cui, se pur si conferma la presenza di alcuni elementi di debolezza (uno su tutti la chiusura con il video di Carmen Consoli), il segno di maggiore interesse appare senza dubbio l’accresciuta maturità dei danzatori che dopo ben dieci anni lo reinterpretano con una vigoria, un’intelligenza del gesto e una solidità artistica davvero straordinarie. Doti che Roberto Zappalà ha saputo cogliere di nuovo e mettere a frutto.

Visto il 6 Febbraio al Teatro Verga di Catania.

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