“Per esprimersi serve un motivo, ma esprimersi è il motivo”.
FIRENZE – Si può essere con l’arte o contro l’arte di Ai WeiWei ma di certo non si può negare che il principale merito di questo artista e personaggio (mediatico) cinese sia la sua arte di comunicazione. Forse, sarebbe più corretto dire che Ai WeiWei ha trasformato la sua comunicazione in una forma di arte. Questa volontà è forte già all’ingresso di Palazzo Strozzi dove si incontra l’opera Reframe, che rappresenta un manifesto emblematico del punto di vista nei confronti del fenomeno sociale della migrazione e dei rifugiati.
All’interno di Palazzo Strozzi la retrospettiva Ai Wei Wei. Libero inizia dalle opere più recenti. Le prime tre sale sono dedicate ad installazioni gigantesche, che danno prova della lotta per la libertà di espressione e della protesta nei confronti delle autorità cinesi. La prima installazione Stacked, che ha sostituito il titolo iniziale Forever, è un labirinto verticale in cui sono assemblate 950 biciclette, che sono il mezzo di trasporto più usato in Cina ed alludono alla libertà di movimento. La seconda installazione è stata ispirata dal terremoto che ha colpito la regione di Sichuan nel 2008, causando 70.000 vittime tra le quali molti bambini. L’evento è stato il motivo per cui WeiWei ha denunciato le autorità cinesi, colpevoli di avere autorizzato la costruzione di edifici con materiali scadenti. L’opera riproduce oltre a delle bare un serpente gigante (Snake bag) che è costruito attraverso l’assemblaggio di 360 zaini di bambini che persero la vita nelle scuole crollate a causa del terremoto.
Nella terza sala l’opera principale è la carta da parati (The animal that looks like a llama but is actually an alpaca) dal titolo enigmatico finalizzato ad evitare la censura, in cui al logo di Twitter si intrecciano le camere di videosorveglianza, che ricordano il periodo di 81 giorni di prigionia nel 2011. Nella seconda parte la mostra introduce al tema della protesta nei confronti delle autorità e della cultura praticata attraverso la comunicazione, in particolare la fotografia e i social media. In una prima sala l’artista omaggia, per similitudine con la propria storia, i personaggi fiorentini e toscani del passato che sono stati esuli, perseguitati o giustiziati nella propria terra natale (Dante Alighieri, Filippo Strozzi, Galileo Galilei, Girolamo Savonarola), successivamente introduce alla protesta con la serie fotografica in cui il suo dito medio viene indirizzato contro monumenti ed opere d’arte (la Gioconda di Leonardo da Vinci, il Colosseo, la Sagrada Familia, la Tour Eiffel), richiamando il motivo della carta da parati Finger. Nei confronti della cultura del passato e delle tradizioni l’artista ha un atteggiamento molto contraddittorio, perché mentre la esalta nella sezione Mythologies con riproduzioni molto raffinate in seta e bambù di creature mitiche (Feiyu – pesce volante o Taifeng – grande vento), la svilisce ed addirittura la sfregia quando realizza una serie di vasi della dinastia cinese Han immersi in vernici da carrozzeria di colori diversi cancellando così secoli di storia.
Nella parte finale la mostra riprende lo stesso respiro che aveva all’inizio perché testimonia l’opposizione del governo cinese nei confronti dell’arte di Ai WeiWei. L’ultima sala è occupata a un lato da una serie di granchi in porcellana (la parola cinese per granchio è usata anche per significare la censura) e al centro da un pezzo di muro incastonato nel legno (Souvenir of Shangai) che recupera una parte dello studio dell’artista, demolito da parte del governo. L’epilogo della mostra si trova all’interno della Strozzina che chiude anche l’immagine che l’artista fornisce di se stesso. Di immagine si parla perché gli anni americani e quelli della vigilanza forzata vengono documentati attraverso serie fotografiche. La prima serie americana in bianco e nero ripercorre gli anni ’80 trascorsi a New York, la vita da bohemien all’interno del suo appartamento: sono gli anni in cui Ai WeiWei resta influenzato da Duchamp e dalla pop art di Warhol. Nelle sale successive l’immagine si unisce al video. Il film “The fake case” di Andreas Johnsen descrive la battaglia di Ai WeiWei nei confronti del governo cinese con particolare riferimento al periodo di prigionia nel 2011. Le successive serie fotografiche sono incentrate invece sul periodo della vigilanza forzata in casa e sulla sua vita quotidiana. Se fino a questo momento la comunicazione per immagini è sempre finalizzata alla protesta, più o meno condivisibile, nell’ultima parte della mostra l’utilizzo diventa autoreferenziale e mediato dalle nuove piattaforme social come Instagram e Twitter. Ne sono una prova la foto “Leg gun” che nel 2014 ha scatenato un fenomeno virale di emulazione in rete e la serie finale di selfie. La protesta trasposta in arte resta così marginale e viene sostituita dalla immagine del sé, nelle varie occasioni del quotidiano, che caratterizza la nuova modalità di fare comunicazione e di esprimersi nella realtà social, in cui appunto esprimersi è più importante di ciò che si ha da dire.
Visitata a Palazzo Strozzi il 15 gennaio.
Ai WeiWei. Libero
a cura di Arturo Galansino
Palazzo Strozzi di Firenze
22 settembre 2016 – 22 gennaio 2017