RUMORSCENA – BOLZANO – Sono tante le voci letterarie che risuonano nell’ultima opera di Paul Thomas Anderson, regista americano tra i più interessanti nel panorama contemporaneo. Le figure indimenticabili, per esempio, di Mia cugina Rachele e Rebecca di Daphne du Maurier, ma anche il mito di Pigmalione e il cercatore di bellezza de La morte a Venezia di Thomas Mann. E numerose sono le fonti di ispirazione tratte dalla storia del cinema, da Truffaut a Hitchcock: i cromatismi, il ritmo, i primi piani indugianti, la sottile inquietudine che permea ogni situazione. Molto più pregnante il titolo originale del film, Phantom Thread (Filo fantasma), rispetto a Il filo nascosto della traduzione italiana, perché un po’ vampiresca è l’atmosfera che si respira nell’edificio storico della Londra degli anni Cinquanta, ove si dipana quasi tutto il film, la villa atelier in cui vive e opera Reynolds Woodcock, geniale sarto della nobiltà e dell’aristocrazia.
È una residenza lievemente angosciante, disposta su più piani, cui si accede lungo una scala leggermente a chiocciola che porta, dopo una lunga salita, al monarca della maison. La scala devono percorrere dipendenti e clienti: un avvicinamento faticoso alla perfezione che nella sartoria deve regnare. E un po’ vampiresco appare anche il couturier: quando si veste e parla sommessamente, quando disegna e invoca il silenzio, il volto ieratico segnato da un tormento interiore e da un rapporto mai relativizzato con la madre.
È un mondo tutto al femminile quello dell’atelier e su di esso domina il grande creatore, esigente e bulimico nella sua dedizione al lavoro. Le donne vanno e vengono nella sua vita, senza grandi coinvolgimenti emotivi. Le situazioni sono sempre risolte dalla sorella onnipresente, tassello insostituibile nella gestione della sartoria, ma anche del carattere quasi insopportabile di Reynolds. Quella vita scandita da consolidate abitudini e dal rispetto di tutte le regole dell’alta società viene però improvvisamente modificata dal comparire di Alma, la giovane cameriera in cui il famoso sarto si imbatte casualmente e della quale intuisce la bellezza. Alma lo segue a Londra e diventa la sua musa. Se inizialmente la love story tra i due si sviluppa – pur decollando in modo assolutamente originale – secondo i canoni più convenzionali, vale a dire con la sudditanza della donna nei confronti dell’uomo, ben presto però i rapporti di forza subiscono un’inversione e con modalità assolutamente imprevedibili Alma finisce con l’affermare la propria personalità e il ruolo che intende rivestire.
Come una dolce mantide si trasforma metaforicamente nella madre perduta di Woodcock, ma anche realmente nella madre della prole che il matrimonio tra i due avrà come esito. Il filo, nascosto o fantasma che sia, non è solamente quello utilizzato dal grande sarto per nascondere nelle pieghe o negli orli degli abiti che realizza brevi pensieri ricamati – per apporvi un marchio, per sottolineare un’autorialità come nei dipinti dei maestri -, ma è anche il filo che collega le anime tra loro, che crea intrecci, che può spezzarsi e ricongiungersi, disegnando ragnatele ora imbriglianti ora protettive.
Grande film Il filo nascosto: recitazione superba, dialoghi mai banali, musiche colte, luci accarezzanti, tutto assonante. Certo non perfetto, ma rende credibile l’impossibilità e accettabile l’assurdo: un risultato non da poco.
Daniel Day-Lewis è Reynolds Woodcock, il sarto.
Vicky Krieps è Alma, la musa.
Lesley Manville è Cyril, la sorella.
in copertina Daniel Day-Lewis
Visto al Cinema Capitol di Bolzano
il trailer del film